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TURISMO A CATANIA

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Non si può dire che con l’arrivo della bella stagione, il turismo sia “esploso” anche quest’anno. A Catania i turisti ci sono sempre. Ogni anno il centro storico e i luoghi turistici, risultano sempre più affollati. Quando inizia la stagione estiva, il flusso si sposta inevitabilmente verso le zone balneari. Soprattutto alla plaja e alla scogliera. E’ necessario indossare il cappello, perché chi viene nella nostra Isola sa bene che in Sicilia  il sole picchia davvero forte. Presi d’assalto anche i paesini pedemontani, le strutture ricettive dell’Etna lavorano tutto l’anno. Per mare cielo e terra, i turisti arrivano a frotte da tutto il mondo. Il proposito è quello di ammirare le bellezze di una città che possiede tutto. Di più madre natura non poteva darle a Catania. Il mare, la collina, la montagna, la storia e un clima così mite da consentire ai “forestieri” di mettersi in maniche di camicia o di indossare bermuda anche nel mese di dicembre. Porto e aeroporto sono quasi tutti i giorni affollati. In città, pullman e trenini turistici circolano liberamente verso i siti storici; il loro lento incedere finisce per provocare ingorghi lungo il percorso. Tra le strade strette e con le macchine parcheggiate in entrambi i lati, è impossibile ogni tentativo di sorpasso da parte degli automobilisti. Inevitabili le proteste da parte loro. “E com’è”-sbottano affacciando la testa dal finestrino-… “No’ putiti fari di sira stu travagghiu?!!…giustu giustu ora??!!” Di solito, l’autista lascia correre; non risponde nemmeno. Se risponde lo fa con un pizzico di ironia: “Di notti si rommi!!!”-dice. Per chi ha fretta, perciò, non resta che farsene una ragione. Dalle nostre parti l’estate si spinge fino al mese di Novembre(  ppe motti). I giorni più freddi, di solito sono quelli di gennaio e febbraio. In questo periodo l’Etna appare ammantata di bianco. La neve prova timidamente a imbiancare i tetti della città; non avendo la giusta consistenza, si scioglie subito. Diventa semplice  “Acquazzina”, niente di più. Quando arriva aprile, per i catanesi invece  non è ancora tempo di togliersi giacca e cappotto. “Aprili non livàri e non mintìri” si dice. Questo è un proverbio che riferito al cambio del guardaroba di stagione, invita alla cautela. In questo periodo sono pure in agguato  le allergie causate dai pollini fluttuanti nell’aria. Attenzione però: qualche pioggerellina è ancora in agguato. A Maggio, in particolare. Non è intensa, ma tanto basta per diventare fastidiosa. Poche gocce, il fenomeno è meglio conosciuto come        “I cacateddi ‘i maju”. In questi giorni ne abbiamo avuto prova. “I cacateddi” sporcano le macchine, costringendo gli automobilisti a recarsi al più vicino lavaggio. Tornando al turismo. Ancora oggi al centro storico del capoluogo etneo continuano ad affiorare tracce dell’antichità. Ovunque si scavi, ecco emergere un muro o la stanza di un’antico edificio. La storia di Catania è stata segnata nel tempo da cataclismi devastanti. Il paragone con “l’araba fenice” che risorge dalle proprie ceneri è appropriato. Il problema è che questi ritrovamenti non  si riesce a salvaguardarli. Renderli visibili ai turisti, sia pure in minima parte, non sarebbe affatto male. Anzi. Quello che oggi conosciamo è poca cosa rispetto a quello che ci sta sottoterra. Negli anni ‘50 dello scorso secolo,  importanti resti archeologici iniziati da Guido Libertini e affidati al collega Giovanni Rizza, portarono alla scoperta in via dottor Consoli, di una necropoli di età ellenistico-romana. Sepolture cristiane in una Basilica tricora. La scoperta suscitò molto interesse e aprì nuove ipotesi sui dintorni dell’antico “Lago di Nicito” inghiottito dalle lave del 1669. Storici e giornalisti dell’epoca scrissero pagine memorabili sull’argomento. L’ intenzione era di realizzare un giardino archeologico in quell’area. Invece la chiusero frettolosamente per consentire la costruzione di un edificio privato. A malapena si riuscirono a salvare i preziosi mosaici artistici lì rinvenuti. Vennero aggiunti ai “tesori” del Castello Ursino. Il fenomeno si è  poi ripetuto nel tempo, con altri rinvenimenti archeologici scoperti e…ricoperti.  I resti di una necropoli scoperta sempre negli anni ’50, sotto il palazzo della rinascente. Nessun accesso è consentito; men che meno ai turisti. Non sappiamo se esiste ancora. Stesso discorso per la via Crociferi e piazza Cardinale Pappalardo(ex piazza duca di Genova) alla Civita . In quest’ultimo sito, si è preferito chiudere gli scavi anziché lasciarli visibili a cittadini e turisti. Durante i lavori di ristrutturazione erano emersi antichi manufatti di epoca medievale. A quanto pare, dalle nostre parti non c’è l’attitudine a incrementare i percorsi storici oltre quelli già conosciuti. Un vero peccato. Si continua a “seppellire” il passato, per salvaguardare appena qualche metro di spazio in più.  

