FESTA S.M.DEL CARMELO DI BARRIERA, ED.2024
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- Scritto da Santo Privitera

Si sono conclusi a notte fonda a Barriera, i festeggiamenti dedicati alla Madonna del Carmelo. Le manifestazioni religiose e ludiche edizione 2024, erano già iniziate lo scorso 1 luglio. Particolarmente intenso è stato il lavoro dei parrocchiani. I giovani insieme ai “veterani” della festa hanno lavorato efficacemente per mantenere viva una tradizione che a Barriera dura da oltre un secolo. A tal proposito, è stato annunciato per i prossimi mesi l’uscita di un volume dedicato proprio alla suggestiva storia di questo luogo di culto che da semplice cappella votiva è diventata nel tempo una attivissima parrocchia. L’ultimo giorno dei festeggiamenti è stato caratterizzato dalla Concelebrazione Eucaristica presieduta dall’arcivescovo Mons. Luigi Renna. Presenti alla cerimonia religiosa: il sindaco Enrico Trantino, l’on. Giuseppe Lombardo; i consiglieri comunali Alessandro Campisi e Erika Bonaccorsi; il presidente della municipalità Claudio Carnazza. In rappresentanza dei paesi limitrofi, i rispettivi sindaci di Gravina di Catania e Sant’Agata li Battiati: Massimiliano Giammusso e Marco Rubino. “Come comunità vogliamo essere “pietre vive” ha esordito il Parroco Don Domenico Rapisarda nel suo intervento di ringraziamento ai presenti. Nel frattempo ha ricordato due importanti anniversari che la parrocchia celebrerà il prossimo anno. Al termine della serata, l’ingresso del simulacro è stato salutato con particolare commozione dai fedeli che, malgrado l’ora tarda, hanno voluto assistere al suggestivo rito del rientro. La novità di quest’anno è stata l’approvazione del restauro del prezioso Fercolo di probabile fattura settecentesca. La Regione Siciliana, su richiesta del Parroco, se n’è fatto carico. Si attende un ultimo passaggio burocratico prima di dare il via ai lavori. Intanto il consueto Giro si è regolarmente svolto come da programma. L’antico simulacro della Madonna del Carmelo, posto provvisoriamente su un modesto Fercolo messo a disposizione dalla Parrocchia di San Paolo di Gravina, tra il frastuono dei fuochi pirotecnici e le note della Banda musicale “Virgillito” ha percorso le vie illuminate del quartiere. Nel corso della serata, due momenti hanno caratterizzato la processione: il consueto omaggio floreale da parte dei Vigili del Fuoco alla statua carmelitana posta nella sommità della chiesa, e la spettacolare rappresentazione della “discesa dello Spirito Santo” giunta quest’anno alla ventiduesima edizione. Quest’ultimo rito che si è svolto solennemente al largo Catanzaro(Due Obelischi), è un omaggio alla Madonna da parte dei devoti del comune di Sant’Agata li Battiati.
Catania 23.07.’24
La foto in Bianco e nero è stata realizzata dall’artista Valentina Brancaforte
MANGIARE ALLA CATANESE
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- Scritto da Santo Privitera
“‘M’abbuffai! ”, un’espressione tutta catanese che esprime puro godimento dopo un pranzo gradevole e abbondante. Di solito, quando ci si siede a tavola, è buona regola alzarsi con un po' di “languorino” nello stomaco; questo per evitare spiacevoli conseguenze gastriche. Lo consigliano anche i medici. “‘U supecchiu ‘è comu ‘u mancanti”, e questo vale anche per chi ama la buona cucina. Soprattutto in prossimità dell’estate, osservare un’attenta dieta fa sicuramente bene alla salute. Il caldo spesso gioca brutti scherzi. In questo periodo, dalle nostre parti va di moda il pesce. Si va nelle località marinare per gustarlo fresco. L’aria marina stuzzica l’appetito. Per prima cosa, al ristorante o in trattoria si ordina un antipasto ricco di frutti di mare. C’è l’imbarazzo della scelta. Ricci, vongole, cozze nere, insalata di mare comprendente polipi, gamberetti, seppioline e altro. Attenzione alle