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Catania: Consacrazione del quartiere Barriera del Bosco alla Madonna del Carmelo
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- Creato Lunedì, 11 Agosto 2025 08:42
- Pubblicato Lunedì, 11 Agosto 2025 08:42
- Scritto da Santo Privitera
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Si sono conclusi a tarda notte a Barriera, i festeggiamenti in onore della Madonna Del Carmelo. Erano iniziati come da tradizione, il primo luglio. Il programma anche quest’anno è stato molto intenso e partecipato. Oltre alle consuete funzioni liturgiche, notevole è stata l’attività ludica e culturale che ha visto impegnati molti giovani nei due oratori parrocchiali dislocati nel territorio. Il parroco don Domenico Rapisarda, nel ringraziare il comitato per i festeggiamenti, si è detto molto soddisfatto soprattutto per la folta partecipazione dei fedeli. “E’ stata superiore”-ha sostenuto- “a ogni rosea aspettativa”. Non a caso gran parte delle manifestazioni pubbliche si sono dovute svolgere all’interno della piazza S.Maria del Carmelo antistante l’omonima chiesa. In questa edizione che cade nell’anno Giubilare, alcuni temi sono stati posti al centro dell’attenzione: La solenne cerimonia eucaristica presieduta dall’arcivescovo Mons. Luigi Renna per la consacrazione del Quartiere alla Madonna del Carmelo; La consegna dell’antico fercolo rimesso a nuovo a cura della Soprintendenza ai BB.CC. di Catania. Con l’occasione, la restauratrice dott.ssa Maria Scalisi ha illustrato nei dettagli le delicate fasi dell’operazione. Nella stessa serata, allietata dal gruppo Folk “Eco dell’Etna” e dalla prodigiosa voce solista del soprano Angela Curiale, è stata annunciata da parte dello stesso autore, l’imminente presentazione di una pubblicazione sulla storia della Parrocchia. Nell’ultimo giorno dei festeggiamenti, il fercolo con il prezioso simulacro della Madonna del Carmelo, trainato dai devoti e accompagnato dalla banda musicale del m° Virgillito, ha attraversato da Nord a Sud le principali vie del quartiere. Spettacolari e emozionanti, scanditi da preghiere e applausi, sono stati: l’omaggio floreale dei VV.FF. alla statua della Madonna posta alla sommità della facciata principale della chiesa, e la XXIII edizione della “discesa dello Spirito Santo” svoltasi al largo Giuseppe Catanzaro(‘a Bbiviratura) a cura del comune di Sant’Agata Li Battiati. I fuochi pirotecnici finali hanno concluso i festeggiamenti di quest’anno.
Nella Foto,
l’arcivescovo mons. Luigi Renna pronuncia la formula della consacrazione.
FONTANA DEI “LAVANDINI”
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- Creato Sabato, 12 Luglio 2025 17:06
- Pubblicato Sabato, 12 Luglio 2025 17:06
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Quando abbatterono il cavalcavia del Tondo Gioeni, il rumore fu infernale. Era il 7 agosto del 2013. Le “pinze meccaniche” si accanirono senza pietà su quella struttura che appariva solida. “Altro che pericolante come avevano lasciato credere….” si commentò in città. Non cedette di schianto, ma dovettero “rosicchiarlo” per parecchi giorni prima di eliminare l’ultimo lembo di cemento e ferro rimasto attaccato. L’eco di questo rumore si sente ancora. Si sente tutte le volte che davanti al “torna indietro” della circonvallazione, il traffico verso Ognina subisce rallentamenti. Il “fantasma” del ponte si materializza quando sui social appare la foto dell’autobus 29 che corre “allegro” su quella rampa “serpentina” vicino al “bivio” tra Barriera e Canalicchio. E’ pieno di passeggeri. A giudicare dall’immagine, potevano essere circa le 14.00. Il catanese di una certa età fantastica: “su quell’autobus potrei esserci anch’io di ritorno dalla scuola”. Si impreca, si maledice “l’ura e ‘u mumentu di quannu fu”. Qualcuno ricorda pure lo “scherzetto” della caduta del ponte che avrebbe