Nella foto, un tratto dello scavo archeologico di v.dott.Consoli

                                                                                                                                                            

INFLUENCER DI OGGI, VANNIATURI DI IERI

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E’ vero, “ ‘A vanniata è menza vinnita”. Questo proverbio tipicamente siculo, è stato e sarà sempre di grande attualità. Si riferisce alla necessità di pubblicizzare un dato prodotto. Oggi si “vannia” da tutte le parti. Alla radio come alla televisione;  al telefono come al computer è un continuo “vanniari” quotidiano. A volte “vanniano” pure gli utenti che non ne possono più dei  molesti “Call center”. Telefonano in tutte le ore della giornata infastidendo la gente. Le continue interruzioni nel bel mezzo dei programmi televisivi, sono una vera ossessione.  Pubblicità, pubblicità dappertutto. Nei grandi cartelloni, il viso sorridente di personaggi famosi vengono  riprodotti in primo piano. “I soddi, fanu soddi.” Di fronte a una possibilità di guadagno, davanti a un contratto “sostanzioso”, neanche Paperon de Paperoni si tirerebbe indietro. Il termine “spam” entrato nel lessico comune delle lamentele giornaliere, tutte le volte che si pronunzia suona come una dolorosa “schioppettata”. Tutto sommato, però, “Necessità obbliga liggi.” Un prodotto non reclamizzato, buono o scarso che sia, resterà sempre nel dimenticatoio. Verrà superato da altri. Da quando esiste il mondo, la legge del mercato è sempre stata spietata. Impone continui cambiamenti e accorgimenti tendenti a soddisfare i gusti sempre più sofisticati della clientela. Soprattutto nel commercio, è fondamentale azzeccare il messaggio da lanciare. E’ destinato a rimanere al “palo” quel commerciante che non avrà saputo rendere il proprio prodotto(anche se scarso), “visibile” e  più accattivante di un altro. In questo caso, meglio cambiare mestiere. Quello che non  fece una certa Wanna Marchi che il mestiere invece lo conosceva benissimo.  Affiancata successivamente dalla figlia, passò alla storia per le sue “trovate” pubblicitarie. Le “gridava” istericamente fino a convincere la clientela a comprare il prodotto che diceva lei. La sua figura sembrava “bucare” il video. Possedeva le appropriate qualità per arrivare allo scopo prefissato. Potenza della parola. Eravamo nel pieno degli anni ’80 dello scorso secolo.  Molto stava cambiando in quel  periodo.  “ Mih! Chissa fa nesciri ‘u suli do’ puzzu” si diceva a Catania. In principio furono i banditori. “Sintiti, sintiti, sintiti!”