L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA E LO STATUTO AUTONOMISTA SICILIANO
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- Scritto da Santo Privitera
La recente approvazione della legge sull’ autonomia differenziata, ha riportato alla memoria la vecchia questione dell’autonomia siciliana. Nessun confronto, solo alcune rievocazioni storiche. La scia velenosa, rumorosa e polemica che in questi giorni si sta sviluppando da sud a nord, sembra però essere in contraddizione con la storia. Si invoca perfino il referendum abrogativo nel segno di quella Unità che dai banchi dell’opposizione si considera minacciata. A Catania, qualcuno ha ironicamente commentato: “Si viri ca sti pulitici mangiunu pani scuddatu!”. Fino a qualche tempo fa, quando in Sicilia si parlava di autonomia, erano in molti a storcere il naso. Ma c’era pure chi qualche sorrisetto lo faceva sotto i “baffi”(anche se non li aveva). Non perché non la volesse, anzi tutt’altro. Perché a quasi settant’anni dal varo, 15 maggio 1948, la sua applicazione si è rivelata del tutto insufficiente, se non addirittura inconsistente. Una vera e propria beffa, se proprio la vogliamo dire tutta. Eppure a suo tempo fu fortemente invocata addirittura nelle forme più estreme: quelle cioè inneggianti al separatismo. Per questa causa vi furono dei morti. Sulla questione si sono espressi autorevoli storici e politologi. Quasi tutti convergono su un punto: lo Statuto autonomistico siciliano sarebbe stato “Uno specchietto per le allodole” , o forse un “contentino” dato in pasto dal neonato governo repubblicano per sedare gli animi dei gruppi separatisti sparsi in tutta l’Isola. Alcuni di essi fondarono un regolare partito, il M.I.S.( Movimento Indipendentista Siciliano), altri invece imbracciarono addirittura le armi. Tutto nasce dal fatto che i vecchi malumori post -unitari non si erano mai sopiti. “Arsa l’arma a Garibaldi”-sostenevano i più accaniti-“ il barbuto generale ha agito in combutta con i Savoia i quali hanno depredato la Sicilia per risanare le finanze dei piemontesi indebolite delle guerre d’indipendenza”. “Mpriulai jardini di rosi/ pi cògghiri simenza di zammàra/”-scriveva il poeta nativo di Catenanova ma catanese di adozione, Venero Maccarrone(Turi Lima)- “e m’astutaru dintra l’occhi/ travi di focu”.(Ju Sicilia). Il gruppo dirigente che perorava la causa della separazione politico-amministrativa dall’Italia, convinto com’era che le forze economiche dell’Isola lo consentissero, lottarono per la separazione “costi quel che costi”. Ci tentarono con la forza dei numeri, ottenendo discreti risultati. Gli onorevoli Andrea Finocchiaro Aprile, Antonino Varvaro, Attilio Castrogiovanni, Concetto Gallo sedettero in Parlamento. Chi in quello nazionale, chi in quello regionale; si distinsero per la forza delle proprie convinzioni. In quel preciso contesto storico, rappresentavano la voce di un popolo che si sentiva “tradito” dalle legittime aspettative unitarie. Si batterono per portare “a casa” qualcosa di utile come forma “risarcitoria”. Ottennero uno Statuto che, “Sulla carta”, appariva innovativo e soprattutto utile per lo sviluppo economico, sociale e culturale della Sicilia. Alla luce del risultato finale e dopo tante lotte sostenute, l’esito fu deludente. Anno dopo anno, quella che doveva essere la Carta costituzionale, andava sempre più sbiadendosi. Lo Statuto, così venne svuotato dalle fondamenta. Vilipeso. Di chi la colpa? Di “Uno, nessuno e centomila” avrebbe risposto il grande Pirandello. Le critiche si abbattevano tutte le volte che veniva fatto rilevare lo stato di arretratezza dell’Isola. I tentativi compiuti( o soltanto promessi) di ridargli una effettiva “vitalità” sono stati vani. Subito dopo la seconda guerra mondiale, nell’Isola era scoppiato il caos. Troppe armi ancora circolavano: anche tra la popolazione civile. Qualcuno pensò che fosse giunto il momento di tentare il “colpo di mano”: anche militare se fosse stato necessario. L’ala militarista dell’E.V.I.S. ( Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia), si batté questo. Mise in campo tutte le risorse possibili, andando però a scontrarsi con le forze dell’ordine prima e con l’abile tessitura diplomatica messa in campo dal nascente governo repubblicano, dopo. Proprio in questi giorni, come ogni anno, gli indipendentisti in forma ristretta ricordano l’eccidio di “Murazzu ruttu” , nei pressi di Randazzo. In questo luogo, 17 Giugno del 1945, in uno scontro a fuoco con i carabinieri trovarono la morte Antonio Canepa e quattro giovani studenti tutti animati dalla medesima causa rivoluzionaria. Canepa, docente universitario, era stato l’autore del libro “La Sicilia ai Siciliani”. Si trattava di un vero e proprio “statuto” da applicare nel caso in cui l’Isola avesse ottenuto la sospirata indipendenza.