causato una “strage”. Una “bufala” tutta catanese che allarmò non poco la popolazione. Era stata messa in circolazione appena qualche anno prima dell’abbattimento. Non si sa bene il motivo. Una premonizione o una “prova” per vedere la reazione dei i cittadini di fronte al reale abbattimento? Chissà. Sul rimpallo di responsabilità che ne seguì, meglio stendere un velo pietoso. Le amministrazioni comunali dell’epoca, giocarono a scarica barile: “Fusti tu;…no..fusti tu co’ facisti abbiari ‘n terra…!” Manco i bambini dell’asilo. E all’automobilista catanese non resta che dire: “ Cu fu, fu…basta ca c’è ‘a paci!”. Ma quello del traffico in questo snodo cruciale della città, non è il solo “bubbone” rimasto. Da diversi mesi la fontana fatta costruire nel contesto della cosiddetta “riqualificazione” dell’area, è desolatamente asciutta. Doveva essere una “Monumentale Fontana” e invece oggi sembra un vero e proprio monumento allo spreco. Al centro della grande nicchia rivestita con pietra di Mirto, campeggiano due vasche marmoree a forma di calotta sferica. Ancorate sulla parete di fondo, sono poste a diversa altezza l’una sopra l’altra. Qualcuno in quel frangente si chiese: “…ma picchì a ficiuru d’accussì!?, ‘na putèunu fari cchiù semplici??!!…Fa sempri ‘u lippu; e quannu c’è ventu, vagna i machini e i muturini ca ci passunu vicinu.” Nell’idea del suo progettista, avrebbe dovuto richiamare la storica fontana dell’ Amenano di piazza Duomo, all’ingresso della pescheria. Costata a suo tempo più di settecento milioni, ultimamente ci sono persino voluti altri soldi spesi per spiantare e ripiantare con criteri meno complicati il vecchio “giardino verticale” nel frattempo andato in malora. In questi giorni, a completamento della “quinta scenografica” della zona, è comparso un “murales”. Non è raffigurato uno dei simboli cittadini bensì due donne tra i fiori. “Mah!… Vacci a capire qualcosa!…” verrebbe da dire. Intanto la fontana resta muta. “Muta come un fiore morto/…come una bocca che non ha sorrisi/“ recitano i delicati versi di un’antica canzone degli anni ’50 dello scorso secolo(Fontana muta). Pochi giorni dopo la sua inaugurazione avvenuta a giugno del 2018, la reazione non si è fatta attendere. Condita di “liscia”, come sempre. La fontana è stata prontamente ribattezzata “ ‘a funtana de’ lavandini”. Successivamente, un gruppetto di ragazzini appartenenti a una scolaresca cittadina, si è presentato in tenuta balneare. I fanciulli hanno fatto il bagno nella vasca di sotto. Una “provocazione”al limite dell’oltraggio, pare architettata dalle loro stesse maestre. Quanto accaduto, ha indotto l’allora amministrazione a istallare telecamere in tutta la zona. Storicamente, i cittadini catanesi non hanno mai avuto un buon rapporto con le fontane monumentali. Ricordiamo la fontana raffigurante la Dea Pallade( ‘A Tapallira), che da piazza Università venne spostata in periferia. La fontana di piazza Stesicoro, invisa ai catanesi che la denominarono “A funtana ‘da jettatura” o “Sculapasta”. Venne eliminata per fare posto al monumento dedicato a Vincenzo Bellini. L’antica “Fontana dell’Obelisco” a piazza Cutelli, alla Civita; smontata pezzo per pezzo dai monelli del rione. Lo stesso simbolo del “Liotru” privato della settecentesca vasca. Questi non sono che pochi esempi. Il Sindaco Domenico Magrì fu appassionato sostenitore delle fontane monumentali. Per questo gli venne attribuito il “pecco”(nomignolo) di “La fontaine”. Tra gli anni 1952-53, ne fece istallare tre. In particolare fu noto per avere disseminato fontanelle ovunque: nel centro storico come nelle periferie. Col “beverino” o con il “cannoncino” non c’era preferenza. Queste ultime vennero ribattezzate dai catanesi: “Muss’ì ferru”.
Nella fato, un particolare della Fontana del Tondo Gioeni
Pubblicato su “La Sicilia“ del 6 Luglio 2025
SANT’ALFIO 2025, TRA RITI E TRADIZIONI.