… Esordivano così. Per richiamare l’attenzione,  usavano campanacci e tamburi. Ma la loro arte consisteva nel sapere dosare bene pause e toni. Non era affatto semplice. Si muovevano tirandosi dietro uno stuolo di persone che li seguivano per svariati motivi. I ragazzi li deridevano facendogli il “verso”. Gli strilloni erano un po' più intellettuali: reclamizzavano i giornali anticipando le notizie di cronaca che potevano interessare. Quelli eclatanti, li enfatizzavano aggiungendo considerazioni del tutto personali. Mentre una volta veniva spontaneo reclamizzare un prodotto usando la lingua più che il cervello, oggi avviene il contrario. Le nuove tecnologie impongono studi sempre più moderni e innovativi. Si fa ricorso alla psicologia per stimolare i bisogni del cliente. Non solo. Anche i requisiti estetici fanno parte del gioco. Anzi. Le “grazie” femminili in primis. E’ caduta quella maschera che da tempo celava un certo “bigottismo” di facciata. Alla voce “influencer” spiccano le figure delle cosiddette “Top model”. Ragazze molto belle; esili, quasi diafane. Badano al “girovita” prima che alla vita stessa. Per loro il buon risultato è quasi sempre assicurato. A loro ricorrono le aziende più facoltose. In questo campo però non sono da meno ragazzi e uomini di bell’aspetto. Al contrario, vengono preferiti muscolosi, cioè “palestrati”.  Da quando i social hanno fatto “irruzione” nella società, un nuovo mondo si è aperto. Tutto è diventato “virale”. I primi a esserne contagiati sono i giovani clienti delle varie piattaforme che si confrontano innanzitutto sui dati di ascolto. Ci sarà col tempo un “vaccino” capace di debellarne il contagio?  Oggi più che mai è il caso di dirlo: “Il tempo è denaro”.  Intanto la voce “allenata” del  venditore ambulante ormai è difficile ascoltarla per strada. Diventa sempre più “fioca”. Fortunatamente resiste ancora nei mercati o nel ricordo di qualche nostalgico. In televisione, gli “spot” impazzano. C’è la corsa a chi la “spara” più grossa. Sono quasi tutti sofisticati e sicuramente molto costosi. Alcuni addirittura inguardabili. Quelli “provocatori” finiscono per diventare divisivi nel momento in cui recano messaggi subliminali ideologizzanti. Lontani sono i tempi del “Carosello”. Appassionava soprattutto i bambini. I contenuti di quel programma erano molto efficaci e costruttivi, recavano la firma di affermati esponenti della letteratura. I personaggi scelti appartenevano tutti al mondo dello spettacolo. Possedevano un modo accattivante di reclamizzare il prodotto. Quando arrivava la sigla, si era già a tavola per la cena. Dopo, tutti ‘a nanna.

