INFLUENCER DI OGGI, VANNIATURI DI IERI
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- Scritto da Santo
E’ vero, “ ‘A vanniata è menza vinnita”. Questo proverbio tipicamente siculo, è stato e sarà sempre di grande attualità. Si riferisce alla necessità di pubblicizzare un dato prodotto. Oggi si “vannia” da tutte le parti. Alla radio come alla televisione; al telefono come al computer è un continuo “vanniari” quotidiano. A volte “vanniano” pure gli utenti che non ne possono più dei molesti “Call center”. Telefonano in tutte le ore della giornata infastidendo la gente. Le continue interruzioni nel bel mezzo dei programmi televisivi, sono una vera ossessione. Pubblicità, pubblicità dappertutto. Nei grandi cartelloni, il viso sorridente di personaggi famosi vengono riprodotti in primo piano. “I soddi, fanu soddi.” Di fronte a una possibilità di guadagno, davanti a un contratto “sostanzioso”, neanche Paperon de Paperoni si tirerebbe indietro. Il termine “spam” entrato nel lessico comune delle lamentele giornaliere, tutte le volte che si pronunzia suona come una dolorosa “schioppettata”. Tutto sommato, però, “Necessità obbliga liggi.” Un prodotto non reclamizzato, buono o scarso che sia, resterà sempre nel dimenticatoio. Verrà superato da altri. Da quando esiste il mondo, la legge del mercato è sempre stata spietata. Impone continui cambiamenti e accorgimenti tendenti a soddisfare i gusti sempre più sofisticati della clientela. Soprattutto nel commercio, è fondamentale azzeccare il messaggio da lanciare. E’ destinato a rimanere al “palo” quel commerciante che non avrà saputo rendere il proprio prodotto(anche se scarso), “visibile” e più accattivante di un altro. In questo caso, meglio cambiare mestiere. Quello che non fece una certa Wanna Marchi che il mestiere invece lo conosceva benissimo. Affiancata successivamente dalla figlia, passò alla storia per le sue “trovate” pubblicitarie. Le “gridava” istericamente fino a convincere la clientela a comprare il prodotto che diceva lei. La sua figura sembrava “bucare” il video. Possedeva le appropriate qualità per arrivare allo scopo prefissato. Potenza della parola. Eravamo nel pieno degli anni ’80 dello scorso secolo. Molto stava cambiando in quel periodo. “ Mih! Chissa fa nesciri ‘u suli do’ puzzu” si diceva a Catania. In principio furono i banditori. “Sintiti, sintiti, sintiti!”… Esordivano così. Per richiamare l’attenzione, usavano campanacci e tamburi. Ma la loro arte consisteva nel sapere dosare bene pause e toni. Non era affatto semplice. Si muovevano tirandosi dietro uno stuolo di persone che li seguivano per svariati motivi. I ragazzi li deridevano facendogli il “verso”. Gli strilloni erano un po' più intellettuali: reclamizzavano i giornali anticipando le notizie di cronaca che potevano interessare. Quelli eclatanti, li enfatizzavano aggiungendo considerazioni del tutto personali. Mentre una volta veniva spontaneo reclamizzare un prodotto usando la lingua più che il cervello, oggi avviene il contrario. Le nuove tecnologie impongono studi sempre più moderni e innovativi. Si fa ricorso alla psicologia per stimolare i bisogni del cliente. Non solo. Anche i requisiti estetici fanno parte del gioco. Anzi. Le “grazie” femminili in primis. E’ caduta quella maschera che da tempo celava un certo “bigottismo” di facciata. Alla voce “influencer” spiccano le figure delle cosiddette “Top model”. Ragazze molto belle; esili, quasi diafane. Badano al “girovita” prima che alla vita stessa. Per loro il buon risultato è quasi sempre assicurato. A loro ricorrono le aziende più facoltose. In questo campo però non sono da meno ragazzi e uomini di bell’aspetto. Al contrario, vengono preferiti muscolosi, cioè “palestrati”. Da quando i social hanno fatto “irruzione” nella società, un nuovo mondo si è aperto. Tutto è diventato “virale”. I primi a esserne contagiati sono i giovani clienti delle varie piattaforme che si confrontano innanzitutto sui dati di ascolto. Ci sarà col tempo un “vaccino” capace di debellarne il contagio? Oggi più che mai è il caso di dirlo: “Il tempo è denaro”. Intanto la voce “allenata” del venditore ambulante ormai è difficile ascoltarla per strada. Diventa sempre più “fioca”. Fortunatamente resiste ancora nei mercati o nel ricordo di qualche nostalgico. In televisione, gli “spot” impazzano. C’è la corsa a chi la “spara” più grossa. Sono quasi tutti sofisticati e sicuramente molto costosi. Alcuni addirittura inguardabili. Quelli “provocatori” finiscono per diventare divisivi nel momento in cui recano messaggi subliminali ideologizzanti. Lontani sono i tempi del “Carosello”. Appassionava soprattutto i bambini. I contenuti di quel programma erano molto efficaci e costruttivi, recavano la firma di affermati esponenti della letteratura. I personaggi scelti appartenevano tutti al mondo dello spettacolo. Possedevano un modo accattivante di reclamizzare il prodotto. Quando arrivava la sigla, si era già a tavola per la cena. Dopo, tutti ‘a nanna.