cozze nere: sono talmente gustose ca “non si ponnu livari ‘da ucca”. Come le ciliegie, “l’una tira l’altra”. Mangiarle crude però è un rischio. Qualcuno dice addirittura che crude sono “gustose da morire”; un modo ironico per consigliarne la cottura. Lesse o impanate è meglio. La spremuta di limone che secondo le tradizioni gastronomiche nostrane servirebbe a “bonificare” il mollusco da possibili virus dannosi alla salute, servirebbe a poco. Una vera goduria assaggiare anche “fasolari” e “ostriche”. Una volta estratti dalla conchiglia, a differenza delle cozze nere è possibile gustarli crudi e senza limone. “Glupp!…” è il tipico suono onomatopeico che ne consegue. In materia di frutti di mare, ricordiamo come alcune varietà siano quasi del tutto sparite dal nostro mare. Tra queste, “ ‘U mauru”. La gustosissima erba tenera e polposa, un tempo era la regina dei palati. Fino agli anni ’80, soprattutto nella zona di ognina, i venditori ambulanti la vendevano dentro i sacchi di iuta con i bordi arrotolati. A fare da contorno, le immancabili fette di limone. Il sale era nelle bustine a parte. Andavano in giro trasportandolo nella parte retrostante di un mezzo a due ruote o su di un carrettino. Si preferiva consumarlo sul posto. Alla “vanniata” del venditore” “‘u mauru aju…”, “aju mauru friscu…”, la gente accorreva. Si formavano “capannelli” in attesa di acquistarlo. “ ‘Na cattata”, ovvero un cono di carta paglia, costava meno di cento lire. La priorità spettava alle signore, soprattutto quelle in “stato interessante”. “Tinissi cca”-si affrettava a raccomandare l’ambulante-“non ci facissi ‘u risiu…”. ‘U mauru introdotto nel cavo orale, debordava dalle labbra. Spariva lentamente mentre veniva degludito. La sensazione era quella di assistere a un curioso ruminare…umano. In sottofondo una voce: “Mi staju arricriannu!…” Sempre più rari anche gli “occhi di bue”. Serviti prevalentemente cotti. Appena estratto lo spicchio, la conchiglia resta pulita e traslucida al suo interno. Quasi un “peccato” buttarla nel cestino dell’ immondizia. L’unico inconveniente è sempre stato il prezzo. Un chilogrammo costa un “occhio della testa”. Intanto sembra paradossale ma in un’epoca in cui l’attenzione alla forma fisica è diventata un’ossessione, pare che i casi di obesità siano in aumento. Tutto ciò, malgrado il business dei centri estetici, delle palestre, dei prodotti dietetici. La nostra “dieta mediterranea” sembra essere stata soppiantata dai cosiddetti “cibi spazzatura”, ovvero quei cibi ad alta concentrazione calorica. Peggio se si consumano frettolosamente. La cosiddetta cultura “mordi e fuggi” avanza provocando notevoli danni al corpo umano. I ritmi di vita sono drasticamente cambiati. A tavola non si osservano più quelle regole tradizionali che imponevano innanzitutto tempi congrui di permanenza. Si mangiava, si beveva e dopo la frutta si sostava per una buona chiacchierata in famiglia. Una scorretta alimentazione, provoca disturbi digestivi oltre che malattie croniche come il diabete, ipertensione e colesterolo. Il reflusso gastrico-intestinale ormai è una malattia diffusissima. Nella vita di tutti i giorni, quello che manca è pure una “sana” passeggiata a piedi come si faceva una volta. Il sistema della mobilità oggi annovera tra le novità il “monopattino”. Questo strumento, per quanto comodo, ha tolto la voglia di effettuare tragitti più o meno lunghi a piedi. Si usa anche per effettuare poche decine di metri di distanza. C’è però chi ancora crede nel mantenimento “fai da te” del proprio corpo. Per questo sono utili anche le piste ciclabili. Vi sono persone che all’alba si alzano dal letto per farsi una bella “corsetta” nelle zone collinari oppure costiere. Al lungo mare di Acicastello se ne incontrano tante. Ecco perché questa località ha assunto un nuovo toponimo popolare: “ ‘a strata de’ maratoneta”.