Pubblicato su “La Sicilia” del 28.04.2024

                                                                                                                                                          

LE PUBBLICITÀ’ “BLASFEME”

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A sentire le notizie di questi giorni c’è da stare poco allegri. Giornali, emittenti televisive pubbliche e private si prodigano per raccattarne il più possibile. Quelle buone sembrano essere purtroppo minoritarie. “Odio” e “Audence”(odiens, come da pronunzia), sono termini assonanti  ma sembrano realmente avere qualcosa in comune. Nei “salotti” televisivi le zuffe tra gli “autorevoli” ospiti intervenuti sono all’ordine del giorno. Anch’esse sembrano fare parte della medesima “scaletta” preparata dal conduttore di turno. Quello dei “social”  è un discorso a parte. Ognuno, esprimendo liberamente la propria opinione, non fa che innescare altri conflitti. E’ una catena. Insomma: “chi più ne ha, più ne metta”. Tutti contro tutti.  E’ proprio vero: “Ogni testa è ‘n tribunali”.  A parte i conflitti militari esistenti già da diverso tempo, si lotta per affermare principi che investono svariati campi della società. E qui la disputa non è da meno. Mancano sì le armi(quelle vere), in compenso ciascuno usa quelle che possiede in natura: in primis la lingua. La usa come una spada affilata. “ ‘A lingua non havi ossa, ma rumpi l’ossa” si dice a Catania. Eh già! Dalla politica alla sanità, dalla pubblicistica allo sport, dal mondo della scuola a quello dello spettacolo, dall’arte  all’ecologia, non c’è pace. Ma Il campo è molto molto più vasto e vario; anzi è un… “campo largo.” Andare sempre controcorrente è diventata una moda. “Polemos”, il dio greco caro al filosofo Eraclito, sembra essere tornato per “ristabilire” la guerra. Sul “piatto”,  alcune spinose questioni che però mettono il dito nella piaga. Il caso riguardante  la scuola di Pioltello, nel milanese, è emblematico.  Da un mese ci si “accapiglia” se sospendere o no le lezioni nel giorno della fine del Ramadan. La decisione è arrivata tra le roventi polemiche: “Signori, si chiude!” C’è da credere che sarà destinata a portarsi dietro l’ostilità di chi è rimasto scontento. Non è finita. Ancora a Milano, una statua in bronzo raffigurante una donna che a  seno nudo allatta un neonato, è in attesa di sistemazione. Questa figura che nell’immaginario collettivo  rappresenta il simbolo della  maternità, in altri tempi avrebbe trovato subito una collocazione al centro della città. Ma a quanto pare oggi non è più così. L’autrice che l’ha donata, avrebbe espresso il desiderio di vederla collocata in una delle piazze principali della città. La commissione che avrebbe dovuto dare il via libera si è invece opposta:  “Rappresenta”-è scritto in una nota firmata all’unanimità dai componenti-“ valori rispettabili ma non universalmente riconoscibili”.  E’ il pensiero unico che avanza. La diatriba è ancora in corso. Contrapposizioni ovunque, anche nell’ambito religioso. Chi sosteneva che “i chiacchiri ci su macàri  ‘m pararisu”, aveva ragione. Vi sono problematiche che non si risolvono senza prima “buttarla in cacciara”. Quando c’è di mezzo la religione, ancora peggio. Madonne, crocifissi e presepi, da tempo vengono messi in discussione. Questa volta a finire nell’occhio del ciclone non è il presunto rapporto di sudditanza della religione cattolica nei confronti delle altre, ma gli spot pubblicitari considerati “blasfemi”.  Cosa non si fa per pubblicizzare questo o quell’altro prodotto? Nel corso degli anni ne abbiamo avuto prova.  I pubblicitari cercano il “colpo ad effetto”, ovvero il  “sensazionalismo”. E’ il loro mestiere. Si addentrano all’interno dei campi proibiti perché di solito è lì che lo trovano. Il pessimo gusto?  In questo mondo considerato “al contrario” ormai non esiste più. Anzi è la provocazione ad essere diventata la vera anima del commercio. Come quello spot recentemente apparso in TV. Un prete intento a somministrare l’Eucarestia alle “novizie” mentre nelle vicinanze un’anziana suora sgranocchia avidamente delle patatine, non è passato affatto inosservato. E’ una finzione, ma tanto basta per gridare allo scandalo. “Un’altra genuflessione?… non è possibile.  Apriti cielo. Non è la prima volta che questo fenomeno si ripete a danno dell’immagine stessa della religione cattolica. Tra le campagne pubblicitarie censurate, ne possiamo ricordare tante.  Il Cristo “ritratto” muscoloso per pubblicizzare una palestra, e tra queste. Anche l’Ultima cena. L’opera di Leonardo Da Vinci ultimamente è stata utilizzata per pubblicizzare una compagnia assicurativa. L’accostamento fra l’Ostia consacrata e la patatina, in effetti non è per niente accattivante. Per questo ha scatenato un putiferio tale da consigliarne la sospensione. “Scherza con i fanti, ma lascia stare i Santi”, ormai è un detto fuori moda. Affermare che si è arrivati a toccare il fondo, è un eufemismo perfino benevolo. Il guaio è che  “al peggio non c’è fine”.

