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MARCO LAUDANI

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La compagnia “Ocram dance movement” che ha fondato nel 2013, oggi è tra le più conosciute nel settore italiano della danza. E’ del Coreografo Marco Laudani che stiamo parlando. Il trentaquattrenne artista catanese, ha cominciato all’età di 14 anni la sua attività artistica. Insieme alla sua  ensamble composta da giovani danzatori, drammaturghi e musicisti di valore, ha già calcato teatri di notevole prestigio in ambito europeo e non solo. Ha lavorato anche negli Stati Uniti, in Messico, in Turchia, Polonia. In programma, altre importanti piazze da toccare per i prossimi mesi. Attualmente è impegnato a Catania, dove in collaborazione con Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà Danza, giovedi 24 presenterà al pubblico lo spettacolo 2x10.  “Per me questo  è un momento molto importante”-spiega Laudani-“anche perché  lo ritengo il modo giusto per rendere onore a un progetto che va avanti da dieci anni”

 

-Come si articolerà la serata?

 

“Nella prima parte, verranno messi in scena due lavori molto rappresentativi del nostro linguaggio:  una mia produzione del 2018, dal titolo “Amuninni”;  e “Africa”, una produzione del 2019, del regista Claudio Scalia. Dopo una breve pausa tecnica, chiuderà la serata la prima nazionale di “Artificio” un altro mio nuovo lavoro la cui anteprima è stata già data qui a Scenario Pubblico lo scorso mese di gennaio”

 

-Come nasce l’idea di questo  progetto

 

“ L’idea era quella di avere una ensamble di danzatori che potesse raccontare al meglio e rendere concreto il mio lavoro coreografico. Un progetto nato quasi per gioco, una sorta di scommessa vinta grazie al tenace impegno di tutto il gruppo. La sua evoluzione è stata graduale ma continua. Le risposte più importanti sono arrivate negli ultimi anni”  

 

-Cosa ha reso possibile il successo delle vostre opere

 

“Sicuramente la cura dei dettagli e dei particolari. La nostra attenzione si concentra soprattutto nei movimenti, nelle messe in scena; il linguaggio del corpo va modellato e arricchito con pazienza. Per questo ci siamo avvalsi delle figure professionali che mancavano. Avere  la possibilità di lavorare negli spazi di Scenario Pubblico, è sempre una grande oppurtunità”

 

-Da dove nascono le vostre tematiche?

 

“Dipende. Siamo stati spinti da diversi stimoli creativi nel corso del tempo. C’è molto della mia infanzia nei miei lavori”

 

-La danza è una disciplina praticata a Catania

 

“Io ho la fortuna di vivere la danza a trecentosessanta gradi; quindi di occuparmi di formazione oltre che di coreografia; I giovani sono uno stimolo quotidiano: c’è molto da fare ma siamo sulla buona strada”

 

-Quali sono i vostri progetti futuri?

 

“ “Artificio” è stato già selezionato per un importante bando a Palermo.

Io e Claudio Scalia andremo a lavorare in California per una nuova creazione, e questa estate ci aspettano in Grecia per rappresentare “Africa”.    

 

Nella foto( primo a sin), il coreografo catanese Marco Laudani

 

 

NATALE E' ARRIVATO(FINALMENTE!)