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- Creato Lunedì, 12 Maggio 2025 16:01
- Pubblicato Lunedì, 12 Maggio 2025 16:01
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C’è grande giubilo nel mondo cattolico: “Habemus papam…!”. Qualcuno scherzosamente ha pure aggiunto in un improbabile latino simil-maccheronico: “Finalmentem!”. E sì, perché dalla morte di Papa Francesco e fino all’elezione del nuovo pontefice, non si è fatto altro che parlare sulla figura del possibile sostituto. L’argomento è stato voltato e rivoltato fino alla noia. Uno dietro l’altro sono intervenuti storici, teologi, politici e giornalisti; ciascuno a dire la sua. Dibattiti lunghi e articolati, alcuni dei quali interessanti; altri un po' meno. “ Menu mali ca finìu: radiu, televisioni, telefonini e giunnali, javi ddu misi ca ‘ni fánnu ‘a testa quantu ‘m palluni!...Auuuu e com’è!!!… s’ann’â puttàtu sensu e ciriveddu!!!… non ni putèumu cchiù…ahhhh! ”, chissà in quanti l’avranno pensato. E’ stato come una vera liberazione. Ma di certo non è finita qui. In questa fase, media e politici muoiono dalla voglia di scoprire se il Santo Padre eletto sia progressista oppure conservatore. E’ già cominciato il “tiro della giacchetta” anzi: “della tonaca”. Su questi temi si dibatterà ancora a lungo. Intanto ieri è stata la festa di S.Alfio, Cirino e Filiberto. Anche se tante usanze nel frattempo sono scomparse, molte altre resistono ancora. Sono sempre di meno quelli che ricordano la corsa dei cavalli nella ripida e caratteristica ‘N chianata ‘i sapunara. Inoltre, con i carretti siciliani nessuno scende più “ubriaco” da Trecastagni a Catania. A’ calata de’ ‘mbriachi come la descrisse Giuseppe Pitrè in una delle sue più importanti opere sul folklore siciliano, ormai è solo un mito. “Lu deci di Maggiu ‘nciuri su li vigni/ ca lu suli accalura li campagni/ Tu carrettieri la vita t’impigni/pi ghiritinni ‘a festa a Tricastagni(…) lo scriveva il poeta Salvatore Coco intorno alla metà dello scorso secolo. Oltre ai riti liturgici dedicati ai Santi martiri, lo spessore culturale di questa festa si misura dalle gesta spontanee del popolo. Carrettieri, musicisti, semplici poeti illetterati trassero linfa per le loro composizioni. La letteratura dedicata a questa festa è zeppa di opere e di autori celebri. Federico De Roberto, Ercole Patti, Antonio Aniante e perfino Carlo Levi furono tra questi. Una festa che riesce ancora oggi ad attrarre devoti da tutte le parti. Il suo fastoso contorno denso di Arte e Folklore allo stato puro, l’ha resa celebre nel mondo. Molti i turisti che affollano le vie del piccolo paesino Etneo; si fanno strada per seguire la processione ma anche per ammirare gli ex voto che all’interno del Santuario testimoniano i miracoli ricevuti negli anni dai devoti. Trecastagni ogni anno diventa il “centro” della Sicilia. La notte tra il 9 e 10 maggio, “flotte” di devoti si recano a piedi verso il Santuario. Portano i ceri da offrire ai Santi Martiri. Lo fanno invocando ad alta voce i loro nomi. Raramente ormai si incontrano “ I Nuri”(I nudi). Erano uomini che a torso nudo e con una larga fascia a tracolla, gravati da un grosso cero sulle spalle, a passo svelto affrontavano pregando la dura salita da’ ‘N chianata ‘ì sapunara. Indossavano solo larghi mutandoni( mutanni ‘a sbaccu). Poi l’’ingresso spettacolare all’interno del Santuario e l’urlo liberatore: “Sant’Afiuuuuuuu!!!”. Fin dal settecento la festa di S.Alfio a Trecastagni era uno dei tre eventi religiosi, dopo quella di Sant’Agata e del Carmelo, più seguiti dai cittadini catanesi. Nel quartiere della Civita, non avrebbero mai concesso in sposa la propria figlia se il pretendente non avesse promesso di andare tutti gli anni con la famiglia per festeggiare i Tre Santi. Anche a Sant’Alfio a Vara il culto dei tre Santi è molto sentito. Il toponimo del piccolo centro situato alle falde dell’Etna, possiede una propria peculiare simbologia. Prende il nome dal Fratello più grande dei tre. Alfio, prima di morire arso nella pece, incitò i fratelli a non cedere all’abiura della Fede cristiana. Inoltre la “Vara”(sbarra) fa riferimento a un miracoloso evento capitato ai tre Santi durante il lungo tragitto mare-terra che da Messina li portò a Lentini nel passaggio obbligato tra le lave dell’Etna. Tradizionalmente il piccolo centro celebra i suoi tre Santi la prima domenica di maggio, lo fa proprio per non farla coincidere in concorrenza con quella di Trecastagni. Nella festa “Sant’Affiota”, spicca la “Dera”: piccoli falò accesi presso l’uscio di ciascuna abitazione lungo le strade principali del Paese. L’usanza nasce dal ricordo della compassione che il popolo manifestò durante il transito dei tre giovani fratelli. “I falò servivano” -spiega il devoto Orazio Patanè- “ a illuminare e riscaldare il cammino dei Tre martiri. Intanto che passavano la gente cercava di rifocillarsi sfidando l’ira delle guardie di scorta.