Articolo del 14.04.2024

CATANIA: IL RESTAURO DEL MONUMENTO A VINCENZO BELLINI

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Dopo il restauro di alcune importanti piazze cittadine, dell’Elefante di pietra, della Porta dei sette canali e dell’Anfiteatro romano(Catania vecchia), adesso è la volta del monumento a Vincenzo Bellini. La riqualificazione dei monumenti cittadini passa sempre attraverso la sensibilità di chi amministra. Lo smog, favorendo la lenta erosione dei manufatti, ne determina il deterioramento. Il rischio è di vederli sempre più anneriti, sempre più ammalorati fino a quando non  finiscono per cadere a pezzi. La pregiata opera di Giulio Monteverde, presentava già i suoi acciacchi. Le note musicali impresse sui gradini, erano ormai invisibili. L’attento melomane Nunzio Barbagallo, riferiva della spada sguainata mancante di Arturo. Questo personaggio principale dei “Puritani” posto come le altre(Norma, Pirati e Sonnambula) nel basamento superiore, è una delle quattro statue rappresentative delle opere principali bellinane. “Anche l’occhio vuole la sua parte”.  Oltre alla salvaguardia fisica dell’opera d’arte, è giusto valorizzarne l’estetica.  Ne va anche del rispetto per il personaggio immortalato. I disagi per i cittadini sono mitigati dalle moderne tecniche che di fatto “Isolano” il cantiere dall’immediato circondario. Molto spesso si trova perfino il modo di fare dell’ironia:  “Meeh!…e chi è scompariu??… Amprisa ca su vinnèru??!! Lo scherzo dei catanesi ha sempre uno sfondo malizioso: è l’effetto della scarsa fiducia che da sempre essi nutrono verso la politica in generale. Una volta completata l’opera, però, la guardano con ammirazione e compiacimento: “Vadda chi ‘a ficiru bedda!…sta spicchiànnu!… Prima stava fitènnu”. Piazza Stesicoro, mentre in epoca passata era il confine nord della città, oggi è l’ombellico del Centro storico. In essa si concentra una parte importante della storia Antica e Medievale  della città. Sede dell’Anfiteatro romano che per ordine di importanza era il terzo dopo il Colosseo e l’Arena di Verona,  ci ricorda soprattutto la storia di Sant’Agata. Proprio in questi luoghi la Patrona di Catania subì il martirio che ne causò  la morte. Quest’area rappresentò il cuore pulsante della città anche ai tempi dell’Impero romano.  Oggi, con i palazzoni di corso Sicilia, è sede del commercio e della finanza. Ma allora, il monumento a Bellini cosa c’entra?…C’entra eccome. Chi lo propose vide lungo. In virtù della fama mondiale che il giovane maestro catanese seppe conquistarsi con la sua straordinaria musica, un monumento dedicato alla sua memoria non poteva essere collocato nel primo spazio utile che capitava. E poi gli arredi dell’odierna piazza Stesicoro, in passato erano sempre stati discutibili. Come esempio possiamo citare la fontana che i catanesi chiamarono della “Iettatura” o “sculpasta”. L’acqua che fuorusciva dalle grosse sfere forate infastidiva i passanti. E’ stata danneggiata prima, e poi smontata pezzo per pezzo.    Rimase un vuoto che doveva essere al più presto colmato. Per fare posto a un monumento dedicato a Bellini, il consiglio comunale aveva in passato deliberato perfino di spostare il “Liotru” dalla piazza duomo. Non se ne fece nulla grazie alla tenace opposizione del popolo catanese. Il clamoroso tentativo però fu fatto. Al “Cigno” sarebbe stato in seguito intitolato tanto altro: dal primo giardino sorto in città, al grande teatro tempio della lirica; dalla Casa-museo al Liceo musicale. In epoca contemporanea, anche l’Aeroporto. Quando il monumento nel 1882 venne issato nel luogo dove adesso si trova, il  quartiere  “San Berillo” era parte importante della città. Stava proprio alle sue spalle. Con la sua struttura urbanistica caratterizzata da uno stretto reticolo di vie e viuzze, somigliava più a una Casbah algerina che a un quartiere catanese. Era uno dei luoghi più entropici e più controversi dell’Isola. L’attività commerciale e artigianale( e non solo) si concentrava lì.  Al posto dei resti dell’Anfiteatro romano che fu portato alla luce solo nel 1904, c’era una enorme spazio dove nei giorni festivi l’alta aristocrazia catanese solitamente passeggiava. Il monumento a Bellini, perciò fu una soluzione che accontentò tutti. Ma non fu così semplice. L’incarico dato allo scultore Giulio Monteverde venne osteggiato. L’artista ci lavorò sodo fino a consegnarlo nei tempi dovuti. In campo entrò pure l’architetto Filadelfo Fichera,  incaricato di seguire i lavori per l’ufficio.tecnico comunale. Prima durante e dopo montarono le polemiche. Coinvolsero enti e giornali; l’opinione pubblica si divise. Si puntò prima il dito sul costo dell’opera(centoquaranta milioni), ritenuto eccessivo. Qualcuno osservò: “Perché il monumento è in marmo e non in bronzo?” “Ma è troppo alto: non potevano farlo più basso così costava di meno e si vedeva meglio in viso?”  Ma perché il maestro è seduto e non è all’impiedi?” Una vera sinfonia. Si tirò dritto e “buonanotte al secchio”.   