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Sono arrivate le feste di Natale. Finalmente. Non se ne poteva più. Troppo stress, troppa tensione nel mondo. “Sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno”cantava Lucio Dalla; magari fosse stato così! Il Covid, la guerra, il caro energia, i prezzi alle stelle e diritti umani violati?…almeno per questo mese è meglio non pensarci. “ All’annu novu si nni parra!” Come dire: “Anno nuovo vita nuova”. La speranza, come sempre è affidata “ ‘O Bammineddu c’ha nasciri”. Nel frattempo, la giostra degli auguri continua. …”Auguri a lei e famiglia”…”Ricambio con affetto”….” …”Buon anno e Felice anno nuovo” sono le “formule augurali” più comuni. Resistono nel tempo. Quando si scrivevano i bigliettini a mano, costava un po’ di fatica spedirli; oggi con un “clic” ti sei tolto il pensiero. Si continua a sperare che l’anno entrante possa risultare migliore di quello precedente. Ciascuno ha in cuor suo un desiderio; ma non è detto che debba essere solo quello(legittimo) di diventare milionari. A Natale siamo tutti più buoni, almeno “sulla carta”. Con i tempi che corrono, affrontare spese di regali o concedersi qualche viaggio, diventa un’impresa “rischiosa”. Per chi possiede un lavoro, lo stipendio e la tredicesima potrebbero non bastare visto che rimangono ancora le ultime tasse da pagare entro l’anno. Tuttavia, se qualche soldino messo da parte c’è, perché non approfittarne? A dispetto della parola “consumismo”: “Ogni lassata è pidduta!“…Si campa una sola volta nella vita. Già dal mese di novembre è partita la corsa alle luminarie. Strade e negozi abbondano di luci psichedeliche. Per una volta, un energico “calcio” alla bolletta della luce va dato. Catania quest’anno è tra le prime della classe. Via Etnea è pervasa da una cascata di luci colorate. Al centro della piazza Università, campeggia un “abete” di notevoli dimensioni. È una scintillante sagoma natalizia. La gioia delle feste, tra la gente è palpabile; meno male che Dicembre c’è. “ ‘U sei Nicola, ‘l’ottu Cuncetta, ‘o tririci Lucia, ‘o vintiquattru lu veru Misia”; si comincia con questa famosa filastrocca. Indica i giorni in cui si festeggiano i Santi citati nel calendario. Secondo la tradizione, Dicembre è il mese più bello dell’anno; è il mese in cui riemergono le antiche tradizioni. Molte di queste, purtroppo, almeno nelle grandi città sono andate perdute. Resistono nei paesini dell’entroterra siciliano dove ancora il popolo è custode assoluto di usi e costumi che si tramandano gelosamente da padre in figlio. Da qualche tempo, nelle scuole, nei teatri o attraverso iniziative culturali “mirate”, si tenta il recupero. Questo, grazie al certosino lavoro dei docenti di buona volontà. Difficile un ritorno al “calore” del focolare domestico. Messa in soffitta la “Conca” dei nostri progenitori, il caminetto resta oggi l’unica risorsa in grado di suscitare qualche suggestiva reminiscenza. Ma il caratteristico ceppo scoppiettante, meglio conosciuto “zuccu”, retaggio di antiche abitudini “fossili”, non è più tollerato dagli ambientalisti. Nelle famiglie, nelle comunità, l’allestimento dell’albero di Natale resta di gran lunga il momento più sentito. Tornano le “novene” cantate davanti alle “Cone”(vecchi altarini appositamente addobbati con sparacogna, cotone idrofilo e frutti di stagione). Ma solo sui palcoscenici. Qualcuno va in piazza per fare spettacolo. Musicisti e poeti, davanti a una platea più divertita che interessata, ripropongono preghiere e a nenie. Molte di queste, sono tratte dalle famose raccolte Frontini, Favara, Vigo e Salomone. Tra gli anni ’60-70 dello scorso secolo, furono incise e fatte conoscere al grande pubblico dalla famosa cantautrice licatese Rosa Balistreri. Poche, ormai, le ciaramelle in giro per le strade. Un capitolo a parte meritano i Presepi. Il loro allestimento non è certo in via di estinzione. Anzi è diventato un “culto” che di anno va rafforzandosi sempre di più. Nelle famiglie cattoliche soprattutto, il presepe non può mancare. La scena presepiale, piccola o grande che sia, è vera e propria “architettura sacra”. In giro per la Sicilia, è possibile visitare i presepi allestiti nelle chiese e nelle piazze. Molto ricco e “animato” quello di San Nicolò l’Arena, ai Benedettini di Catania, opera dell’artigiano Elio Ambra. Tra i presepi cosiddetti “viventi” merita una particolare attenzione quello messo in scena a Trappeto(San Giovanni la punta). Una vera attrazione. Da trent’anni viene allestito e curato con amorevole dedizione dai parrocchiani della chiesa di San Rocco. In particolare da Fabio Cambria che ne coordina i lavori. Si svolge nell’ appezzamento di terreno attiguo alla chiesetta posta al centro della piazza. La scenografia orientaleggiante è da “Mille è una notte”. La rappresentazione è rigorosamente dal vivo. Musiche, rumori ambientali e odori, immergono lo spettatore nell’atmosfera perfetta della Santa Notte di Betlemme.

