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L'ESTATE 2023 STA FINENDO

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“L’estate sta finendo e un anno se ne va/sto diventando grande lo sai che non mi va(…). Quando nel 1985 i fratelli Righeira cantarono questo motivo, la magìa delle canzoni che avevano fatto la fortuna del “disco per l’estate”, era già finita da tempo. Fu sempre un tormentone per quell’anno, ma solo perché il mito dell’estate ricca di spensieratezza, non si era ancora del tutto estinto. Se ne parlava in famiglia. Papà e mamma raccontavano ai figli di quelle estati romantiche, dove ancora la luna riusciva a fare sognare e il rumore delle onde era musica per le orecchie degli innamorati. Quanti ricordi, e quante orme effimere lasciate in riva al mare. “O..o…o…o che profumo di mare/o…o…o..o piove argento dal cielo./ Notte di luna calante/notte d’amore con te/lungo le spiagge deserte/ a piedi nudi con me(…). Questo brano cantato da Domenico Modugno nel 1960 , fu premonitore di un’epoca in via di estinzione. Residuato di un romanticismo che tramontava definitivamente. La musica stava cambiando. Già sin dagli inizi degli anni ’70, niente più Jukebox e niente più mangiadischi. I 45 giri avevano già fatto il loro tempo. Anche i dischi 33 giri, cosiddetti “Long playing”(raccolta in album di brani musicali) tra poco avrebbero ceduto il passo alle più moderne tecnologie. Questo termine “esterofilo” era un serio indizio che molto stava cambiando anche nel mondo canoro. L’innesto di cantanti e gruppi stranieri sin dagli anni ’50 era cominciato a farsi strada. L’estate ha sempre mantenuto un proprio fascino. Forse più di ogni altra stagione. Complice, la luminosità delle giornate e il godimento delle “sospirate” ferie. La consapevolezza di affrontare le successive rigide stagioni, non rendeva affatto felici. Di più i ragazzi. Il ritorno a scuola, le materie all’università, le cattive giornate li costringevano a starsene a casa. A Catania la stagione dei “bagni” è sempre stata “ondivaga”. Mentre la balneazione nei lidi si apriva ufficialmente il 15 giugno, per i catanesi iniziava   “doppu ‘a Maronna ‘o Carmunu”:  il 16 luglio. Un misto di tradizione e devozione. Inoltre, con l’avvento delle belle giornate, sin dai primi di maggio i ragazzi non vedevano l’ora di fare i primi tuffi. Per questo motivo il ricorso alla “calia” dalla scuola era pratica comune. Il termine “caliari” ha una diretta discendenza con il mix di semi di zucca, arachidi e ceci abbrustoliti. Tante le ipotesi sul suo etimo. Una delle quali potrebbe essere più verosimile delle altre. Anticamente i bambini erano costretti a mangiarla di “scapòcchio”, cioè di nascosto. “Picchì appoi ti doli ‘a panza” si giustificavano i genitori. E non avevano tutti i torti. Gustata calda, la calia “calava” abbondante senza manco accorgersene. Le indigestioni perciò erano frequenti. I catanesi hanno sempre prediletto la balneazione. In principio fu la scogliera. Dal 1897 fino ai primissimi anni del ‘900 la stagione balneare dei catanesi si consumava tra gli scogli aguzzi dell’ Armisi.  Prospicienti la piazza dei Martiri, funzionavano gli stabilimenti dei “Fratelli Longobardo e Guarnaccia”, dei “Sottile”, dei “Mancini”, degli “Scuderi”, dei “Leotta” e altri. Si trattava di cabine “elitarie”, montate su palafitte con botole interne per facilitare con “discrezione” la discesa in mare. I ragazzi più arditi, animati dalla curiosità, qualche tuffo da quelle parti lo facevano lo stesso. Non disdegnavano, nascosti dietro gli scogli, di guardare avidamente le gambe scoperte delle signore prima che queste si immergessero in acqua. La Plaia come “zona per bagnanti” sarebbe stata scoperta agli inizi del ‘900. I primi bagnanti furono alcuni  componenti della colonia svizzera. Malgrado fosse particolarmente impervia e insidiosa, veniva battuta dai “cercatori di ambra” e dai pescatori di “cozzuli di Catania(telline). Il boschetto era fitto ed esteso. Ricco di una fauna oggi in parte estinta. Fino alla metà dell’800 era stato un vasto cimitero improvvisato. Accolse le spoglie dei più poveri. Potrebbe essere stato perfino luogo di sepoltura dei  terremotati del 1693. Antesignane delle cabine furono le tende che i “pionieri” vi piantarono nella sabbia. Quella zona così venne progressivamente sottoposta a bonifica. L’avvento del primo lido denominato “Spampinato” venne accolto con entusiasmo. Le sue estese strutture in stile liberty,  era puro godimento estetico. Ancor di più, il vaporetto che si partiva carico di bagnanti dalla villetta Pacini per raggiungerlo. Con il trascorrere del tempo, questo litorale  sabbioso che si estende per circa 12 chilometri dal Molo di mezzogiorno del porto di Catania fino alla foce del fiume Simeto, diventò il più famoso luogo estivo non solo per i catanesi. “Un’ipotesi di natura che nei tramonti infuocati d’estate”-scrive un poeta contemporaneo-“ è lì a mostrarti almeno una certezza di vita”