Nella foto, il monumento a V. Bellini 

                                                                                             

NOSTALGIA CANAGLIA

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“Nostalgia canaglia”, ma potremmo anche chiamarla con il suo vero nome scientifico: “Sindrome dell’età d’oro”. Consiste nel rimpiangere i propri trascorsi: belli o brutti che siano stati. Nelle sue forme più estreme, potrebbe essere pure definita “malattia dell’animo umano”. Ciò avviene quando il soggetto si convince di essere nato nell’epoca sbagliata. E’ sempre stato così. Dipende dal grado di sensibilità individuale, ma anche dall’ambiente in cui si è cresciuti. Tutto si trasforma, tutto si modifica, non può essere diversamente. Per dirla col filosofo greco Eraclito: “Tutto scorre”.  “Il tempo sta nella nostra mente” diceva invece Sant’Agostino di Ippona, In effetti, al netto delle credenze religiose, quando si muore il tempo dell’individuo sembra cessare. A Catania qualcuno sentenzia: “Quannu moru jù, mori ‘u munnu”. Filosofia spicciola che profuma di saggezza. A differenza di ieri, i tempi oggi tendono ad accorciarsi. Corrono talmente veloci che è impossibile non accorgersene. Guai a chi resta indietro. Le nuove frontiere del progresso impongono un drastico adeguamento che sembra andare contro chi si ostina ancora a rifiutare la pratica delle nuove tecnologie messe in campo nella moderna società. Finita l’era “analogica”, quella “digitale” è già da tempo una realtà. Sin da bambini si comincia ad avere una precisa predisposizione all’uso del digitale. Nell’immaginario collettivo, il futuro dell’uomo sarà governato dalle “macchine”. Intanto per chi ha una certa età il problema è adesso: come si fa a sopravvivere all’incalzante progresso che ti mette di fronte a problematiche sempre più nuove e complesse? I maggiori benefici provengono dalla medicina. Sempre meno “sonde” invasive. Un micro-robot basta. Riducendo al minimo le sofferenze del momento, questo procedimento meccanico oggi è in grado di scrutare l’interno corpo umano in pochissimo tempo. Di contro, sono molti i pericoli che si annidano nelle varie operazioni compiute via web. Un semplice “clic” può cambiare lo “status” di una persona. Non è uno slogan, ma una realtà della quale tenere conto. E’ il caso delle “truffe” on-line che sembrano essere aumentate in maniera esponenziale. “Fatta la legge, si scopre l’inganno”. Attenzione. “Occhiu vivu e manu ‘o cuteddu” si dice dalle nostre parti.  Ma quando si parla di “nostalgia” la mente corre inevitabilmente verso il passato. La realtà di allora era proporzionale alle esigenze della società dell’epoca. Era tutto a “misura d’uomo”. La vera “forza” consisteva nel fare di necessità virtù. Il famoso detto “ ‘U supecchiu è comu ‘u mancanti”, era la naturale regola da seguire. Quando a Catania si andava “‘nta “miccèra”, nella piccola botteguccia di pochi metri quadrati ci trovavi di tutto. Dai ai prodotti alimentari fino ai giocattoli per i bambini. Piccole realtà bastevoli al fabbisogno quotidiano. Il mercato era calmierato nei prezzi, e i prodotti controllati da appositi uffici predisposti dagli Enti comunali e provinciali. L’avvento dei Supermercati prima e dei grandi Centri commerciali dopo, ha finito per ridurre o cancellare del tutto quelle “piccole-grandi” realtà in grado di soddisfare il fabbisogno quotidiano delle famiglie di allora. Resistono ancora i mercati storici di Catania: “‘a fera” e “‘a piscarìa” in primis. La prima ormai è “invasa” dalle botteghe cinesi; la seconda, negli ultimi tempi sta facendo registrare una paurosa “desertificazione” commerciale causata dal sempre più frequente abbandono dei venditori. “Vuoti” sempre più evidenti che affievoliscono progressivamente il tradizionale “colore” che caratterizza i luoghi. “Lascia” chi è in età pensionabile, cambia mestiere chi è ancora “impiegabile”. Pescatori, macellai, fruttivendoli e altri, lamentano un calo nelle vendite a fronte degli eccessivi costi sostenuti: “Cca c’è maccarìa”-sostengono- “non ci niscemu cchiù che’ spisi”. Molti “Vendesi” campeggiano in quasi tutte le vie del Centro storico catanese. Meno nelle periferie dove c’è più densità di popolazione. Quelli che furono storici bar, ristoranti, pizzerie e perfino librerie e cinema, hanno abbassato per sempre le loro saracinesche mettendo la parola “fine” alla duratura esperienza.

Pubblicato su “La Sicilia” del 10.03.2024

                                                                                                          

 

 

 

 

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