 

Pubblicato su La Sicilia del 18.12.2022

 

 

 

FALSARI STORICI CATANESI

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“Cu si vardau ‘si savvau”, questo proverbio la dice lunga su ciò che vuol dire “prevenzione”. Oggi come allora, è necessario evitare di esporsi alle truffe o ai raggiri che taluni malintenzionati sono pronti a fare. Nell’era dei social, ancora di più. L’inganno è sempre in agguato. “Occhiu vivu e ‘a manu ‘o cuteddu” dicevano i nostri Avi; e come sempre ci azzeccavano. Le false notizie le chiamano “bufale” perché nell’immaginario collettivo la vittima si farebbe trascinare come un bufalo per l’anello al naso. Ma questo termine però avrebbe anche altre derivazioni. Riguarderebbe l’abitudine che taluni macellai poco onesti hanno di spacciare per carne vaccina quella di bufala. In ogni caso, “Falla comu la voi, sempri è cucuzza”; ovvero: gira e rigira il risultato è sempre lo stesso. La disonestà, purtroppo, è una componente umana. Essa dipende da molti fattori. In alcuni è addirittura innata. Il peccato originale, nasce proprio da una “solenne falsità” perpetrata ai danni di una “povera” coppia ignara. Vivendo nella beatitudine, Adamo ed Eva sconoscevano il lato oscuro del male. Qualcuno ne ha approfittato. Ma per chi non crede ai testi sacri, potrebbe essere anche questo un “falso storico”, perché no!? Un mistero tra i tanti. Bisogna avere Fede. Dalla scienza alla letteratura, dalla filosofia alla religione, i falsari hanno fatto…la storia. Quasi sempre con una abilità che ha dell’incredibile. L’intraprendente frate Giuseppe Vella, Cappellano del monastero benedettino monrealese di San Martino delle scale, la combinò grossa. Approfittando della scarsa conoscenza della lingua araba che vi era quel tempo, dette vita a un solenne raggiro che dal 1782 al 1795 tenne sotto scacco: storici, ambasciatori, docenti e nobili compresi. La truffa, meglio nota come “L’araldica impostura”, causò forti ripercussioni politiche nell’Isola. Vella era un bibliomane che spacciandosi per conoscitore della lingua araba, un bel giorno modificò i caratteri di alcuni antichi codici. Smonta e rimonta, ne inventò uno lui. Per meglio riuscire nell’impresa, userà perfino una nuova lingua “sconosciuta” che chiamerà Mauro-Sicula. La nuova Storia dei musulmani in Sicilia che realizzerà, sarà fasulla. La sua pseudo-traduzione, ebbe come unico effetto quello di delegittimare i tentativi di riforma compiuti dai vicerè contro i privilegi dei feudatari siciliani fondati prevalentemente su diritti patrimoniali nati da palesi