Pubblicato su La Sicilia del 03.09.2023

                                                                                                                                      

 

 

CATANIA: VIA CROCIFERI, TRA LE VIE PIU' BELLE DEL MONDO

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Anche quest’anno la meta preferita dei turisti è stata Catania. Francesi, tedeschi, russi, giapponesi hanno potuto ammirare da cima a fondo la città Barocca per eccellenza; la città dell’Etna, di Bellini, della dorata playa ma anche di tutte quelle attrazioni che la caratterizzano. Il cambiamento climatico, anche dalle nostre parti si è avvertito eccome. Chi si aspettava la solita estate “calda” siciliana, è stato servito. Però quest’anno si è rivelata più calda del solito, anzi rovente. Nelle guardie mediche, c’è stato il via vai di bagnanti in preda a violente scottature e fastidiose insolazioni. Roghi dappertutto. Qualcuno ha commentato: “ Ma st’annu chi ci misi ‘i peri ‘u riaulu…?”  Anche l’aeroporto, ne ha fatto le spese. Improvvisamente un incendio ha devastato l’aerostazione. Le cause sono in via di accertamento. Ma come? Il nostro fiore all’occhiello!!?  Purtroppo è capitato nel momento peggiore della stagione, quando gli arrivi e le partenze di solito raggiungono il  picco di massima intensità. Fortunatamente il temuto “collasso” non si è verificato. Gli spazi sono stati sfruttati fino all’ultimo centimetro. Enormi però sono stati i disagi per i passeggeri, ma almeno si è evitato il peggio. Quanto prima si ritornerà alla normalità; si lasceranno alle spalle tutte le difficoltà patite. Anche stavolta si potrà gridare  quello che ormai è diventato un vero e proprio “motto” tutto catanese: “Melior de cinere surgo”; ovvero, dalle ceneri risorgerò più bella. Nel tour delle meraviglie che di solito ha inizio dalla Cattedrale di Sant’Agata, tra le antiche vie del centro cittadino entra di diritto Via Crociferi. Considerata tra le vie più belle e rappresentative del mondo; è meta obbligatoria per chi visita la città. Venire a Catania senza visitare via Crociferi, è come andare a Roma senza visitare il Colosseo. Il catanese che è abituato a percorrerla, spesso non se ne rende conto; diverso è per il turista. Cos’ha si bello via Crociferi?…tutto. Il suo barocco è unico. Le sue chiese, i suoi palazzi, l’arco benedettino che attraversa come una quinta scenografica la strada da parte a parte, lascia una traccia indelebile nel  ricordo di chi visita questi luoghi. In ogni angolo si respira tutta l’antichità del suo passato. Una via che profuma di intensa religiosità.  Già nel Medioevo essa si snodava fra chiese e palazzi di notevole mole. Il Palazzo di don Bartolomeo Altavilla, costruito dove oggi si eleva la chiesa di San Francesco Borgia, era un edificio di notevoli dimensioni. In quell’area insistevano i locali ospedalieri annessi all’antica chiesa dell’Ascensione( esistente fino al ‘500). Locali in cui si accoglievano e curavano i diseredati della città. Nella seconda metà del Cinquecento, l’attività dei PP. Gesuiti di fresco giunti a Catania, arricchì l’intera zona di scuole, collegi e chiese. Le opere d’arte che vi erano contenute, oltre all’antico blasone e  salubrità dell’aria, attirarono in questa parte di città l’attenzione della nobiltà catanese. Per tale motivo, dopo il devastante terremoto del 1693, i ricostruttori si orientarono su questo segmento cittadino. Sorserò uno dietro l’altro chiese, conventi e palazzi nobiliari. La Badia e la chiesa di San Benedetto nel 1704, poi la chiesa di San Camillo dei Padri Crociferi da cui prese il nome la strada; quindi il collegio dei Gesuiti e la chiesa di San Giuliano, uno dei monumenti più illustri del barocco catanese. Seguirono, i palazzi Asmundo, Villaruel e quello dei Cerami, tutti gioielli dell’architettura settecentesca a firma dei migliori architetti dell’epoca: Alonzo Di Benedetto, Angelo Italia, Francesco Battaglia, Paolo Amato e lo stesso G.B. Vaccarini. Grazie a loro prese forma quel raffinato e artistico angolo di Catania che dalla chiesa di San Camillo attraversando la via di San Giuliano, è chiuso dal cosiddetto arco di San Benedetto. Singolare la vicenda  riguardante questa struttura. Essa fu al centro di un’aspra polemica tra il senato catanese e l’allora vescovo Andrea Riggio(Palermo 1660-Roma 1717). Il religioso era un soggetto poco incline ai compromessi, ecco perché entrò in rotta di collisione con la politica. Gli attriti erano cominciati già prima. Proseguirono dopo con piccole scaramucce. Poi la goccia che fece traboccare il vaso. E questa goccia arrivò quando il vescovo decise di fare costruire nottetempo l’arco che avrebbe dovuto unire due ali del monastero delle benedettine. Aveva ricevuto il divieto assoluto di proseguire, ma il prelato minacciò di scomunica quanti si fossero opposti al progetto, alla fine la spuntò. Il Vicerè non gradì questi atti di liberalità, di conseguenza lo invitò a lasciare la città. A Roma, il vescovo Riggio venne assimilato alla servitù del Pontefice. Morì col desiderio di tornare nella sua amata Catania.

