Mammoriani e Monfiani a Catania

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Così va la vita, i tempi cambiano. Se andasse diversamente, sarebbero guai. Ci si annoierebbe a morte. Il cambiamento è tanto necessario quanto difficile da arrestare. Lo si percepisce dalle nuove continue tendenze con cui evolvono usi e costumi nel mondo. Anche se a molti tradizionalisti catanesi piacerebbe vivere ancora a tempu “de’  “Canonichi ‘i lignu”( sempre alla stessa maniera), davvero non si può più. Prima che ritornino i cosiddetti “corsi e ricorsi storici” di vichiana memoria, ci vorrebbe almeno un'altra vita. E non è detto che ci sia… concessa. Per intanto è meglio affidarsi alla storia. Anzi, proprio la storia diventa il metro col quale misurarsi. Frugare con curiosità nei ricordi da bambino, per vedere come e con quale ritmo nel frattempo sia cambiata la società che ci circonda. In questo senso, la nostra città offre spunti molto interessanti. “ Il catanese è filosofo per natura e incolto in filosofia; la follia e la saggezza lo guidano senza litigare”: questo affermava lo scrittore  Vitaliano Brancati. Lui conosceva molto bene di che “pasta” erano gli abitanti della sua città d’adozione. ”Quando tra conoscenti ci si incontra per strada, è solito domandare “come stai?…”  la risposta è quasi sempre la stessa: “Cca semu!…” Un vero e proprio automatismo appartenete alla sfera del buon augurio. La variante è:  “ ‘A comu voli ddiu!… semu tutti sutta stu celu”.  In quest’ultimo caso, si avverte evidente il segno di uno strisciante malessere tipico di chi è avanti d’età. In piazza, nell’autobus, nei giardini pubblici, o in qualche altro luogo, diventa un rituale che quasi sempre innesca il dibattito sul momento storico che si sta vivendo. Ognuno dice la sua, ma si finisce per convergere solo su un punto: la critica verso l’amministrazione pubblica. A qualsiasi colore essa appartenga. Ma Catania, si sa, è patria di “liscìa”. Alla domanda “come stai?…si corre il rischio di sentirsi rispondere in modo lapidario:  “A ttia chi ti ‘nteressa!!!…”. E’ già successo. Quando esisteva il telefono fisso, uno dei passatempi preferiti era lo scherzo telefonico. A essere prese di mira erano le signore, meglio se anziane: “Signora, sono dell’acquedotto, che fa ne ha acqua nei rubinetti!?…alla risposta affermativa, l’interlocutore palesava la burla con epiteti poco edificanti. Quando nei primi anni ’60 dello scorso secolo Catania era denominata la “Milano del Sud”, il reddito pro-capite era molto soddisfacente. Nasceva il corso Sicilia sulle ceneri di una parte consistente del vecchio San Berillo. Da un lato si rimpiangevano le “case chiuse” cancellate dalla legge Merlin, dall’altro si dava il “benvenuto” al nascente centro finanziario che avrebbe dovuto schiudere le porte a un futuro “brillante” sul  piano economico. Una città del profondo sud, finalmente figurava nelle altre classifiche. Anche la squadra di calcio militava con successo nel massimo campionato. Pippo Baudo scalava le vette di gradimento in tv, rivendicando con orgoglio la propria catanesità.  A quel tempo si diceva che Catania era “ ‘nta sudda” cioè in mezzo al benessere. La “Sulla” è quella pianta foraggera che cresce abbondante nella Piana di Catania. Gli animali che la pascevano ingrossavano a vista d’occhio. Si facevano “n’àutru tantu”. Anche esteticamente era bella a vedersi con i suoi fiori folti, penzolanti e rossicci. Facendo la spola tra Catania e Taormina, quando l’autostrada ancora non esisteva, i giovani trascorrevano la loro vita in modo spensierato. C’era il lavoro, ma non per quelli che preferivano “scansarlo” in quanto benestanti. Questi ultimi venivano bollati col termine dispregiativo di “maccagnuni”. “Chissi ‘o travagghiu, ci sparunu ‘i luntanu”-si diceva. Approfittando della buona cucina, le mense abbondavano di prelibatezze di ogni tipo. “Panza mia, fatti capanna”: partiva l’abbuffata. Si mangiava a “setti ganasci”. Nella mente “fertile” di chi ha coniato questo detto, una sola ganascia sarebbe stata insufficiente a frenare la voracità di quelle bocche. Si evolvono i costumi, ma anche i linguaggi e i loro contenuti.  Quelli che una volta erano considerati “Zàurdi”, oggi sono diventati, in modo più elegante, “Mammoriani “.  Lo stesso dicasi, a parti inverse, per i ragazzi appartenenti al ceto più elevato. Anche la loro denominazione è cambiata: i “Figli di papà” di una volta, adesso sono “Monfiani”.  Fino a qualche tempo fa, questi ultimi si riunivano nelle piazze più eleganti della città; particolarmente nella rinomata piazza Europa. Si faceva passerella sfoggiando gli ultimi arrivi “autunno-inverno”, “primavera-estate”. Chi si “imbucava”, faceva dì tutto per non sfigurare. Metteva da parte i magri risparmi della settimana per potere a modo suo  “competere”. Quando ci si recava a mare in comitiva, ogni “mascariamento” però cadeva: soprattutto se si apriva bocca. “Mamma mia che bello!!!…ora mi abbollo!”

Nella Foto, “Le maschere”

Pubblicato su “La Sicilia” del 24.11.2024

                                                                                         

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