usurpazioni. Spiega che non erano stati i Normanni a fondare la storia moderna di Sicilia, ma gli Arabi. Nel frattempo venne promosso abate. Dalla “scoperta”, a scapito dei più sprovveduti, ricavò enormi benefici sul piano professionale. Per lui venne addirittura creata a Palermo una cattedra di Arabo all’Università. Il “nuovo” codice, venne tradotto in tedesco. La sua “attività” continuò con la “traduzione” di un nuovo testo: “Consiglio d’Egitto”, sugli scambi epistolari tra la corona e i sultani d’Egitto. Quando cominciarono ad addensarsi su di lui i primi sospetti, tentò una serie di sotterfugi che però non bastarono ad evitargli la pubblica “gogna” e 15 anni di galera. Il poeta coevo Giovanni Meli scriverà: “Sta minzogna saracina/ cu sta giubba mala misa/trova cui pri concubina/l’accarizza, adorna e spisa./ E cridennula di sangu,/ comu vanta anticu e puru,/d’introdurla in ogni rangu/ si fa pregiu non oscuru”. In fatto di “burle” Catania non è seconda a nessuno. Ne potremmo citare a centinaia. Lo scrittore giornalista e fine umorista Massimo Simili, nel suo “Capitano catanese” pubblicato nel 1966, nel citare un caso realmente accaduto, parla di abili “intrallazzi” catanesi che “per genialità sono accostabili solo al grande Leonardo Da Vinci”. Come non ricordare la figura del falsario Paolo Ciulla? Un mito. Grazie a lui, oltre ai soprannomi risaputi: “peri arsi” e “giammerghi di sita”, i catanesi si guadagnarono pure quello di “soddi fàusi”. Paolo Ciulla era un tipografo abilissimo. Nato a Caltagirone nel 1867, sin da ragazzo mostrerà attitudine al disegno. Trasferitosi a Catania, trovò enormi difficoltà di inserimento. La sua vita privata non fu affatto adamantina. Venne più volte accusato di pedofilia. Tentò la fortuna a Parigi, frequentò circoli d’arte nel Sud America prima di fare ritorno a Catania. Approfittando della sua abilità professionale, cominciò a “fabbricare” soldi. Prima biglietti da 50, poi da 500 lire. Una storia che durò più del dovuto. Si disse che dalla sua illecita attività, molte persone si sarebbero arricchite. Solo per un caso fortuito la “zecca” venne scoperta. Ciulla fu tratto in arresto. Quando tre periti della Banca d’Italia richiesti dal tribunale di Catania misero a confronto i due biglietti da 500 lire, ebbero prima qualche esitazione. Erano così uguali che scambiarono la banconota falsa per quella vera. Condannato a 5 anni di carcere e 5000 lire di multa, Ciulla ne uscirà malconcio. Ricoverato in un’ospizio dei poveri a Caltagirone, morirà quasi cieco l’anno dopo. Aveva 61 anni.

