CATANIA: IL RESTAURO DEL MONUMENTO A VINCENZO BELLINI
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- Scritto da SANTO PRIVITERA
Dopo il restauro di alcune importanti piazze cittadine, dell’Elefante di pietra, della Porta dei sette canali e dell’Anfiteatro romano(Catania vecchia), adesso è la volta del monumento a Vincenzo Bellini. La riqualificazione dei monumenti cittadini passa sempre attraverso la sensibilità di chi amministra. Lo smog, favorendo la lenta erosione dei manufatti, ne determina il deterioramento. Il rischio è di vederli sempre più anneriti, sempre più ammalorati fino a quando non finiscono per cadere a pezzi. La pregiata opera di Giulio Monteverde, presentava già i suoi acciacchi. Le note musicali impresse sui gradini, erano ormai invisibili. L’attento melomane Nunzio Barbagallo, riferiva della spada sguainata mancante di Arturo. Questo personaggio principale dei “Puritani” posto come le altre(Norma, Pirati e Sonnambula) nel basamento superiore, è una delle quattro statue rappresentative delle opere principali bellinane. “Anche l’occhio vuole la sua parte”. Oltre alla salvaguardia fisica dell’opera d’arte, è giusto valorizzarne l’estetica. Ne va anche del rispetto per il personaggio immortalato. I disagi per i cittadini sono mitigati dalle moderne tecniche che di fatto “Isolano” il cantiere dall’immediato circondario. Molto spesso si trova perfino il modo di fare dell’ironia: “Meeh!…e chi è scompariu??… Amprisa ca su vinnèru??!! Lo scherzo dei catanesi ha sempre uno sfondo malizioso: è l’effetto della scarsa fiducia che da sempre essi nutrono verso la politica in generale. Una volta completata l’opera, però, la guardano con ammirazione e compiacimento: “Vadda chi ‘a ficiru bedda!…sta spicchiànnu!… Prima stava fitènnu”. Piazza Stesicoro, mentre in epoca passata era il confine nord della città, oggi è l’ombellico del Centro storico. In essa si concentra una parte importante della storia Antica e Medievale della città. Sede dell’Anfiteatro romano che per ordine di importanza era il terzo dopo il Colosseo e l’Arena di Verona, ci ricorda soprattutto la storia di Sant’Agata. Proprio in questi luoghi la Patrona di Catania subì il martirio che ne causò la morte. Quest’area rappresentò il cuore pulsante della città anche ai tempi dell’Impero romano. Oggi, con i palazzoni di corso Sicilia, è sede del commercio e della finanza. Ma allora, il monumento a Bellini cosa c’entra?…C’entra eccome. Chi lo propose vide lungo. In virtù della fama mondiale che il giovane maestro catanese seppe conquistarsi con la sua straordinaria musica, un monumento dedicato alla sua memoria non poteva essere collocato nel primo spazio utile che capitava. E poi gli arredi dell’odierna piazza Stesicoro, in passato erano sempre stati discutibili. Come esempio possiamo citare la fontana che i catanesi chiamarono della “Iettatura” o “sculpasta”. L’acqua che fuorusciva dalle grosse sfere forate infastidiva i passanti. E’ stata danneggiata prima, e poi smontata pezzo per pezzo. Rimase un vuoto che doveva essere al più presto colmato. Per fare posto a un monumento dedicato a Bellini, il consiglio comunale aveva in passato deliberato perfino di spostare il “Liotru” dalla piazza duomo. Non se ne fece nulla grazie alla tenace opposizione del popolo catanese. Il clamoroso tentativo però fu fatto. Al “Cigno” sarebbe stato in seguito intitolato tanto altro: dal primo giardino sorto in città, al grande teatro tempio della lirica; dalla Casa-museo al Liceo musicale. In epoca contemporanea, anche l’Aeroporto. Quando il monumento nel 1882 venne issato nel luogo dove adesso si trova, il quartiere “San Berillo” era parte importante della città. Stava proprio alle sue spalle. Con la sua struttura urbanistica caratterizzata da uno stretto reticolo di vie e viuzze, somigliava più a una Casbah algerina che a un quartiere catanese. Era uno dei luoghi più entropici e più controversi dell’Isola. L’attività commerciale e artigianale( e non solo) si concentrava lì. Al posto dei resti dell’Anfiteatro romano che fu portato alla luce solo nel 1904, c’era una enorme spazio dove nei giorni festivi l’alta aristocrazia catanese solitamente passeggiava. Il monumento a Bellini, perciò fu una soluzione che accontentò tutti. Ma non fu così semplice. L’incarico dato allo scultore Giulio Monteverde venne osteggiato. L’artista ci lavorò sodo fino a consegnarlo nei tempi dovuti. In campo entrò pure l’architetto Filadelfo Fichera, incaricato di seguire i lavori per l’ufficio.tecnico comunale. Prima durante e dopo montarono le polemiche. Coinvolsero enti e giornali; l’opinione pubblica si divise. Si puntò prima il dito sul costo dell’opera(centoquaranta milioni), ritenuto eccessivo. Qualcuno osservò: “Perché il monumento è in marmo e non in bronzo?” “Ma è troppo alto: non potevano farlo più basso così costava di meno e si vedeva meglio in viso?” Ma perché il maestro è seduto e non è all’impiedi?” Una vera sinfonia. Si tirò dritto e “buonanotte al secchio”.
