PARCO GIOENI: UNA STORIA “COMPLICATA”
- Dettagli
- Categoria: Moda Costume e Società
- Scritto da Santo Privitera
Alla sua riapertura, il “Parco Gioeni” è stato subito preso d’assalto. Tanti i cittadini catanesi e quelli dall’Hinterland che si sono affrettati a visitarlo per conoscere il suo nuovo look. Ubicato nella parte nord della città, ha un’estensione di nove ettari; uno e mezzo in più di Villa Bellini. Concepito come un “Parco da vivere”, essenziale e utile allo stesso tempo. Ha avuto una storia molto travagliata. Dagli abitanti del quartiere Barriera Canalicchio dove ricade, era conosciuto come “ ‘A Sciara ‘i vavvarussa”. In realtà si trattava della “Tenuta Spitaleri”. La caratteristica fisica del custode, era quella di possedere una barba rossa folta e lunga che lo faceva somigliare al “terribile” Mangiafuoco di collodiana memoria. Da qui il toponimo popolare. La folta vegetazione e i numerosi anfratti lavici che si aprono sul terreno, costituirono in passato un comodo rifugio. Un “Parco giochi” dove i ragazzi vivevano le prime avventure. Durante i moti anti-borbonici, prima di ripiegare verso Sant’Agata li Battiati, i rivoltosi da lì avrebbero ingaggiato diversi scontri a fuoco con i nemici. In quell’altura che sovrasta la città, il proprietario avrebbe voluto realizzare la propria abitazione. Qualcosa però andò storto e non se ne fece nulla. Acquistato dal Comune di Catania, la prima volta che si parlò della costruzione di un “Parco cittadino” in quella zona fu nel 1931. Le sue pregiate lave “a corda” che affiorano dalla estesa vegetazione spontanea di macchia mediterranea, rendono ancora oggi quest’area unica nel suo genere. In più, la presenza dei resti dell’acquedotto benedettino e di un antico mulino, costituirono un “valore storico” da aggiungere al suo panorama naturalistico. Il progetto vinse pure un concorso nazionale. Non poteva essere diversamente. Il suo creatore, l’architetto Michelangelo Mancini, lo incluse nel piano regolatore redatto quell’anno. A seguito dello scoppio della seconda guerra mondiale, venne però approvato solo nel 1942. Ripreso più volte nel dopoguerra, la sua realizzazione tardò a venire. Nel 1954 il sindaco Magrì impedì una scellerata proposta politica di lottizzazione. Era finalizzata alla costruzione di villette. Nel 1971, dopo molteplici pressioni provenienti dalla società civile, finalmente qualcosa si mosse. Vennero realizzati: muri di cinta e la monumentale scalinata in asse con V.Etnea. Niente di più. Rimase abbandonato fino a quando Regione siciliana avviò l’iter burocratico per il relativo finanziamento. A fronte dei miliardari progetti proposti, l’amministrazione dell’epoca realizzò invece il parco con meno di 5 miliardi di vecchie lire. Una prima ala venne inaugurata nel febbraio del 1997; la seconda nell’ottobre dello stesso anno. La rinnovata sensibilità verso il verde pubblico, dagli inizi del nuovo millennio avrebbe consentito la sistemazione di aree altrimenti destinate alla cementificazione selvaggia. Così fu per il “Parco Falcone” al viale Sanzio e nei vari quartieri cittadini.
A Catania, come in tutta Italia, si stanno celebrando le giornate FAI( Fondo Ambiente Italiano) d’autunno. La nutrita delegazione catanese con tutti i suoi valorosi volontari è al lavoro per far conoscere agli studenti delle scuole ma anche ai curiosi visitatori i luoghi più rappresentativi della città. “Sussurri del tempo percorsi tra memoria , bellezza e nobiltà” è il titolo dell’edizione di quest’anno. Un percorso storico studiato appositamente per valorizzare luoghi e monumenti, molti dei quali sconosciuti o poco accessibili al pubblico. Catania è grande nella sua magnificenza storica, grazie a queste iniziative si apre per mostrare le enormi ricchezze possedute. “ Mih! Sti cosi avemu ‘a Catania?…” è un espressione che abbiamo sentito pronunciare in diverse occasioni. Antichi palazzi, monumenti, siti archeologici, chiese, monasteri, biblioteche, sentieri naturalistici mai percorsi. Luoghi sconosciuti e criptici compresi.
Nella foto, l’ingresso principale del “Parco Gioeni”. Pubblicato su “La Sicilia” del 19.10.’2025
VERA AMBRA
- Dettagli
- Categoria: Articoli Segnalati
- Scritto da Santo Privitera
La scomparsa della scrittrice e poetessa Vera Ambra(nella foto), ha destato tanta commozione in Città. Se n’è andata proprio nel momento più intenso della sua attività culturale. Un male incurabile l’ha stroncata all’età di 75 anni. Recentemente aveva avviato per il Comune di Catania un progetto letterario il cui scopo era quello di portare la letteratura “a domicilio” tra le pareti domestiche. Lo ha fatto coinvolgendo attori, musicisti, danzatori e poeti provenienti da tutte le parti della Sicilia. Nativa di Acireale, in età adolescenziale si trasferisce a Catania. Dal 1980 nella città Etnea ha intrapreso una attività culturale capace di spaziare dalla pittura alla letteratura, alla musica. “Akkuaria”, nata da una sua intuizione, è stata la prima associazione a spaziare con successo nel mondo del web. Una iniziativa che in breve tempo ha fatto “tendenza”, proiettando la cultura letteraria catanese oltre lo Stretto. Autrice di sillogi poetiche e di numerose altre pubblicazioni, il suo ultimo libro “Catanisi ‘da testa ‘e peri”, ha messo a nudo con lucida ironia pregi e difetti del popolo catanese. Da alcuni anni si era cimentata anche nell’editoria. Tanti i testi pubblicati con il coinvolgimento di numerosi giovani scrittori. Se ne va una “Paladina” della catanesità, un’artista poliedrica; una “stacanovista” della cultura, che non si è mai sottratta al piacere di vivere intensamente la sua città. I funerali sono stati celebrati ieri nella chiesa S.Francesco di Paola, alla Civita.