 

Nella foto, il profilo del falsario Paolo Ciulla

Pubblicato su La Sicilia del 4.12.2022

VILLA PACINI: " 'A VILLA 'I VARAGGHI"

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Vi sono a Catania i “Luoghi del cuore”: la “Villa Pacini” è tra questi. Da sempre conosciuta come “ ‘A Villa ‘i Varagghi”, ovvero “degli sbadigli”, adesso non è più così. “Sbadigli?…forse una volta; oggi questo toponimo, bisognerebbe aggiornarlo. Troppo caos. Sempre affollata da cittadini e turisti. La domenica mattina, il “mercatino delle pulci” la occupa parzialmente; non c’è più un attimo di pace. Davanti al cancello centrale di V. Dusmet, si staziona per puro diletto o per appuntamento: “…Unni ‘ni viremu”?-si chiede all’amico-“Virémuni ‘a Villa ‘i Varagghi” è la risposta. Quasi sicuramente è per andare insieme alla vicina pescheria. Ancora oggi questo posto è frequentato da persone anziane. Sono pensionati a cui non piace stare comodamente a casa. Ma la casistica si fa più ampia se consideriamo che, essendo in pieno centro storico, da lì transitano i cittadini provenienti dai vari quartieri catanesi. Molti i tipi strani; alcuni di essi sostano nei pressi della vasca centrale, fissando gli zampilli d’acqua(quando c’è) che si innalzano alti . Uno dei vialetti, è stato di recente intitolato al grande attore catanese Ciccino Sineri. Il giovane consigliere della 2^ municipalità, Damiano Capuano, rivendica la paternità dell’iniziativa. “Non l’ho conosciuto”- dice-“ ma ho molto sentito parlare della sua bravura scenica”. A volte ci si ferma a ridosso della ringhiera che delimita il canale dove scorre a pelo libero l’Amenano; col sorriso sulle labbra si ammira il flusso copioso dell’acqua prima di scattare qualche foto da passare sui social. Anticamente in quest’area vi era il “Porto Saraceno”. La banchina centrale dove attraccavano le imbarcazioni era a “spina di pesce”. Nel corso dei secoli, ha subíto importanti trasformazioni. Nel 1866, con la costruzione del viadotto ferroviario, si delimitarono i contorni. La chiamarono “ ‘A Villa da’ marina”. Solo in epoca successiva venne intitolata al musicista Giovanni Pacini. Il contesto era diverso. Il terreno acquitrinoso favoriva la flora selvaggia. Una casetta in legno e un ponticello che attraversava il fiume da parte e parte, rendeva fiabesco questo luogo. Vi era una certa promiscuità di frequenza. Una volta, da queste parti stazionavano uomini in cerca di avventure. Nel vicino lavatoio( poi abbattuto per fare posto all’omonima via), occhieggiavano le belle lavandaie che quotidianamente si prostravano a lavare i panni. Cupido qualche volta sbagliava mira; anziché colpire una giovane in cerca di marito, colpiva chi il marito l’aveva già. Fino alla seconda metà dello scorso secolo, l’affollamento si registrava solo la domenica mattina o nei giorni festivi. Il Cuntastorie che “cuntava” antiche storie appartenenti all’epoca carolingia, si esibiva in tutte le stagioni dell’anno. Erano storie “arrangiate” le sue. Le personalizzava a proprio piacimento aggiungendone altre di fantasia. Nel gergo popolano questa pratica era conosciuta come “ ‘a junta”. Non solo i bambini rimanevano incantati, ma anche gli adulti. L’emozione era tanta. L’abilità del cantastorie consisteva nel fare rivivere le scene del “Cunto” con una gestualità adatta all’argomento e con il tono della voce adeguato. Il loro mestiere lo facevano bene e…con scaltrezza. Nel bel mezzo della storia, bloccavano il racconto rimandando il seguito…”alla prossima domenica”. Insomma, un racconto a “puntate” che costringeva gli spettatori ad aspettare col fiato sospeso la domenica successiva. Ciascuno non vedeva l’ora che arrivasse. Tra la folla si aggirava il venditore ambulante di biscotti più famoso di Catania: “ ‘Aspanu de’ ‘nciminati”. Era molto suadente con la clientela. “Invitava” i bambini a piangere per farsi comprare, da chi li accompagnava, i gustosi “biscotti col sesamo”. Tornando ai tempi d’oggi. Qualche straniero ne approfitta per piazzare la propria bancarella fatta di cianfrusaglie varie vendute poi a buon mercato. I bambini si recano al parco giochi allestito poco tempo fa. Gli anziani, ma anche qualche giovane poco incline ad una stabile occupazione lavorativa, si riuniscono attorno ai tavoli da gioco posizionati sotto gli archi. Si presume siano i soliti giochi tradizionali di comitiva: “Briscola”, “scopa”, “scopone scientifico”, “stop” e altri. In pochi preferiscono allestire un “seggio” di “ Scala quaranta” o giochi simili”. Di solito i “giocatori” osservano un silenzio assoluto; specie quando a giocare la briscola sono in cinque. Ciascuno ragiona sulla carta che deve tirare per evitare di sbagliare; le regole di questo gioco implicano la notevole conoscenza “ ‘dô libbru de’ quaranta carte”; così venivano definite nelle buone famiglie le carte da gioco siciliane. Di tanto in tanto qualche scaramuccia, ma niente di più. Anzi, quella ci vuole per ravvivare l’ambiente. Le battuta “alla catanese”, fanno parte del gioco.

 

Nella foto, un momento della intitolazione di un vialetto della Villa Pacini, al famoso attore Ciccino Sineri(Catania 1912-2005). L'evento è avvenuto il 25.11.2022.

