Letteratura
Nel giorno di Defunti
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- Creato Domenica, 02 Novembre 2025 01:02
- Pubblicato Domenica, 02 Novembre 2025 01:02
- Scritto da Santo Privitera
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Cosa c’è dopo la morte? E’ una domanda che assilla l’uomo sin dagli albori della sua comparsa sulla terra. Non è una semplice curiosità ma una vera e propria esigenza quasi esistenziale. Teologi, filosofi, scrittori, poeti e perfino scienziati ci studiano da una vita. Niente, nessuno è mai riuscito a venirne a capo. Solo ipotesi e fantasticherie. Di ipotesi se ne possono fare tante. L’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso? I materialisti più intransigenti, quelli che non credono a niente se non vedono e non toccano, affermano che si tratti di “pura fantasia letteraria”. E si continua sempre a ricercare. A Catania, invece, si taglia corto. Sarà per esorcizzare la paura o per chissà quale altro motivo, ma quando si azzarda a intraprendere questi argomenti, si tende a banalizzare: “ ‘A pensa ‘a saluti…tantu o prima o doppu, ‘u vinèmu ‘a sapiri!”. Ovvio che sarà così. Nel gioco del Lotto, 31 e 47 sono “smorfiati” come “morto che parla”. Ecco l’esempio di come il “ morto” può diventare occasione di business. Tutto si complica quando ci si confronta seriamente su questi temi. La morte è il mistero più fitto che possa esistere. E qui entrano necessariamente “in ballo” motivi etici, religiosi, storici, sociologici e tanto altro. Credere a un possibile Aldilà è assolutamente lecito. Il filosofo e teologo danese Soren Kierkegaard affermava: “credere non costa nulla”. Il culto popolare dei morti qua in Sicilia, per quanto la società sia profondamente cambiata, continua a essere ancora sacro. Ha profonde radici. Fino alla metà dello scorso secolo, era vissuto anche in maniera plateale. I rituali erano maniacalmente rispettati. Il defunto doveva indossare il migliore vestito del suo guardaroba, non doveva avere la cravatta(perché sennò sarebbe rimasto incatenato) e la finestra doveva rimanere aperta affinché l’anima potesse spaziare in libertà. E sono solo alcuni. I vivi dovevano rispettare molte altre consuetudini. Se il 2 di novembre non si va al cimitero a onorare i defunti, si fa peccato. I morti, soprattutto per i cattolici, continuano ad essere immaginati vivi. “Essi ci guardano da lassù”. Quando si giura sui propri defunti, è certo che si dice la verità. Se si parla di loro è perché “volunu essiri muntuati”. Nessuno mai si sogna di offenderli come fanno per abitudine i romani quando usano la locuzione “…Li mortacci tua! ”. Come una bestemmia. Ai tempi d’oggi, con la morte quasi si convive. A testimonianza di quanto sottile sia diventato il filo che divide la vita dalla morte, vi sono l’insorgere di nuove malattie. Virus letali dei quali si fa fatica a individuare l’antidoto. Non ci si fida più neanche dei vaccini. Quelli contro il covid, alcune correnti di pensiero li addita come responsabili di morti improvvise spesso tra i giovani. “Cu tuttu chiddu ca sta succirennu ‘nto munnu”-sono i commenti più comuni-“ non si sapi cchiù di chi motti s’ha moriri…”Le guerre entrano nelle case attraverso le notizie che arrivano dai media. E non sono solo quelle che si combattono sui vari fronti di guerra sparsi in tutto il mondo. Un continuo “Bombardamento mediatico” ventiquattro ore su ventiquattro. L’alternativa sarebbe spegnere la tv. Gli smartphone? Da usare solo per telefonare. Magari per comunicare con la famiglia: “Calicci ‘a pasta ca staju vinennu! Il ”. Ma questo sembra ormai impossibile. Man mano che la tecnologia avanza, scompaiono le vecchie tradizioni: Ne verranno di nuove. Ma intanto chi si accinge a superare “gli anta” rimpiange i tempi in cui da bambini si aspettava con trepidazione l’arrivo “de’ motti”. Nelle famiglie agiate, i regali erano assicurati. Pistole, trombette, “azzibbandi”( Batteria musicale per bambini), bambole per le bambine e molto altro. Nelle famiglie povere ci si accontentava anche dei “bulli”, ovvero delle pezzuole che servivano a riparare carpe bucate e vestiti stracciati. Com’era bello sentirsi dire “Vadda chi ti lassaru i motti!..”