 

Nella foto, Via Crociferi.

Pubblicato su La Sicilia del 6.08.'23

                                                                                                                                     Santo Privitera

L'ELEFANTE RESTAURATO

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Dopo l’intervento di restauro conservativo cui è stato sottoposto in questi mesi, alla svelata della statua dell’Elefante i catanesi presenti hanno gridato: “Finammenti!…Mi pareva ‘mill’anni!”. Esclamazioni fondate su timori storici. Dalle nostre parti, infatti, un lavoro si sa quando comincia ma non si sa quando finisce. E invece stavolta sono stati particolarmente celeri e sbrigativi. Buon segno. Una vera e propria sorpresa in positivo. Avrebbero potuto iniziarli prima questi lavori, e invece il via è stato dato in primavera. In questo periodo, già i primi turisti cominciano ad affollare le vie del Centro cittadino. Ingabbiato com’era, il simbolo di Catania si celava ai “furasteri”.̀  Non avere potuto fotografare dal vivo il “mitico” Liotru apprezzato in tutto il mondo, deve essere stata una grande delusione per molti di loro. I pannelli artistici che l’attorniavano, sono stati dei palliativi funzionali al cantiere. Un modo elegante per “ammorbidire” anche il disagio estetico. Così i  visitatori hanno potuto godere solo a  metà lo stupendo scenario Barocco della nostra piazza Duomo. Se il poeta dialettale satirico “Cicciu Buccheri Boley fosse stato vivo, non le avrebbe mandate a dire. Facendo parlare ‘u Liotru, scrisse agli inizi dello scorso secolo: (…) Sugnu bonu, sugnu caru/ ma si viu cosi storti/ a cu’ sbagghia cu sta funcia,/ ci li dugnu forti forti! ” Questo a testimonianza del fatto che il rapporto tra il catanese e il suo monumento simbolo è sempre stato “umanizzante”. Non un cuore di pietra lavica ma…un cuore vero e proprio. Inoltre, la sua mente “elefantiaca” gli farebbe ricordare di tutto. Il carattere che gli viene attribuito è quello tipico del catanese. Da un lato focoso, dall’altro accomodante. Un po' curioso, a volte intrigante; ma soprattutto ironico. Ovvero lisciu. E non parliamo di altro ancora. ‘U Liotru, le assommerebbe tutte queste qualità. Non sente il peso dei suoi anni e neanche quello dell’obelisco Egittizzante che si porta addosso. E’ orgoglioso di rappresentare il mondo cristiano attraverso il globo , la croce e la palma;  simbolo, quest’ultimo, del martirio della Santa Patrona Agata. Grazie alla privilegiata postazione, può osservare di tutto e di più. Nulla sfugge a quegli occhi di pietra bianca apparentemente fissi. Possiede un grande carisma. Gli proviene dalla sua storia ricca di