Nella foto, il monumento a V. Bellini
INTERVISTA AL MAESTRO CALCOGRAFO ALFIO MILLUZZO
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- Scritto da Santo Privitera
E’ in corso di svolgimento alla Galleria d’Arte Moderna di via Castello Ursino 32, la mostra “Tra figurazione e segno. Incisione e incisori dell’Accademia delle belle arti di Catania(1968-2023)”. Inaugurato lo scorso gennaio, l’evento organizzato dall’Accademia delle belle arti di Catania in compartecipazione con il Comune di Catania e con il contributo del Ministero dell’Università e della ricerca, chiuderà al pubblico il prossimo 17 marzo. Il percorso espositivo curato dalla prof.ssa Laura Ragusa, segue un preciso ordine cronologico. Ricostruisce allo stesso tempo la storia della Scuola di grafica dell’Accademia delle belle arti di Catania e del suo fondatore: l’incisore, pittore e scenografo originario di Bronte, maestro Nunzio Sciavarrello(1918-2013). Circa 70 le opere in esposizione, 24 delle quali appartengono alla collezione di Alfio Milluzzo, incisore di fama internazionale che in passato ha occupato il ruolo di docente di tecniche dell’incisione presso la stessa accademia. Milluzzo ha sempre manifestato per l’arte contemporanea, un’attenzione particolare. Oggi è tra i maestri incisori più attivi e conosciuti. Sull’asse Urbino-Venezia ha sviluppato la sua ricerca sullo sperimentalismo ed il costruttivismo. Nella città lagunare il maestro originario di Scordia ha soggiornato, tenendo diverse mostre personali e collettive. Nel 1975 ha esposto alla “Quadriennale” sul tema “La nuova generazione”. L’anno successivo ha collaborato al corso di Tecniche dell’incisione tradizionale e sperimentale, tenuto da Riccardo Licata presso la scuola internazionale di grafica di Venezia. Tra i tanti riconoscimenti ottenuti, il premio speciale “Una vita per l’arte” come raffinato incisore e intelligente interprete dell’arte moderna e contemporanea. “ Dalla mia stamperia catanese”-afferma l’artista-“sono passati i più rappresentativi maestri incisori italiani e stranieri dell’arte contemporanea, anche loro hanno contribuito alla realizzazione di esperienze incisorie. Lo dimostra la mia collezione di stampe originali”.
-Lei oggi è considerato un innovatore nella tecnica dell’incisione…un maestro calcografo di alto livello…
“Innovatore perché da sempre ho sviluppato ricerche sullo sperimentalismo e il costruttivismo, distinguendoli per il rigore delle scelte compiute”
-L’incisione è una tecnica molto impegnativa, il suo rapporto con gli allievi?
“Agli allievi cerco di trasmettere amore, passione e rigore nello studio e nella pratica del segno inciso. Per studiare dal vivo opere di grande valore artistico e culturale, li metto spesso in contatto con la mia collezione di grafica e d’arte contemporanea”
-Il suo rapporto col maestro Nunzio Sciavarrello?
