SANT’ALFIO 2025, TRA RITI E TRADIZIONI.

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C’è grande giubilo nel mondo cattolico: “Habemus papam…!”. Qualcuno scherzosamente ha pure aggiunto in un improbabile latino simil-maccheronico: “Finalmentem!”. E sì, perché dalla morte di Papa Francesco e fino all’elezione del nuovo pontefice, non si è fatto altro che parlare sulla figura del possibile sostituto. L’argomento è stato voltato e rivoltato fino alla noia. Uno dietro l’altro sono intervenuti storici, teologi, politici e giornalisti; ciascuno a dire la sua. Dibattiti lunghi e articolati, alcuni dei quali interessanti; altri un po' meno. “ Menu mali ca finìu: radiu, televisioni, telefonini e giunnali, javi ddu misi  ca ‘ni fánnu ‘a testa quantu ‘m palluni!...Auuuu  e com’è!!!… s’ann’â puttàtu sensu e ciriveddu!!!… non ni putèumu cchiù…ahhhh! ”, chissà in quanti l’avranno pensato. E’ stato come una vera liberazione. Ma di certo non è finita qui.  In questa fase, media e politici muoiono dalla voglia di scoprire se il Santo Padre eletto sia progressista oppure conservatore. E’ già cominciato il “tiro della giacchetta” anzi: “della tonaca”. Su questi temi si dibatterà ancora a lungo. Intanto ieri è stata la festa di S.Alfio, Cirino e Filiberto. Anche se tante usanze nel frattempo sono scomparse, molte altre resistono ancora. Sono sempre di meno quelli che ricordano la corsa dei cavalli nella ripida e caratteristica ‘N chianata ‘i sapunara. Inoltre,  con i carretti siciliani nessuno scende più “ubriaco” da Trecastagni a Catania.  A’ calata de’ ‘mbriachi come la descrisse  Giuseppe Pitrè in una delle sue più importanti opere sul folklore siciliano, ormai è solo un mito. “Lu deci di Maggiu ‘nciuri su li vigni/ ca lu suli accalura li campagni/ Tu carrettieri la vita t’impigni/pi ghiritinni ‘a festa a Tricastagni(…) lo scriveva il poeta Salvatore Coco intorno alla metà dello scorso secolo. Oltre ai riti liturgici dedicati ai Santi martiri, lo spessore culturale di questa festa si misura dalle gesta spontanee del popolo. Carrettieri, musicisti, semplici poeti illetterati trassero linfa per le loro composizioni. La letteratura dedicata a questa festa è zeppa di opere e di autori celebri. Federico De Roberto, Ercole Patti, Antonio Aniante  e perfino Carlo Levi furono tra questi. Una festa che riesce ancora oggi ad attrarre devoti da tutte le parti.  Il suo fastoso  contorno denso di Arte e Folklore allo stato puro, l’ha resa celebre nel mondo. Molti i turisti che affollano le vie del piccolo paesino Etneo; si fanno strada per seguire la processione ma anche per ammirare gli ex voto che all’interno del Santuario testimoniano i miracoli ricevuti negli anni dai devoti.  Trecastagni ogni anno diventa il “centro” della Sicilia. La notte tra il  9 e 10 maggio, “flotte” di devoti si recano a piedi verso il Santuario. Portano i ceri da offrire ai Santi Martiri. Lo fanno invocando ad alta voce i loro nomi. Raramente ormai si incontrano “ I Nuri”(I nudi). Erano uomini che a torso nudo e con una larga fascia a tracolla, gravati da un grosso cero sulle spalle, a passo svelto affrontavano pregando la dura salita da’                   ‘N chianata ‘ì sapunara. Indossavano solo larghi mutandoni( mutanni ‘a sbaccu). Poi l’’ingresso spettacolare all’interno del Santuario e l’urlo liberatore: “Sant’Afiuuuuuuu!!!”.  Fin dal settecento la festa di S.Alfio a Trecastagni era uno dei tre eventi religiosi, dopo quella di Sant’Agata e  del Carmelo, più seguiti dai cittadini catanesi. Nel quartiere della Civita, non avrebbero mai concesso in sposa la propria figlia se il pretendente non avesse promesso di andare tutti gli anni con la famiglia per  festeggiare i Tre Santi. Anche a  Sant’Alfio a Vara il culto dei tre Santi è molto sentito. Il toponimo del piccolo centro situato alle falde dell’Etna, possiede una propria peculiare simbologia. Prende il nome dal Fratello più grande dei tre. Alfio, prima di morire arso nella pece, incitò i fratelli a non cedere all’abiura della Fede cristiana. Inoltre la “Vara”(sbarra) fa riferimento a un miracoloso evento capitato ai tre Santi durante il lungo tragitto mare-terra che da Messina li portò a Lentini nel passaggio obbligato tra le lave dell’Etna. Tradizionalmente  il piccolo centro  celebra i suoi tre Santi la prima domenica di maggio, lo fa proprio per non farla coincidere in concorrenza con quella di Trecastagni. Nella festa “Sant’Affiota”, spicca la “Dera”: piccoli falò accesi presso l’uscio di ciascuna abitazione lungo le strade principali del Paese. L’usanza nasce  dal ricordo della compassione che il popolo manifestò durante il transito dei tre giovani fratelli. “I falò servivano” -spiega il devoto Orazio Patanè- “ a illuminare e riscaldare il cammino dei Tre martiri. Intanto che passavano la gente cercava di rifocillarsi sfidando l’ira delle guardie di scorta. 

 

Pubblicato su “La Sicilia“ 11.05.’25

                                                                                                         

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