Pubblicato su “La Sicilia” del 28.04.2024
TEATRO SIPARIO BLU
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- Scritto da Santo Privitera
Domenica 21 aprile alle ore 17.30 e 21.00 al teatro nuovo “Sipario Blu”, per la regia di Sergio Campisi, l’associazione teatrale “Proscenio” è andata in scena in prima assoluta lo spettacolo teatrale “Bianco.” Non una semplice commedia, ma un brillante quanto intrigante viaggio nel mondo dell’arte attraverso un percorso teatrale vario e articolato. Una vera “manna” per gli appassionati del teatro moderno e contemporaneo. Liberamente ispirato all’opera “Art” della commediografa parigina Jasmine Reza, “Bianco” pone al centro diverse forme artistiche: dalla pittura alla fotografia, dalla grafica alla danza. La trama è coinvolgente, ricca di sfaccettature; invita a riflettere sul valore dell’amicizia e sulla complessità delle relazioni umane in uno “spazio” che ha nell’arte il suo punto di arrivo e partenza. “Può un motivo futile come una tela bianca( acquistata a prezzo esorbitante) mettere in crisi l’amicizia di una vita? Al centro della scena, un enigma silenzioso: un quadro dell’artista Martin. Attorno a questa tela a prima vista vuota di forme e di colore bianco, tre amici si trovano ad affrontare vecchie ferite e conflitti mai risolti. Non solo. Allo stesso tempo, ciascuno di loro è costretto a fare i conti con le proprie problematiche e frustrazioni quotidiane. Un sottile gioco introspettivo che farà emergere paure, rancori, gelosie fino al parossismo. Si giungerà a un finale rocambolesco ed imprevedibile, dove è lecito aspettarsi di tutto. Riusciranno i protagonisti ad abbattere gli invisibili muri che li separano? Tutti gli attori, soprattutto i tre giovani protagonisti, hanno offerto una prova maiuscola. Non era affatto facile districarsi tra le maglie del complicatissimo confronto scatenato da una tela che solo apparentemente si presentava priva di contenuti. I dialoghi fitti e incalzanti, accompagnati da eloquente gestualità, a parte le pause di riflessione, sono stati condotti sull’orlo di una crisi di nervi. Non è mancata l’ironia. Poi la soluzione finale, affatto scontata: semplice ma geniale. La scenografia è stata curata dal collettivo “Pappapane” con il patrocinio dell’Accademia delle Belle arti di Catania. Protagonisti, gli attori: Amedeo Amoroso, Salvatore Gabriel Intorre, Antony Foti. Danze a cura di Ismaele Buonvenga. Musiche originali di Elisa Rasà. Assistente di cena Serena Giuffrida. Direttore di produzione Manuel Giunta. Con la partecipazione straordinaria di Liliana Biglio e, nel duplice ruolo di attrice e assistente alla regia, quella di Margherita Malerba.