mistero, che affonda le proprie radici sul terreno dell’esoterismo. Non a caso viene a tutt’oggi definito “talismano”. Dopo il terribile terremoto del 1693, l’architetto Vaccarini lo avrebbe posizionato al centro della piazza a protezione della ricostruita città. Con la sua “funcia” rivolta verso l’alto, pare dettare legge. Ammonisce, da’ consigli, ispira versi. Si compiace quando le cose vanno bene; si arrabbia quando invece si adottano comportamenti indegni e incivili. Si intristisce di fronte alle miserie umane. Gli piace indossare la sciarpa rossazzurra tutte le volte che la squadra del suo cuore passa di categoria. Gli verrebbe voglia di scappare quando  qualcuno lo oltraggia.   Ma in realtà non lascerebbe mai Catania perché l’ama troppo. Ne compatisce i vizi, ne esalta le virtù. Alcuni anni fa, gli venne appiccicato un “si vende” sulla proboscide. “Cose da pazzi, in che tempi viviamo?…Non c’è più rispetto neanche per chi è avanti di età”, avrà pensato. Nessun tipo di protesta potrebbe giustificare un simile gesto. Eppure nel corso della sua esistenza ne ha viste di tutti i colori. A partire dalle strane manìe di Eliodoro. Il beffardo mago al quale deve il suo nome di “Liotru”, se lo portava a spasso. Salendogli in groppa, lo costringeva a volare da Catania a Costantinopoli e viceversa. Una sorta di Jumbo ante-litteram, tanto per citare il simpatico fumetto molto caro ai bambini dello scorso secolo. Il vescovo taumaturgo San Leone, ricacciando all’inferno l’energumeno, pose fine a questo sopruso.  Dalla Leggenda alla storia vera saranno passati circa mille anni. Ecco arrivare il momento del tentato sfratto dalla piazza Duomo. Questo grave atto di ingratitudine stava per consumarsi silenziosamente. Era il 1862. E qui il povero pachiderma dovette soffrire enormemente. Non aveva fatto niente di male. Il suo unico torto era quello di sembrare troppo “brutto” agli occhi di alcuni intellettuali dell’epoca. Se non fosse stato per quella parte della città ribelle al provvedimento già approvato dal senato cittadino, il povero incolpevole Liotru sarebbe stato relegato a piazza Palestro. A quest’ora avremmo scritto d’altro. In questo luogo meglio conosciuto come  “U’Chianu da’ Minzogna”, a poca distanza del cimitero, avrebbe potuto assistere solo allo scioglimento dei  cortei funebri dopo il discorso di commiato al morto. Il poeta di turno non avrebbe di certo taciuto: “…E lu poviru Liotru/ da l’esiliu parrò/… ‘la campana sona ‘a mortu/ senza paci e né  cunortu".

 

Nella foto, L'elefante simbolo di Catania

Pubblicato su La Sicilia del 16.07.'23

                                                                       

