L’autobus Rosa

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Chi a quell’epoca era ragazzino, se lo ricorderà. Quello che accadde nell’autunno del 1960, oggi avrebbe fatto “incazzare” di brutto i fautori del “politicamente corretto”. Per loro, come è noto, vige il divieto di esprimersi per “genere”. L’episodio riuscì a dividere profondamente.  Da un lato mise in moto la fantasia del “barzellettieri”, dall’altro fece storcere il muso ai tanti progressisti amanti del modernismo. Ma ci fu pure chi tirò un sospiro di sollievo. “Cose di Catania” si direbbe; e in effetti solo a Catania terra della liscìa possono accadere simili cose. Chissà come avrebbe reagito poeta Domenico Tempio se fosse stato in vita. Stesso discorso per Ciccio Buccheri Boley. Ma questo acuto poeta umorista, in quel preciso periodo era ormai quasi giunto al “capolinea” della sua vita. Certi aneddoti, certi accadimenti restano indelebili nella storia della nostra città. All’epoca, se ne parlò così tanto che la notizia in poco tempo si diffuse a macchia d’olio. Riuscì davvero a fare il giro del mondo. “Cririmi”-disse un giornalista catanese al collega di Milano-“Mi cascàu a facci ‘nterra…! E meno male che non esistevano ancora i “social”, altrimenti ciascuno si sarebbe potuto sbizzarire a piacimento. I toni sarebbero stati senza dubbio ironici e irriverenti. E’ dell’autobus linea 27 che stiamo parlando, al quale venne affiancato  “l’Autobus rosa”. Guarda caso, manco a faro a posta, il numero 27 nel gioco del lotto significa “Pitale”(vasino da notte).  In quei primi anni Sessanta dello scorso secolo, non erano ancora molte le auto private in circolazione.  A scuola, a lavoro, al cinema o a una festa da ballo ci si andava con i mezzi pubblici. Per il “gentil sesso” era ancora più complicato spostarsi. La donna che lavorava fuori dalle mura domestiche, non era vista di buon occhio. In particolare modo quelle che lavoravano nelle grandi aziende dove la commistione tra uomini e donne era la regola. “ ‘A picchì non si stanu ‘e casi!..Era il commento ricorrente degli uomini.  In quegli anni, la città era nel pieno del suo sviluppo. Alla zona industriale, le nuove aziende nascevano come i funghi. Il lavoro era assicurato e la disoccupazione ai minimi livelli. In giro si vedevano ancora le “carrozzelle” con tanto di cavallo e cocchiere. Difficilmente si sarebbero avventurate per andare alla zona industriale. In ogni caso ci sarebbero voluti un bel po’ di quattrini al giorno, non era roba per operai/e. In circolazione vi erano anche le vetture private. In particolare la seicento multipla. Ne usufruivano soprattutto le famiglie che provenivano dalle estreme periferie, oppure coloro i quali dai paesini dell’Hinterland si spostavano verso la città e viceversa. Poteva imbarcare da quattro a cinque persone, con gli strapuntini  (seggiolini aggiuntivi) anche sei o sette. Era dotata di portabagagli nel retro e sul tetto. Ma ad essere prese d’assalto tutti i giorni erano i mezzi pubblici. Le poche vetture circolanti della SCAT, risultavano sempre affollate. I passeggeri erano così “pigiati” tra di loro che quasi non era necessario tenersi nei sostegni. C’era sempre la corsa per accaparrarsi un posto a sedere. La linea 27 era quella che faceva tappa alla Zona industriale. Partiva da piazza duomo. All’interno, uomini e donne salivano di prima mattina per raggiungere il loro posto di lavoro. Tutto normale… invece no. Si sa che l’occasione fa l’uomo ladro; a volte anche sporcaccione. Fatto sta che signore e signorine nubili, spostate oppure fidanzate, erano costantemente “attenzionate”. Lamentavano di essere oggetto di “struscio” e “manomorta” da parte di uomini di tutte le età. Qualcuno si “imbucava” per partecipare. Quella tratta era diventata un vero e proprio “oltraggio al pudore”. Tra una corsa e l’altra, volò sì qualche ceffone, esplose pure qualche zuffa; ma nacquero anche teneri amori. Serpeggiò inevitabilmente tra mariti e fidanzati, una più che giustificata gelosia. I sussurri diventarono grida. La mattina del 18 ottobre del 1960 ci furono i poliziotti ad attendere operaie e operai al capolinea. Un solerte agente si incaricò dello “smistamento”. Le prime furono fatte salire  su un autobus di colore “rosa” per sole donne, i secondi furono fatti accomodare sulla solita linea 27. Ci fu qualche mugugno, ma nulla di più.  Si aprì la caccia all’autore della “trovata”;  tutti: dirigenti e impiegati compresi, negarono qualsiasi coinvolgimento. Della faccenda ne parlarono i giornali di mezzo mondo. L’ironia fu tagliente, la società catanese non ne uscì affatto bene. Ci fu perfino chi tenne a battesimo le due vetture: “Cuncittina” fu l’autobus rosa;  “Baffuni”, l’altra.

 

Pubblicato su “La Sicilia” del 10.03.25

                                                                                               

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