Catania 19.04.’24
LE PUBBLICITÀ’ “BLASFEME”
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- Scritto da Santo Privitera
A sentire le notizie di questi giorni c’è da stare poco allegri. Giornali, emittenti televisive pubbliche e private si prodigano per raccattarne il più possibile. Quelle buone sembrano essere purtroppo minoritarie. “Odio” e “Audence”(odiens, come da pronunzia), sono termini assonanti ma sembrano realmente avere qualcosa in comune. Nei “salotti” televisivi le zuffe tra gli “autorevoli” ospiti intervenuti sono all’ordine del giorno. Anch’esse sembrano fare parte della medesima “scaletta” preparata dal conduttore di turno. Quello dei “social” è un discorso a parte. Ognuno, esprimendo liberamente la propria opinione, non fa che innescare altri conflitti. E’ una catena. Insomma: “chi più ne ha, più ne metta”. Tutti contro tutti. E’ proprio vero: “Ogni testa è ‘n tribunali”. A parte i conflitti militari esistenti già da diverso tempo, si lotta per affermare principi che investono svariati campi della società. E qui la disputa non è da meno. Mancano sì le armi(quelle vere), in compenso ciascuno usa quelle che possiede in natura: in primis la lingua. La usa come una spada affilata. “ ‘A lingua non havi ossa, ma rumpi l’ossa” si dice a Catania. Eh già! Dalla politica alla sanità, dalla pubblicistica allo sport, dal mondo della scuola a quello dello spettacolo, dall’arte all’ecologia, non c’è pace. Ma Il campo è molto molto più vasto e vario; anzi è un… “campo largo.” Andare sempre controcorrente è diventata una moda. “Polemos”, il dio greco caro al filosofo Eraclito, sembra essere tornato per “ristabilire” la guerra. Sul “piatto”, alcune spinose questioni che però mettono il dito nella piaga. Il caso riguardante la scuola di Pioltello, nel milanese, è emblematico. Da un mese ci si “accapiglia” se sospendere o no le lezioni nel giorno della fine del Ramadan. La decisione è arrivata tra le roventi polemiche: “Signori, si chiude!” C’è da credere che sarà destinata a portarsi dietro l’ostilità di chi è rimasto scontento. Non è finita. Ancora a Milano, una statua in bronzo raffigurante una donna che a seno nudo allatta un neonato, è in attesa di sistemazione. Questa figura che nell’immaginario collettivo rappresenta il simbolo della maternità, in altri tempi avrebbe trovato subito una collocazione al centro della città. Ma a quanto pare oggi non è più così. L’autrice che l’ha donata, avrebbe espresso il desiderio di vederla collocata in una delle piazze principali della città. La commissione che avrebbe dovuto dare il via libera si è invece opposta: “Rappresenta”-è scritto in una nota firmata all’unanimità dai componenti-“ valori rispettabili ma non universalmente riconoscibili”. E’ il pensiero unico che avanza. La diatriba è ancora in corso. Contrapposizioni ovunque, anche nell’ambito religioso. Chi sosteneva che “i chiacchiri ci su macàri ‘m pararisu”, aveva ragione. Vi sono problematiche che non si risolvono senza prima “buttarla in cacciara”. Quando c’è di mezzo la religione, ancora peggio. Madonne, crocifissi e presepi, da tempo vengono messi in discussione. Questa volta a finire nell’occhio del ciclone non è il presunto rapporto di sudditanza della religione cattolica nei confronti delle altre, ma gli spot pubblicitari considerati “blasfemi”. Cosa non si fa per pubblicizzare questo o quell’altro prodotto? Nel corso degli anni ne abbiamo avuto prova. I pubblicitari cercano il “colpo ad effetto”, ovvero il “sensazionalismo”. E’ il loro mestiere. Si addentrano all’interno dei campi proibiti perché di solito è lì che lo trovano. Il pessimo gusto? In questo mondo considerato “al contrario” ormai non esiste più. Anzi è la provocazione ad essere diventata la vera anima del commercio. Come quello spot recentemente apparso in TV. Un prete intento a somministrare l’Eucarestia alle “novizie” mentre nelle vicinanze un’anziana suora sgranocchia avidamente delle patatine, non è passato affatto inosservato. E’ una finzione, ma tanto basta per gridare allo scandalo. “Un’altra genuflessione?… non è possibile. Apriti cielo. Non è la prima volta che questo fenomeno si ripete a danno dell’immagine stessa della religione cattolica. Tra le campagne pubblicitarie censurate, ne possiamo ricordare tante. Il Cristo “ritratto” muscoloso per pubblicizzare una palestra, e tra queste. Anche l’Ultima cena. L’opera di Leonardo Da Vinci ultimamente è stata utilizzata per pubblicizzare una compagnia assicurativa. L’accostamento fra l’Ostia consacrata e la patatina, in effetti non è per niente accattivante. Per questo ha scatenato un putiferio tale da consigliarne la sospensione. “Scherza con i fanti, ma lascia stare i Santi”, ormai è un detto fuori moda. Affermare che si è arrivati a toccare il fondo, è un eufemismo perfino benevolo. Il guaio è che “al peggio non c’è fine”.
Articolo del 14.04.2024