LA SCUOLA MALATA

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Cosa sta succedendo alla scuola italiana? Tempi duri soprattutto per i docenti. Da un lato, l’esigenza di educare con criteri pedagogicamente moderni; dall’altro la necessità di utilizzare una didattica non troppo “invasiva” per gli studenti. Ma allora, come comportarsi? Una via di mezzo sembra non esserci. Solo nuove norme chiare e precise potranno salvare il salvabile. Ormai sono decisamente lontani i tempi delle “punizioni” tipo: “se continui a infastidire, ti metto due sul registro; oppure, a seconda della bravata: “se non mi dite chi è stato metto a tutti cinque in condotta! ” Insomma, è vietata qualsiasi forma di “rigore” sia pure per fini educativi.  Per l’insegnante di turno, è diventato un azzardo perfino mettere un voto basso o scrivere un giudizio che non sia quello voluto dallo studente. In poche parole: oggi è il docente che deve adeguarsi all’alunno e non viceversa. A Catania, questo metodo ha una precisa filosofia: “che carusi  c’ha jiri  co’ ventu ‘i terra”, cioè bisogna assecondarli per non avere dispiaceri. Vi sono pure insegnanti che sprezzanti del proprio ruolo professionale, adottano  il sistema comportamentale del “Càlati juncu ca passa la china” ovvero: fate quello che volete, l’importante è che a fine mese mi arrivi lo stipendio. “Ma comu semu a arriddutti?…” verrebbe da dire. I professori lamentano anche l’ingerenza dei genitori. Difendono a oltranza i propri figli, anche nelle occasioni in cui sono indifendibili. In molti casi, il loro è un modo inconscio di mascherare i propri fallimenti educativi in famiglia. “ Stu prufissuri  âvi ‘a me’ figghiu/a supra ô nasu; cill’ha finiri…ca ma s’annunca ci pensu ju!” Questa espressione dialettale siciliana di origine popolare deriva dal fatto che un oggetto posato sul naso non può mettersi bene a fuoco. Pertanto, per vederlo correttamente  occorre guardarlo di traverso.  Mentre una volta era considerata solo una blanda minaccia, oggi invece si va facilmente per le vie di fatto. Anche perché difficilmente scattano le denunce. Tutto bene o male si accomoda. Come nel recente fatto di cronaca capitato nel Veneto, a Rovigo. Questa volta il reato lo avrebbero commesso gli studenti stessi. Hanno sparato con una pistola ad aria compressa dei pallini di gomma in faccia all’insegnante. La donna è rimasta ferita. Anziché bocciarli in tronco come ragionevolmente ci si aspettava, sono stati promossi col nove in condotta. Già in altre occasioni erano spuntate nelle aule  delle altre scuole italiane le armi da taglio. Anche in questo caso a farne le spese, fortunatamente senza gravi conseguenze, sono stati i docenti. Dal libro cuore alla cronaca nera. Si stava meglio, quando si stava peggio. Dalla riforma Gentile a oggi, è scorsa tanta acqua sotto i ponti. Dalle “bacchettate” di gentiliana memoria alla politica dei “pannicelli caldi,  ci sono di mezzo: la rivoluzione giovanile del ’68 e le successive riforme. Alcune di queste di dubbia efficacia. Così sembrerebbe dagli esiti disastrosi cui stiamo assistendo. Gli usi ed i costumi sono cambiati radicalmente nella scuola. La didattica è diventata oggetto di discussione solo a parole. Anche i non addetti ai lavori adesso si arrogano il diritto di imporre i propri punti di vista anche ideologici. Si disquisisce sui simboli religiosi, sulle problematiche transgender, sulla necessità di alleggerire i compiti per casa o per le vacanze, perdendo di vista la essenzialità dei programmi scolastici e le possibili innovazioni. Con il trascorrere del tempo, l’istituzione scolastica ha perso molte delle sue funzioni didattico-educative. Le regole ci sono ma vengono costantemente disattese in nome di una presunta “democrazia partecipativa” che ha annullato quasi tutti ruoli gerarchici necessari per mantenere un minimo di ordine. Oggi il dirigente scolastico somiglia più un semplice “ burocrate” che a un capo istituto; mentre quella dell’insegnante è diventata la figura professionale alla quale addossare tutte le colpe di una società disagiata. Il sistema scolastico sembra abdicare di giorno in giorno al suo ruolo formativo che invece dovrebbe essere primario. Persino l’antica funzione del bidello è stata stravolta. Da quando è stata trasformata in quella di “collaboratore scolastico”,  la figura del bidello ha perso totalmente il proprio carisma. Egli veniva in quasi in tutti gli istituti scolastici definito “Piè veloce” o “Speedy gonzales”. I ragazzi, facendo il verso del famoso topo supersonico dei fumetti, da dietro il corridoio gli gridavano: “Arriba…Arriba…arribbaaa!!!. Questo perché correva sempre da un’aula all’altra per consegnare nel minor tempo possibile agli insegnanti, le circolari emanate dal direttore didattico. Non solo. Si curava anche della pulizia e dell’igiene, dispensava consigli ai ragazzi e metteva ordine durante i momenti di ricreazione.

 

Nella foto, un'antica aula scolastica

Pubblicato su La Sicilia del 2 luglio 2023

                                                                                                            

I DOLI DO SIGNURI EDIZ. 2023

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