Catania 29.06.2024
Nella foto, un piattino di “Mauru”
ANTICHI ACQUEDOTTI CATANESI
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- Scritto da Santo Privitera
Cattivo tempo al nord, siccità al sud, l’Italia è divisa in due. Non autonomia differenziata ma clima differenziato. La natura fa il suo corso senza alcuna burocrazia. L’ideologia in questo caso è unica e risponde solo ai disegni del creatore. Da quando esiste il mondo, è sempre stato così. Chi parte da Catania per recarsi nelle città del nord Italia anche in piena estate, in valigia o nello zaino porta almeno un maglioncino al seguito. “ ‘A ddassupra c’è friddu; pottiti quacchi cosa di pisanti, non si po’ sapiri mai…” è la raccomandazione che i famigliari rivolgono ai propri cari in procinto di affrontare un viaggio verso il settentrione d’Italia. Il cambiamento climatico è certo che esiste. La maggioranza degli esperti però è propensa a credere che “munnu ‘ha statu e munnu è”. Si tratterebbe più che altro di una normale ciclicità climatica. Uno “smacco” per i “catastrofisti” di professione, secondo i quali: “ ‘o peggiu non c’è fini”. Allo stato attuale, ciò che preoccupa in particolare i siciliani è la siccità. Le scarse piogge hanno impoverito gli invasi e prosciugato importanti risorse idriche utili per gli usi domestici oltre che per quelli irrigui. In aggiunta, l’enorme spreco generato dalle infrastrutture che fanno “acqua da tutte le parti”, aggrava non poco il problema. Poi c’è la questione delle opere idrauliche iniziate e mai concluse. Gli acquedotti sono al limite del collasso. “Supra ‘a vàddira, ‘n craunchiu” (sopra un’ernia nasce un foruncolo) direbbe ogni buon catanese. “ ‘A squagghiata ‘da nivi si vìrunu ì puttusa” è però un modo di dire per indicare la constatazione di un problema solo quando esso si manifesta. Eppure nella nostra Isola tutto potrebbe mancare tranne che l’acqua. L’anno scorso nel sottosuolo ragusano, ricco di trivellazioni petrolifere, è stato scoperto un vastissimo giacimento d’acqua. Una risorsa di acque dolci di origine piovana le cui sorgenti-come riportano le recenti cronache-si troverebbero fra i 700 e i 2500 metri di profondità al di sotto dei Monti Iblei. Una risorsa talmente grande che potrebbe in gran parte risolvere la profonda crisi idrica che sta attanagliando la Sicilia. E’ Catania la città che storicamente vanta una privilegiata tradizione in materia idraulica. La nostra città è stata sempre ricca d’acqua. Grazie anche alla presenza dei suoi “alti rilievi” e soprattutto alle nevi dell’Etna. Nel suo sottosuolo scorrono laghi e fiumi. I più noti fiumi sono il Longane e l’Amenano. Il lago di Nicito dalle copiose acque, venne totalmente coperto dalla colata lavica del 1669. Quando nel 729 a.C. i Calcidesi fondarono Katana, scelsero questo sito grazie anche all’abbondanza delle acque. In una delle prime monete, un tetragramma, come simbolo venne raffigurato il Dio fluviale “Amenanos” sottoforma di un toro androcefalo. Raramente la città ha sofferto la mancanza d’acqua. I sistemi di captazione per quei tempi erano molto sofisticati. Pozzi, fontane, lavatoi, numerose sono le testimonianze storiche ancora esistenti. Molte delle fontanelle ancora oggi sparse tutto il perimetro urbano, si presentano prime di rubinetto. Indice di scarsa manutenzione che purtroppo implica uno spreco che andrebbe evitato. Quando la calura delle estati catanesi si fa sempre più forte, una fontana in una delle strade del centro storico e nelle periferie la si trova sempre. Famosa è quella meglio conosciuta come “ ‘Muss’i ferru”. E’ la preferita dei turisti. Si trova addossata al muro della chiesa San Francesco all’Immacolata(Piazza S. Francesco). I catanesi mostrano una certa comprensione nei loro confronti. A volte gli danno perfino la precedenza. Tra amici invece si scherza: “ ‘Lassammilla, non t’ha viviri tutta” è il tono che si usa quando qualcuno beve con avidità. I disastri naturali, fortunatamente non sono riusciti a cancellare le Terme romane e neanche i possenti acquedotti i cui resti sono in parte visibili in alcune zone strategiche della città. Le vie dell’acqua sono molto vaste e suggestive da seguire. L’acquedotto di Catania fu la maggiore opera di convoglio idrico nella Sicilia romana. Attraversava il territorio compreso tra le fonti sorgive di Santa Maria di Licodia e l’area urbana catanese, percorrendo gli attuali territori comunali di Paternò, Belpasso e Misterbianco prima di giungere al capoluogo Etneo. Quello che invece si partiva della Licatia, nel sec.XVII copriva interamente l’area urbana. Serviva: da una parte per i possedimenti benedettini, dall’altra per gran parte della città. Alimentava mulini e abbeveratoi. Sfruttava le acque del fiume Longane che ancora oggi da quelle parti scorre a pelo libero perdendosi.
Catania 02.06.2024
Nella foto, un tratto dell’antico Acquedotto Romano