Nella foto, la Bandiera siciliana
Pubblicato su “La Sicilia” del 23.06.2024
OGGETTI DI “CULTO” ANNI ‘60
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- Scritto da Santo Privitera
Sono milioni e hanno attraversato la vita di ciascuno di noi. Sul piano affettivo sono irripetibili. Difficile separarsene. Purtroppo però bisogna fare i conti con le esigenze della quotidianità. Perciò con il trascorrere del tempo, una volta utilizzati e ormai inservibili, all’interno di una qualsiasi abitazione diventano “mmarazzi”: ovvero materiale ingombrante da rottamare o comunque da disfarsene. Stiamo discutendo degli oggetti passati di moda. Anche in perfetto stato, a volte diventano “cosi di ittàri”. Con l’avvento dell’elettronica, il fenomeno si è accentuato. Quando si svuotano le cantine o le case dei nonni cui appartennero, se qualcuno non fa in tempo a recuperarli, vecchi oggetti o i mobili sono destinati a finire in un misero e fetido cassonetto. “Si pi cinquanta e ‘n annu mi sì stata/ fida cumpagna di la vita mia,/ ti portu dintra l’anima stampata,/ vecchia camuliata scrivania./ E si quann’è ca ha veniri abbruciata/ ripuntassimu stari ‘n cumpagnia,/ ogni faida di focu addumata/ fussi n vivu ricordu ‘n puisia(…)”( A la me’ scrivania). Questi illuminanti versi li scrisse negli anni ‘70 del secolo scorso, il poeta popolare Nino Bulla. “Mancu voli Diu…d’accussì si iettunu i cosi??!!…”ci lamentiamo in questo modo quando a Catania vediamo qualche oggetto carino che “quasi quasi” starebbe bene in qualche angolo della nostra casa. D’altronde, come giustificarsi nel caso in cui pensassimo di appropriarcene?… “I cosi attruvati non sunnu arrubbati”. Va bene così. I collezionisti sono i veri custodi della memoria. La loro è una filosofia di vita. Soddisfano i propri desideri attraverso il “culto” dell’oggetto. Dietro il paradosso della ricerca ossessiva della novità attraverso l’antico, si celerebbero motivi psicologici tutti da decifrare. Questo quando non vi siano effettive ragioni di esclusiva natura culturale. Gusto e sensibilità sono nobili moti “romantici”, ma ci potrebbe essere anche dell’altro. Ad esempio, un modo di esprimersi; un sentirsi privilegiato godendo in segreto di oggetti rari per distinguersi dagli altri. Negli anni ’70 del secolo scorso spopolò la moda delle bottigliette mignon da collezionare. Liquori appartenenti a diverse case produttrici, con l’occasione vennero prodotti in quantità industriale. Il mercato in quel momento lo richiedeva. Erano riproduzioni mignon dello stesso formato di quelle “regolari”. Marche italiane ed estere conosciute in tutto il mondo. Nessuno doveva berne il contenuto perché dovevano restare integre. Una vera ubriacatura destinata ad esaurirsi nello spazio di qualche anno. Passata la moda, i pochi esemplari rimasti li troviamo ancora oggi negli scaffali dei rigattieri. Le scritte delle etichette sono macchiate e manco si leggono più. Già, i rigattieri, o meglio: I “riatteri”. Loro, a differenza dei collezionisti, hanno una visione poco romantica e più materialistica dell’oggetto. Ne fanno merce di mercato. Un vero mestiere anche abbastanza redditizio . Sono commercianti a tutti gli effetti. Al mercatino delle pulci, quello che ogni domenica si svolge tra la via Dusmet, Porta Uzeda e Villa Pacini, è possibile trovare di