LA RECENSIONE: “ANTONIO MONTECASSINO, UN SICILIANO A NEW YORK”
- Dettagli
- Categoria: Recensione libri
- Scritto da Santo Privitera
“Montecassino un Siciliano a New York” è un agile volumetto scritto da Salvatore Carcò e Torquato Tricomi. Quasi cento pagine corredate da foto, documenti vari e spartiti musicali. Al suo interno ospita due articoli di Pio Salvatore basso e Luca Sinatra. “Un saggio utile”-come riportato nella prefazione- “scritto dosando bene cuore storia e memoria”. Non è soltanto un lavoro biografico, perché affronta in estrema sintesi diverse tematiche relative agli usi e costumi popolari militellesi dello scorso secolo. I due autori, entrambi musicisti, trattano gli argomenti su fronti diversi. Tricomi si occupa delle tradizioni, della musica da ballo, della pregiata liuteria catanese, dei musicisti che hanno fatto la storia della musica popolare catanese in particolare; Carcò invece fa ricorso ai ricordi personali e alla documentazione inedita per tratteggiare con estrema precisione la biografia del musicista militellese Antonio Montecassino del quale fu anche allievo. Montecassino nasce a New York nel 1916. Trasferitosi Militello in Val di Catania paese d’origine dei genitori, eserciterà per tutto il ‘900 una intensa attività musicale come polistrumentista, compositore e insegnante. Sotto la sua attenta guida, si sono formati musicisti di talento che ancora oggi svolgono la propria attività in Italia all’estero. Suo grande merito è stato quello di avere ridato vigore e professionalità al corpo bandistico del suo paese. Ha composto e inciso un lungo elenco di musiche ballabili, marce e trascrizioni per chitarra di brani famosi. Attorno alla sua figura, ruotano altri protagonisti dell’epoca d’oro della musica popolare fatta di “fistini” in famiglia, serenate sotto i balconi e musiche dei saloni da barba. Il maestro concluse la sua vita nel 2007 a New York, dove si recava spesso.
Catania 1.08.’24
Nella foto, la copertina del libro
L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA E L’AUTONOMIA SICILIANA
- Dettagli
- Categoria: Moda Costume e Società
- Scritto da Santo Privitera

La recente approvazione della legge sull’ autonomia differenziata, ha riportato alla memoria la vecchia questione dell’autonomia siciliana. La scia velenosa, rumorosa e polemica che in questi giorni si sta sviluppando da sud a nord, sembra però essere in contraddizione con la storia. Si invoca perfino il referendum abrogativo nel segno di quella Unità che dai banchi dell’opposizione si considera minacciata. A Catania, qualcuno ha ironicamente commentato: “Si viri ca sti pulitici mangiunu pani scuddatu!”. Fino a qualche tempo fa, quando in Sicilia si parlava di autonomia, erano in molti a storcere il naso. Ma c’era pure chi qualche sorrisetto lo faceva sotto i “baffi”(anche se non li aveva). Non perché non la volesse, anzi tutt’altro. Perché a quasi settant’anni dal varo, 15 maggio 1948, la sua applicazione si è rivelata del tutto insufficiente, se non addirittura inconsistente. Una vera e propria beffa, se proprio la vogliamo dire tutta. Eppure a suo tempo fu fortemente invocata addirittura nelle forme più estreme: quelle cioè inneggianti al separatismo. Per questa causa vi furono dei morti. Sulla questione si sono espressi autorevoli storici e politologi. Quasi tutti convergono su un punto: lo Statuto autonomistico siciliano sarebbe stato “Uno specchietto per le allodole” , o forse un “contentino” dato in pasto dal neonato governo repubblicano per sedare gli animi dei gruppi separatisti sparsi in tutta l’Isola. Alcuni di essi fondarono un regolare partito, il M.I.S. ( Movimento Indipendentista Siciliano), altri invece imbracciarono addirittura le armi. Tutto nasce dal fatto che i vecchi malumori post -unitari non si erano mai sopiti. “Arsa l’arma a Garibaldi”-sostenevano i più accaniti-“ il barbuto generale ha agito in combutta con i Savoia i quali hanno depredato la Sicilia per risanare le finanze dei piemontesi indebolite delle guerre d’indipendenza”. “Mpriulai jardini di rosi/ pi cògghiri simenza di zammàra/”-scriveva il poeta nativo di Catenanova ma catanese di adozione, Venero Maccarrone(Turi Lima)- “e m’astutaru dintra l’occhi/ travi di focu”.