Catania 01.11.2025
TEATRO SIPARIO BLU
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- Creato Venerdì, 26 Aprile 2024 09:45
- Pubblicato Venerdì, 26 Aprile 2024 09:45
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Domenica 21 aprile alle ore 17.30 e 21.00 al teatro nuovo “Sipario Blu”, per la regia di Sergio Campisi, l’associazione teatrale “Proscenio” è andata in scena in prima assoluta lo spettacolo teatrale “Bianco.” Non una semplice commedia, ma un brillante quanto intrigante viaggio nel mondo dell’arte attraverso un percorso teatrale vario e articolato. Una vera “manna” per gli appassionati del teatro moderno e contemporaneo. Liberamente ispirato all’opera “Art” della commediografa parigina Jasmine Reza, “Bianco” pone al centro diverse forme artistiche: dalla pittura alla fotografia, dalla grafica alla danza. La trama è coinvolgente, ricca di sfaccettature; invita a riflettere sul valore dell’amicizia e sulla complessità delle relazioni umane in uno “spazio” che ha nell’arte il suo punto di arrivo e partenza. “Può un motivo futile come una tela bianca( acquistata a prezzo esorbitante) mettere in crisi l’amicizia di una vita? Al centro della scena, un enigma silenzioso: un quadro dell’artista Martin. Attorno a questa tela a prima vista vuota di forme e di colore bianco, tre amici si trovano ad affrontare vecchie ferite e conflitti mai risolti. Non solo. Allo stesso tempo, ciascuno di loro è costretto a fare i conti con le proprie problematiche e frustrazioni quotidiane. Un sottile gioco introspettivo che farà emergere paure, rancori, gelosie fino al parossismo. Si giungerà a un finale rocambolesco ed imprevedibile, dove è lecito aspettarsi di tutto. Riusciranno i protagonisti ad abbattere gli invisibili muri che li separano? Tutti gli attori, soprattutto i tre giovani protagonisti, hanno offerto una prova maiuscola. Non era affatto facile districarsi tra le maglie del complicatissimo confronto scatenato da una tela che solo apparentemente si presentava priva di contenuti. I dialoghi fitti e incalzanti, accompagnati da eloquente gestualità, a parte le pause di riflessione, sono stati condotti sull’orlo di una crisi di nervi. Non è mancata l’ironia. Poi la soluzione finale, affatto scontata: semplice ma geniale. La scenografia è stata curata dal collettivo “Pappapane” con il patrocinio dell’Accademia delle Belle arti di Catania. Protagonisti, gli attori: Amedeo Amoroso, Salvatore Gabriel Intorre, Antony Foti. Danze a cura di Ismaele Buonvenga. Musiche originali di Elisa Rasà. Assistente di cena Serena Giuffrida. Direttore di produzione Manuel Giunta. Con la partecipazione straordinaria di Liliana Biglio e, nel duplice ruolo di attrice e assistente alla regia, quella di Margherita Malerba.
Catania 19.04.’24
FOLKLORE CATANESE: “I FIGLI DELL’ETNA”
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- Creato Domenica, 31 Marzo 2024 01:34
- Pubblicato Domenica, 31 Marzo 2024 01:34
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Nell’ambito della rassegna di musiche e canti Folklorici ed etnici che si è svolta in questi giorni a Vigiano in provincia di Potenza, un importante riconoscimento è stato assegnato al Gruppo Folklorico catanese “I Figli dell’Etna”. La compagine catanese che fu diretta per lunghissimo tempo dalla compianta maestra Rita Corona, figlia di Gaetano Emanuel Calì indimenticabile autore della celebre mattinata “E Vui Durmiti ancora”, è stata molto apprezzata per la professionalità musico-scenografica messa in mostra. La rassegna Nazionale dal titolo “Riconoscimento Padri e madri del Folklore” organizzata dalla Federazione Italiana Tradizioni Popolari(F.I.T.P.) ha registrato la partecipazione di un nutrito numero di gruppi provenienti dalle varie regioni d’Italia. Due le categorie partecipanti: la prima riservata ai gruppi etnici di nuovi canti popolari, la seconda invece dedicata ai gruppi folklorici tradizionali. Dei nove gruppi che si sono esibiti in quest’ultima sezione, “I figli dell’Etna” sono stati i più votati. Con l’occasione hanno proposto la versione integrale dell’antico canto popolare “‘L’amaro caso della Baronessa di Carini” tratto dalla colonna sonora dello sceneggiato televisivo andato in onda alla Rai nel 1975. “Una esibizione”-spiega il rappresentante del gruppo e presidente regionale F.I.T.P. Vincenzo Amaro-“che ha proposto alcune innovative variazioni coreografiche e scenografiche, a mio avviso determinanti ai fini del conseguimento del prestigioso riconoscimento.” “I Figli dell’Etna” vantano un curriculum di tutto rispetto. Rappresenta il naturale proseguimento dei “Canterini etnei”, gruppo fondato da Gaetano Emanuel Calì nel 1929. Non a caso, a garanzia del naturale ricambio generazionale, molti dei 50 componenti sono giovani. Nel corso della sua lunga attività, la compagine ha girato il mondo portando ovunque il vessillo della sicilianità. Rita Corona lasciò la direzione solo pochi anni prima della sua scomparsa avvenuta nel 2012 a quasi cento anni di età.
Nella Foto, il gruppo “I Figli dell’Etna”