tutto. Libri, giornali, soldatini di plastica, quadri, piatti, mobili antichi, penne stilografiche, foto di famiglia, capi d’ abbigliamento, scarpe usate, dischi, strumenti musicali, giocattoli di ogni tipo, medaglie, vecchie tessere di partito, posacenere da tavolo, pupi siciliani, parti residuali di antichi carretti, panciere e chi più ne ha più ne metta. E poi…tanta tanta oggettistica. Ninnoli e bomboniere che un tempo erano posti a “bellavista” nelle cristalliere o nei tavoli dei salotti, impolverati come si presentano, attendono di ritornare a nuova vita. Si trovano anche “pezzi” unici, finiti chissà come nelle mai del commerciante di turno. Merce prevalentemente “dozzinale” ma c’è pure “roba” che vale parecchio. La parola d’ordine dei catanesi è: “non ti pricipitàri, picchì cca ha sapìri accattari”. Un consiglio saggio, quasi sussurrato, ma sempre valido. Chi ha una certa competenza in materia sa bene come e cosa comprare. Attenzione alle “ ‘mpuniture” che sono sempre dietro l’angolo. A farne le spese sono molto spesso i turisti. Con il cambiare dei tempi, cambiano pure le terminologie. Così adesso va molto di moda il termine “Vintage”. Un inglesismo piuttosto generico che nel nostro comune sentire significa di “seconda mano”. Quando ci si trova davanti ai vecchi mobili di una volta, non puoi fare a meno di pensare alle mitiche “buffette”(tavoli da cucina), oppure al “pezzo di centoventi” rivestito di fòrmica verde( sparecchia tavola orizzontale da centoventi centimetri). Al suo interno si tenevano le tovaglie da tavola, mentre nel soprastante pianoro si posavano i piatti puliti appena lavati. “L’ammuarru” era così chiamato l’armadio dove si custodiva l’abbigliamento e non solo.
Catania 08.06.’24
Nella foto, antica vilanza ‘da Miccèra
L’ultima corsa della Circumetnea
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- Scritto da Santo Privitera
Il tempo corre anche lui sui binari della Ferrovia Circumetnea. Peccato però che, come dice il proverbio: “U bonu tempu, non dura tuttu ‘ntempu”. Si nasce e si muore, com’è nella natura di tutte le cose di questo mondo. Nulla è eterno. Rimangono sì ricordi personali, ma anche quelli sono…a tempo. Meno male che ci sono i libri di storia; essi soltanto possono riportarci indietro nel tempo. Sventolano fazzoletti d’addio alla “Stazione Borgo” della Ferrovia Circumetnea di Catania. Ieri, lungo la tratta Catania-Riposto, l’ultima corsa. Una soppressione decisa per consentire l’avanzamento dei lavoratori della metropolitana Catania-Adrano i cui lavori sono in corso di svolgimento. Il progresso a Catania, a quanto pare è destinato ancora a riservarci altre sorprese. Per i prossimi anni, sul fronte delle ferrovie sono previsti ulteriori importanti e innovativi cambiamenti. Lacrime di commozione tra il personale addetto e tra i passeggeri viaggianti. Forse tra loro ci sarà stato pure qualche automobilista intollerante. Lo stesso che davanti alla scampanellata del passaggio a livello in chiusura, ne avrà maledetto l’esistenza. “Pari ca’ aspittava a mia”-si sarà detto- “‘a cchi schifíu è…picchì ne’ leunu sti caspita di treni?!!!” Ma ogni “addio” fa sempre scordare i vecchi rancori. Adesso ci siamo. Lunghi silenzi come quando si accompagna un defunto al cimitero. Così, dopo un fedele e utile servizio durato la bellezza