Pubblicato su “La Sicilia“ 11.05.’25
L’autobus Rosa
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- Creato Lunedì, 12 Maggio 2025 15:27
- Pubblicato Lunedì, 12 Maggio 2025 15:27
- Scritto da Santo Privitera
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Chi a quell’epoca era ragazzino, se lo ricorderà. Quello che accadde nell’autunno del 1960, oggi avrebbe fatto “incazzare” di brutto i fautori del “politicamente corretto”. Per loro, come è noto, vige il divieto di esprimersi per “genere”. L’episodio riuscì a dividere profondamente. Da un lato mise in moto la fantasia del “barzellettieri”, dall’altro fece storcere il muso ai tanti progressisti amanti del modernismo. Ma ci fu pure chi tirò un sospiro di sollievo. “Cose di Catania” si direbbe; e in effetti solo a Catania terra della liscìa possono accadere simili cose. Chissà come avrebbe reagito poeta Domenico Tempio se fosse stato in vita. Stesso discorso per Ciccio Buccheri Boley. Ma questo acuto poeta umorista, in quel preciso periodo era ormai quasi giunto al “capolinea” della sua vita. Certi aneddoti, certi accadimenti restano indelebili nella storia della nostra città. All’epoca, se ne parlò così tanto che la notizia in poco tempo si diffuse a macchia d’olio. Riuscì davvero a fare il giro del mondo. “Cririmi”-disse un giornalista catanese al collega di Milano-“Mi cascàu a facci ‘nterra…! E meno male che non esistevano ancora i “social”, altrimenti ciascuno si sarebbe potuto sbizzarire a piacimento. I toni sarebbero stati senza dubbio ironici e irriverenti. E’ dell’autobus linea 27 che stiamo parlando, al quale venne affiancato “l’Autobus rosa”. Guarda caso, manco a faro a posta, il numero 27 nel gioco del lotto significa “Pitale”(vasino da notte). In quei primi anni Sessanta dello scorso secolo, non erano ancora molte le auto private in circolazione. A scuola, a lavoro, al cinema o a una festa da ballo ci si andava con i mezzi pubblici. Per il “gentil sesso” era ancora più complicato spostarsi. La donna che lavorava fuori dalle mura domestiche, non era vista di buon occhio. In particolare modo quelle che lavoravano nelle grandi aziende dove la commistione tra uomini e donne era la regola. “ ‘A picchì non si stanu ‘e casi!..Era il commento ricorrente degli uomini. In quegli anni, la città era nel pieno del suo sviluppo. Alla zona industriale, le nuove aziende nascevano come i funghi. Il lavoro era assicurato e la disoccupazione ai minimi livelli. In giro si vedevano ancora le “carrozzelle” con tanto di cavallo e cocchiere. Difficilmente si sarebbero avventurate per andare alla zona industriale. In ogni caso ci sarebbero voluti un bel po’ di quattrini al giorno, non era roba per operai/e. In circolazione vi erano anche le vetture private. In particolare la seicento multipla. Ne usufruivano soprattutto le famiglie che provenivano dalle estreme periferie, oppure coloro i quali dai paesini dell’Hinterland si spostavano verso la città e viceversa. Poteva imbarcare da quattro a cinque persone, con gli strapuntini (seggiolini aggiuntivi) anche sei o sette. Era dotata di portabagagli nel retro e sul tetto. Ma ad essere prese d’assalto tutti i giorni erano i mezzi pubblici. Le poche vetture circolanti della SCAT, risultavano sempre affollate. I passeggeri erano così “pigiati” tra di loro che quasi non era necessario tenersi nei sostegni. C’era sempre la corsa per accaparrarsi un posto a sedere. La linea 27 era quella che faceva tappa alla Zona industriale. Partiva da piazza duomo. All’interno, uomini e donne salivano di prima mattina per raggiungere il loro posto di lavoro. Tutto normale… invece no. Si sa che l’occasione fa l’uomo ladro; a volte anche sporcaccione. Fatto sta che signore e signorine nubili, spostate oppure fidanzate, erano costantemente “attenzionate”. Lamentavano di essere oggetto