(Ju Sicilia). Il gruppo dirigente che perorava la causa della separazione politico-amministrativa dall’Italia, convinto com’era che le forze economiche dell’Isola lo consentissero, lottarono per la separazione “costi quel che costi”. Ci tentarono con la forza dei numeri, ottenendo discreti risultati. Gli onorevoli Andrea Finocchiaro Aprile, Antonino Varvaro, Attilio Castrogiovanni, Concetto Gallo sedettero in Parlamento. Chi in quello nazionale, chi in quello regionale; si distinsero per la forza delle proprie convinzioni. In quel preciso contesto storico, rappresentavano la voce di un popolo che si sentiva “tradito” dalle legittime aspettative unitarie. Si batterono per portare “a casa” qualcosa di utile come forma “risarcitoria”. Ottennero uno Statuto che, “Sulla carta”, appariva innovativo e soprattutto utile per lo sviluppo economico, sociale e culturale della Sicilia. Alla luce del risultato finale e dopo tante lotte sostenute, l’esito fu deludente. Anno dopo anno, quella che doveva essere la Carta costituzionale, andava sempre più sbiadendosi. Lo Statuto, così venne svuotato dalle fondamenta. Vilipeso. Di chi la colpa? Di “Uno, nessuno e centomila” avrebbe risposto il grande Pirandello. Le critiche si abbattevano tutte le volte che veniva fatto rilevare lo stato di arretratezza dell’Isola. I tentativi compiuti( o soltanto promessi) di ridargli una effettiva “vitalità” sono stati vani. Subito dopo la seconda guerra mondiale, nell’Isola era scoppiato il caos. Troppe armi ancora circolavano: anche tra la popolazione civile. Qualcuno pensò che fosse giunto il momento di tentare il “colpo di mano”: anche militare se fosse stato necessario. L’ala militarista dell’E.V.I.S. ( Esercito Volontari per l’Indipendenza della Sicilia), si batté questo. Mise in campo tutte le risorse possibili, andando però a scontrarsi con le forze dell’ordine prima e con l’abile tessitura diplomatica messa in campo dal nascente governo repubblicano, dopo. Proprio in questi giorni, come ogni anno, gli indipendentisti in forma ristretta ricordano l’eccidio di “Murazzu ruttu” , nei pressi di Randazzo. In questo luogo, 17 Giugno del 1945, in uno scontro a fuoco con i carabinieri trovarono la morte Antonio Canepa e quattro giovani studenti tutti animati dalla medesima causa rivoluzionaria. Canepa, docente universitario, era stato l’autore del libro “La Sicilia ai Siciliani”. Si trattava di un vero e proprio “statuto” da applicare nel caso in cui l’Isola avesse ottenuto la sospirata indipendenza.
Catania 22.06.’24
ODIO L’ESTATE
- Dettagli
- Categoria: Moda Costume e Società
- Scritto da Santo Privitera

“Odio l’estate/ il sole che ogni giorno ci donava/ gli splenditi tramonti che creava/adesso brucia ancora con furor…/ Tornerà un altro inverno/la neve coprirà tutte le cose/(…)” Questa canzone negli anni ’60 fece furore. Un vero tormentone. E in quel periodo, di tormentoni ne nacquero tanti. La cantava Bruno Martino, un cantautore pianista a quell’epoca molto famoso nei night club. Sempre in giacca e cravatta: da un lato il pianoforte, dall’altro un bicchiere di whisky da sorseggiare tra un brano all’altro. Oggi questa canzone sembra essere tornata di moda, metafora di una stagione che ogni anno diventa sempre più asfissiante. I motivi delle lagnanze sono tante. Si va dalle acque inquinate e fino ad arrivare alla mancata legge sui “balneari” che tiene in sospeso il lavoro di tanti imprenditori del settore. Con il caldo torrido di questi giorni e la siccità che sta flagellando l’Isola, molti la staranno maledicendo davvero quella che un tempo era la stagione delle ferie, dei bagni e degli amori facili. Nei social, e non solo, c’è chi ammonisce: “Quannu c’è friddu, non vi vogghiu sentiri cchiù lamentari….”