di quasi 140 anni: Fine della corsa, si scende. La Circumetnea è una ferrovia a scartamento ridotto che circumnaviga l’Etna mostrandola in tutti i suoi aspetti più suggestivi. Milioni di persone per tutto questo tempo si sono spostati verso il capoluogo e viceversa. Questo “giro” pendolare ritmico, a volte noioso, monotono e sferragliante, ma non per questo meno romantico ed accogliente, ha ospitato studenti(oggi stimati professionisti), sonnecchianti operai prostrati dalla lunga fatica giornaliera, turisti ed emigranti. Questi ultimi, tornati nel luogo d’origine per trascorrere le proprie vacanze prima del rientro in terra straniera, davano libero sfogo alle originarie abitudini. Durante il tragitto, uno spuntino a pane e olive se lo concedevano volentieri. In aggiunta, il bicchiere di vino raccattato nella putìa ubicata nei pressi della stazione non poteva mancare. Questo spiega il motivo delle tappezzerie perennemente macchiate e qualche “nozzolo” “piedi piedi”, sfuggito all’occhio attento del puliziere di turno. “Cu mangia fa muddichi”, tanto per spiegare la funzione prettamente popolare del servizio. Bronte, Maletto Randazzo, Adrano S. Maria di Licodia, Paternò, Misterbianco da un lato, Riposto e gli altri centri Jonici dall’altro; sono tra i paesini che più hanno usufruito del servizio ferrato. Senza contare i centri montagnosi di Cerami, Nicosia, Troina e Gangi i quali senza un intervento energico delle rispettive popolazioni, rischiavano seriamente di rimanere fuori dal progetto originario ideato, portato avanti e concluso dall’Ingegnere inglese Robert Trewhella. Dal finestrino potevi ammirare quella natura selvaggia fatta di lava e di ginestre più volte illustrata dai pittori e celebrata nelle memorie di noti viaggiatori. Goethe e De Amicis, viaggiando con la Circumetnea, restarono affascinati dei panorami osservati durante il tragitto. De Amicis, nel suo “Viaggio in Sicilia” del 1905, rimasto impressionato ebbe a scrivere; “ O mio benevolo lettore che andrai un giorno a Catania, ricordati di fare il giro della Ferrovia Circumetnea, e dirai che è il viaggio circolare più incantevole che si possa fare in sette ore sulla faccia della terra”(…). Una volta soppresso l’attraversamento del capoluogo, il servizio è andato assottigliandosi sempre più. Da qualche anno gira sui social un video “muto” dell’istituto luce. Si vede la via etnea affollata di cittadini di varia estrazione. Escono tutti dalla chiesa dei Minoriti affollando la strada attraversata dalle carrozze. Alcuni di loro si avvedono dell’operatore e lo guardano quasi fosse un “alieno”. Le immagini poi si spostano su alcune stazioni della “Circum” dove comincia l’attraversamento lungo quelle lande solitarie circondate da Fichi d’India e oleandri. Si nota subito che doveva trattarsi di uno spot pubblicitario probabilmente commissionato dalla stessa “Circum”. Il video risalirebbe agli inizi del secolo scorso, finisce appena si intravede il tunnel della stazione Borgo. Le vetture, quelle che comunemente chiamavamo “Littorine” perché al “tempo del fascio” questo nome gli era stato attribuito, già sin dagli anni ’90 sono ormai un lontano ricordo. A Catania, quella scatola ferrosa e fumante, non sfuggì all’ironia dei catanesi che a loro volta la ribattezzarono “ ‘a Cafittera”.
Catania 16.06.2024