La tragica cultura degli asterischi
- Dettagli
- Categoria: Moda Costume e Società
- Scritto da Santo Privitera
Diceva bene il padre del folklore siciliano Giuseppe Pitrè(Palermo 1841-1916): “Il passato non deve morire esso vive in noi e con noi, ci accompagna e si manifesta nelle strade, nelle piazze, sul letto nuziale, presso la culla o la bara, nelle feste, nei giochi, in chiesa, nei campi, sui monti: dappertutto. Insomma, vive e parla”. L’insigne demopsicologo ha evidenziato una grande verità frutto di leggi universali. Il passato torna sempre. Da parte delle nuove generazioni, oggi si nota una certa apatia nei confronti della storia. Nel 2020 l’abbattimento in America della statua di Cristoforo Colombo è stato il chiaro segnale di una insofferenza generazionale diretta alla cancellazione della “memoria”. Per taluni gruppi di giovani la cui filosofia è quella del “cambiamento a tutti i costi”, cancellare ciò che rappresenta il passato sarebbe un atto di giustizia contro ogni forma discriminatoria. La parola razzismo sembra essere tornata prepotentemente nel lessico delle distorte ideologie. “Biniritta ‘a giuvintu’”-qualcuno ironizza-“ca cècca tirìlli macari quannu non ci su”. Un’espressione dialettale che è tutto un “programma”. Se non siamo ai livelli della “rivoluzione” sessantottina, poco ci manca. Vi è in atto un grande cambiamento culturale che sta attraversando tutto il pianeta. “Corsi e ricorsi storici avrebbe sentenziato il grande filosofo G.B. Vico. E’ vero. In forme diverse, sarà accaduto altre volte. Col tempo, il divario generazionale si fa sempre più serrato. La storia ce lo insegna. Non ha un punto d’arrivo perché sempre in continua evoluzione. Basta un evento storico, un conflitto bellico, un significativo evento ambientale o economico, per fare scattare la molla della protesta. All’interno delle famiglia, per effetto dello sbandierato “progressismo”, già da diverso tempo i figli pretendono parità assoluta rispetto ai genitori. E questo, purtroppo, non sempre ha giovato ai fini di una corretta educazione. Si imputa alla scuola il presunto “fallimento educativo” delle nuove generazioni, quando ad essere messi sotto accusa invece dovrebbe essere proprio la famiglia. Diversi i motivi troppo lunghi da elencare. Alla luce di certi comportamenti adottati dagli alunni più indisciplinati nei confronti dei loro professori, c’è chi rimpiange “ ‘a cucchiara ‘i lignu”. Questo strumento usato soprattutto dalle mamme, prima ancora di essere utilizzato in cucina serviva come “deterrente” contro la disobbedienza. “Sta iurnata a me figghiu ci rumpii ‘a cucchiara ‘i lignu ‘nte spaddi, accussì chiddu ca fici, no fa cchiù” era il commento di una mamma “d’altri tempi”. Nei bar, negli autobus, in famiglia, ovunque si discute di tutto questo. Il tema è sempre quello: L’educazione dei giovani. Qualcuno canticchia pure una canzone sottovoce: “Mudernità, mudernità, chistu è flagellu di l’umanità/ mudernità, mudernità/ non c’è cchiù amuri ne simpicità…/ Versi che ancora trovano sponda con chi gli “anta” li ha già superati. Indipendentemente dalle nuove esigenze, ancora resiste la nostalgia per passato. I giovani di oggi saranno i nostalgici del “domani”. Nei social vengono postate vecchie foto di famiglia, mostrati angoli spariti di paesi e città, ritratti ingialliti di anziani parenti scomparsi da tempo. Quanta emozione quando nel pomeriggio dedicato alla Tivvù dei ragazzi si poteva scegliere tra le serie “Lassie” e “Rin Tin Tin”, e il programma a quiz “Chissà chi lo sa”. Le mode cambiano rapidissimamente e così le abitudini di ogni singolo individuo. Cambiano persino le terminologie. Quelle persone che una volta erano considerate “matusa”, oggi sono “boomer”. Un modo ironico di indicare tutti gli over 50 che usano poco e male la tecnologia digitale. Il mondo sembra dividersi tra gli “analogici”, quelli che ancora prediligono “carta e penna”, e i “digitali”. I primi col tempo spariranno, i secondi saranno quelli cui affidare la delicata gestione “dell’Intelligenza artificiale”.
Pubblicato su "La Sicilia" del 22.07.'25