“ Il maestro Sciavarrello è stato per me un amico, ci ha uniti un rapporto tecnico-culturale basato sulle tendenze della scuola romana che lui prediligeva e che cercava di arricchire attraverso i vari incontri con artisti.” Catania 07.03.2024
Nella Foto, Alfio Milluzzo
NOSTALGIA CANAGLIA
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- Scritto da Santo Privitera
“Nostalgia canaglia”, ma potremmo anche chiamarla con il suo vero nome scientifico: “Sindrome dell’età d’oro”. Consiste nel rimpiangere i propri trascorsi: belli o brutti che siano stati. Nelle sue forme più estreme, potrebbe essere pure definita “malattia dell’animo umano”. Ciò avviene quando il soggetto si convince di essere nato nell’epoca sbagliata. E’ sempre stato così. Dipende dal grado di sensibilità individuale, ma anche dall’ambiente in cui si è cresciuti. Tutto si trasforma, tutto si modifica, non può essere diversamente. Per dirla col filosofo greco Eraclito: “Tutto scorre”. “Il tempo sta nella nostra mente” diceva invece Sant’Agostino di Ippona, In effetti, al netto delle credenze religiose, quando si muore il tempo dell’individuo sembra cessare. A Catania qualcuno sentenzia: “Quannu moru jù, mori ‘u munnu”. Filosofia spicciola che profuma di saggezza. A differenza di ieri, i tempi oggi tendono ad accorciarsi. Corrono talmente veloci che è impossibile non accorgersene. Guai a chi resta indietro. Le nuove frontiere del progresso impongono un drastico adeguamento che sembra andare contro chi si ostina ancora a rifiutare la pratica delle nuove tecnologie messe in campo nella moderna società. Finita l’era “analogica”, quella “digitale” è già da tempo una realtà. Sin da bambini si comincia ad avere una precisa predisposizione all’uso del digitale. Nell’immaginario collettivo, il futuro dell’uomo sarà governato dalle “macchine”. Intanto per chi ha una certa età il problema è adesso: come si fa a sopravvivere all’incalzante progresso che ti mette di fronte a problematiche sempre più nuove e complesse? I maggiori benefici provengono dalla medicina. Sempre meno “sonde” invasive. Un micro-robot basta. Riducendo al minimo le sofferenze del momento, questo procedimento meccanico oggi è in grado di scrutare l’interno corpo umano in pochissimo tempo. Di contro, sono molti i pericoli che si annidano nelle varie operazioni compiute via web. Un semplice “clic” può cambiare lo “status” di una persona. Non è uno slogan, ma una realtà della quale tenere conto. E’ il caso delle “truffe” on-line che sembrano essere aumentate in maniera esponenziale. “Fatta la legge, si scopre l’inganno”. Attenzione. “Occhiu vivu e manu ‘o cuteddu” si dice dalle nostre parti. Ma quando si parla di “nostalgia” la mente corre inevitabilmente verso il passato. La realtà di allora era proporzionale alle esigenze della società dell’epoca. Era tutto a “misura d’uomo”. La vera “forza” consisteva nel fare di necessità virtù. Il famoso detto “ ‘U supecchiu è comu ‘u mancanti”, era la naturale regola da seguire. Quando a Catania si andava “‘nta “miccèra”, nella piccola botteguccia di pochi metri quadrati ci trovavi di tutto. Dai ai prodotti alimentari fino ai giocattoli per i bambini. Piccole realtà bastevoli al fabbisogno quotidiano. Il mercato era calmierato nei prezzi, e i prodotti controllati da appositi uffici predisposti dagli Enti comunali e provinciali. L’avvento dei Supermercati prima e dei grandi Centri commerciali dopo, ha finito per ridurre o cancellare del tutto quelle “piccole-grandi” realtà in grado di soddisfare il fabbisogno quotidiano delle famiglie di allora. Resistono ancora i mercati storici di Catania: “‘a fera” e “‘a piscarìa” in primis. La prima ormai è “invasa” dalle botteghe cinesi; la seconda, negli ultimi tempi sta facendo registrare una paurosa “desertificazione” commerciale causata dal sempre più frequente abbandono dei venditori. “Vuoti” sempre più evidenti che affievoliscono progressivamente il tradizionale “colore” che caratterizza i luoghi. “Lascia” chi è in età pensionabile, cambia mestiere chi è ancora “impiegabile”. Pescatori, macellai, fruttivendoli e altri, lamentano un calo nelle vendite a fronte degli eccessivi costi sostenuti: “Cca c’è maccarìa”-sostengono- “non ci niscemu cchiù che’ spisi”. Molti “Vendesi” campeggiano in quasi tutte le vie del Centro storico catanese. Meno nelle periferie dove c’è più densità di popolazione. Quelli che furono storici bar, ristoranti, pizzerie e perfino librerie e cinema, hanno abbassato per sempre le loro saracinesche mettendo la parola “fine” alla duratura esperienza.
Pubblicato su “La Sicilia” del 10.03.2024