di “struscio” e “manomorta” da parte di uomini di tutte le età. Qualcuno si “imbucava” per partecipare. Quella tratta era diventata un vero e proprio “oltraggio al pudore”. Tra una corsa e l’altra, volò sì qualche ceffone, esplose pure qualche zuffa; ma nacquero anche teneri amori. Serpeggiò inevitabilmente tra mariti e fidanzati, una più che giustificata gelosia. I sussurri diventarono grida. La mattina del 18 ottobre del 1960 ci furono i poliziotti ad attendere operaie e operai al capolinea. Un solerte agente si incaricò dello “smistamento”. Le prime furono fatte salire su un autobus di colore “rosa” per sole donne, i secondi furono fatti accomodare sulla solita linea 27. Ci fu qualche mugugno, ma nulla di più. Si aprì la caccia all’autore della “trovata”; tutti: dirigenti e impiegati compresi, negarono qualsiasi coinvolgimento. Della faccenda ne parlarono i giornali di mezzo mondo. L’ironia fu tagliente, la società catanese non ne uscì affatto bene. Ci fu perfino chi tenne a battesimo le due vetture: “Cuncittina” fu l’autobus rosa; “Baffuni”, l’altra.
Pubblicato su “La Sicilia” del 10.03.25
I CENTO ANNI DELLA SCOMPARSA DI GIACOMO PUCCINI
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- Creato Mercoledì, 18 Dicembre 2024 11:36
- Pubblicato Mercoledì, 18 Dicembre 2024 11:36
- Scritto da Santo Privitera
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Il 29 novembre del 1924, moriva a Bruxelles il grande compositore toscano Giacomo Puccini. Si era sottoposto a un intervento chirurgico per la rimozione di un tumore alla gola. Catania lo ha ricordato proprio nel giorno della sua scomparsa, con la conferenza “Omaggio a Giacomo Puccini nel centenario della morte” che si è tenuta alla Biblioteca “V.Bellini” di via Di San Giuliano. L’iniziativa è stata del critico musicale Nunzio Barbagallo. “Era doveroso ricordare nella città di Bellini”-ha esordito il giornalista Santo Privitera che ha introdotto i lavori-“un musicista che con le sue opere ha reso celebre il melodramma italiano in tutto il mondo”. L’intervento del relatore è stato molto dettagliato. Barbagallo si è soffermato sulla vita e le opere del maestro toscano. Ha inoltre approfondito la genesi delle sue composizioni attraverso una attenta analisi critica. “ È stato un accanito fumatore, un impenitente donnaiolo, un fanfarone sensibile e cinico”-ha sottolineato tra l’altro Barbagallo-“ ma un grandissimo musicista che con le sue composizioni ha caratterizzato il Novecento musicale italiano.” Non solo. Un particolare rilievo è stato dato alle interpreti, per la maggior parte donne, che hanno contribuito al successo delle sue opere. Alcune arie famose tra le quali “Oh mio babbino caro”(da Gianni Schicchi); “Vissi d’arte”(Tosca); “Un bel dì vedremo”(Madame Butterfly) sono state proposte al pubblico mediante supporto informatico. In un video, la voce originale del maestro e l’intervista risalente ad alcuni anni fa, alla nipote. Giacomo Puccini venne una sola volta a Catania, ma per incontrare Giovanni Verga. Avrebbe dovuto musicale un suo lavoro, però non se ne face nulla. Ad arricchire la serata, è stata la brillante esibizione del maestro violinista Salvo Domina che ha eseguito dal vivo alcune arie operistiche tratte dal repertorio pucciniano. Al termine della serata, il pubblico presente ha avuto modo di ammirare la mostra documentaria organizzata dalla direttrice della Biblioteca Bellini, Sabina Murabito. Nell’allestimento curato da Agata Tarso e dal collezionista privato Gaetano Strano, non solo volumi sulla vita e le opere del musicista toscano, ma anche articoli apparsi su quotidiani, riviste; libretti d’opera e depliant di eventi lirici nei maggiori teatri italiani ed esteri.
Catania 03.12.2024
Nella foto, da sin.Maestro Salvo Domina, dott. Santo Privitera, musicologo Nunzio Barbagallo.