Pubblicato su La Sicilia del 27.11.2022

L'EURO NON VALI MANCU 'NA LIRA

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Il primo gennaio 2002 entrò in vigore in Italia l’euro. La nuova moneta targata Unione Europea, nasceva dopo un travaglio durato alcuni anni. Un cambiamento davvero epocale; duro da accettare ma necessario perché l’Europa marciasse tutta nella stessa direzione. Solo l’Inghilterra volle mantenere la vecchia “sterlina”, lasciandosi dietro, dopo le inevitabili critiche da parte dei Paesi membri, una “porta girevole” che in seguito gli sarebbe servita. Poco tempo prima che l’euro entrasse in vigore, un italiano su due non conosceva ancora l’esatto valore di questa moneta. C’era chi mentalmente si rifiutava di accettare la novità che avrebbe mutato radicalmente la vita delle famiglie e del singolo individuo. Il panico diffuso era più che giustificato. La faccenda era troppo seria per essere liquidata con un semplicistico “Tantu ‘a genti appoi s’abbitua!”. Soprattutto per le persone anziane non fu per niente facile…abituarsi. Tutti i media si affannarono a divulgare sul territorio le dovute istruzioni. L’allora governo Berlusconi si impegnò perfino a spedire via posta agli italiani, le macchinette calcolatrici tascabili dal colore blu e con il logo dell’euro bene in vista. Gratuite e comode da portarsi dietro. Ma non è bastato. Ci sono voluti anni perché le cose si normalizzassero. Nel frattempo, la mancanza di controlli hanno contribuito ad acuire il problema. Chi avrebbe dovuto vigilare non lo ha fatto, lasciando che le cose andassero per il proprio destino. Di conseguenza, i commercianti disonesti ne approfittarono. Furti, ruberie e truffe hanno alimentato quel senso di sfiducia che ancora oggi in molti si portano dietro. Per il nostro Paese, il trauma è stato doppio. Dire addio alla lira dopo oltre 140 anni di storia, è costato tanto: sia sul piano affettivo che su quello pratico. Il valore dell’euro pari a lire 1936.27, è considerato solo dai tecnici economisti, ma per “l’uomo della strada” il metro è diverso. Quando va a fare la spesa, si accorge sulle proprie tasche che in lire avrebbe riempito non uno ma due carrelli di merce. I nostalgici della lira, sono ancora in maggioranza nel nostro paese. I rimpianti vanno di pari passo con i periodi di massima criticità come quelli che stiamo vivendo adesso. Sentenzia un poeta dei nostri tempi: “(…) Vivennu ‘i tempi d’oggi mi n’accorgiu/ca soddi ‘nta sacchetta un ci su cchiù/ficco la manu ‘nfunnu e non ‘na trovu/comu ‘a campari non lu sacciu jù./ Giustu mi dissi me cumpari assìra:/ ca l’euro non vali cchiù ‘na lira!…”(Caru euru). Gli appassionati di numismatica, oltre a farne materia di scambio, conoscono nel dettaglio i valori della lira nelle diverse epoche: a partire dal lontano Medioevo. Carlo Magno Re dei Franchi e fondatore del Sacro Romano impero, la istituì come moneta di conto nell’ambito della riforma da egli stesso voluta intorno all’anno 800. In Italia entrò in vigore nel 1862; un anno dopo l’unificazione. Con il trascorrere del tempo, ha subìto alcune sostanziali variazioni per ciò che riguardava il taglio delle banconote e la lega da utilizzare per le monete. Dopo la prima guerra mondiale si ebbero le lire coniate in nichelio e successivamente in acciaio. Con l’avvento della Repubblica venne utilizzata una lega di alluminio. Tante le curiosità. Dal 1958 dello scorso secolo e fino al 1967, era in corso la moneta d’argento. Valeva cinquecento lire. Una somma discreta a quell’epoca. Poiché ne circolarono di false, si adottò un metodo semplicissimo: bastava sbatterle con forza sul pavimento per testarne l’autenticità. Se rimbalzavano “roteando”più volte, erano da considerare buone. Malgrado l’ingombro, le banconote da diecimila lire del secondo dopoguerra erano molto apprezzate. Oltre il loro valore intrinseco, erano abbastanza estese. Faceva un certo effetto vederle. Anche se poche, ci si sentiva ricchi. Le chiamavano le diecimila lire “ a linzolu”. Chi ne possedeva abbastanza e non voleva depositarle in banca, stipava i cassetti dell’armadio per farle entrare tutte. Qualcuno usava metterle sotto la mattonella, ma doveva fare il buco più profondo. Non potendo essere contenute nei portafogli, si arrotolavano legati stretti da un elastico. Lontano da occhi indiscreti, le donne le custodivano nel proprio seno quando dovevano andare a fare compere. Anche le mille lire avevano un formato più grande. Col tempo, il taglio di queste banconote è stato ridotto notevolmente; così il loro valore. “Se potessi avere mille lire al mese…” si cantava speranzosi negli anni ’30. Quando arrivò l’euro, la parola d’ordine fu: “Basta con la lira!… da oggi in poi bisogna ragionare in euro”. Ma “Cu lassa ‘a vecchia ppa nova,-mali s’attrova”. I proverbi c’azzeccano sempre.

 

Pubblicato su La Sicilia del 9.10.2022

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