. Mentre dal freddo ci si può difendere coprendosi adeguatamente, contro il caldo non ci sono tanti rimedi.” ‘A Peddi, non ‘na putemu scippari” -si dice dalle nostre parti. Allora meglio difendersi nel modo più efficace possibile. Si cerca riparo al mare o nell’alta montagna. In questi casi: meglio un posto all’ombra che…al sole. Per chi resta in città è consigliabile il ritorno a un buon “ventilatore”. Rispetto al climatizzatore “sparato a palla”, si risparmia sulla bolletta della luce e sul costo dei farmaci anti-influenzali e anti-infiammatori. Si consiglia di bere molti liquidi moderatamente freschi. L’Etna si risveglia sempre in questi periodi. Sembra farlo apposta. Non perde occasione per mettersi in mostra. I turisti rimangono estasiati da quelle fontane di lava che sgorgando dal cratere centrale producono un impareggiabile spettacolo. Molto meno estasiati lo sono le popolazioni etnee, costrette a usare soffiatori, scope e ramazze per ripulire terrazze, tetti e cortili. “Lavica, sapessi come lavica in città”…scrive un poeta catanese che “romanticamente” ironizza su questo fenomeno diventato ormai frequente. Non fiocchi, ma polveri sottili che se da un lato fertilizzano i campi, dall’altro nuocciono ai polmoni. A Catania, la stagione balneare ufficiale cominciava “doppu ‘a Maronna ‘o Carminu” ovvero dopo il 16 luglio. Una data che non si rispetta più già da molto tempo. Le famiglie preferiscono andare al mare sin dalla prima decade di giugno. Quando aprono i lidi, sono tutti lì ad attendere. Si posizionano davanti all’ingresso: sono muniti di sdraio, cappellino, ambra solare, materassino e ombrellone. I bambini, oltre a secchiello paletta, braccioli, maschera e pinne posseggono il telefonino. Una volta lo ostentavano, oggi non c’è più di bisogno perché ce l’hanno tutti. Mamma e papà potranno stare tranquilli e farsi nel frattempo una bella “Scala quaranta” con gli amici di spiaggia. I piccoli se ne staranno zitti e buoni almeno fino a quando, colti da un leggero languorino allo stomaco, non reclameranno un bel panino con la mortadella o con il salame dentro. L’aria marina stuzzica la fame. I genitori lo sanno bene: “ ‘u picciriddu è siccu: ‘ora ‘u puttamu a mari…accussì ci sbòmmica ‘a fami”. Attenzione però, perché prima di fare un altro bagno devono trascorrere almeno tre ore: il tempo della digestione. Questa raccomandazione da parte dei genitori non è mai venuta meno. Alla Playa o alla scogliera, importante è tuffarsi per trovare nell’acqua un po' di refrigerio. A mollo si sta fino a quando non cominciano a comparire i primi segni “violacei” sul corpo. Il vistoso “rattrappimento” alle mani rovina poi l’estetica. Soprattutto per le ragazze potrebbe diventare un segno poco piacevole. La spiaggetta libera di San Giovanni Li Cuti, anche durante le belle giornate d’inverno è frequentata da giovani e meno giovani. Questi ultimi sembrano essere in maggioranza. Sono quelli che non temono affatto gli acciacchi. “Stare in acqua, sia in ammollo che nuotando,”-sostengono gli attempati signori frequentatori abituali -“ rilassa e migliora la mobilità delle articolazioni”. Hanno ragione. L’aria marina ricca di iodio, tra i tanti benefici posseduti ha la capacità di liberare in modo efficace le vie respiratorie”. Dopo una sana nuotata, emerge uno dei veri motivi dell’Impresa: dimostrare che la vecchiaia non esiste. Gli altri motivi, invece, hanno nei ricordi giovanili una matrice comune. Quando ancora erano pochi i lidi, i ragazzi scorrazzavano liberi per le scogliere. Nei pressi della stazione, c’era uno scoglio a picco sul mare dove i più spericolati “osavano” lanciarsi a mare incuranti del pericolo. Qualcuno ci lasciò pure la pelle. La scogliera, ‘u gaitu( oggi largo Candido Cannavò) e soprattutto la Playa restano per i catanesi, i veri luoghi della memoria estiva.
