Moda Costume e Società

LE PUBBLICITÀ’ “BLASFEME”

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A sentire le notizie di questi giorni c’è da stare poco allegri. Giornali, emittenti televisive pubbliche e private si prodigano per raccattarne il più possibile. Quelle buone sembrano essere purtroppo minoritarie. “Odio” e “Audence”(odiens, come da pronunzia), sono termini assonanti  ma sembrano realmente avere qualcosa in comune. Nei “salotti” televisivi le zuffe tra gli “autorevoli” ospiti intervenuti sono all’ordine del giorno. Anch’esse sembrano fare parte della medesima “scaletta” preparata dal conduttore di turno. Quello dei “social”  è un discorso a parte. Ognuno, esprimendo liberamente la propria opinione, non fa che innescare altri conflitti. E’ una catena. Insomma: “chi più ne ha, più ne metta”. Tutti contro tutti.  E’ proprio vero: “Ogni testa è ‘n tribunali”.  A parte i conflitti militari esistenti già da diverso tempo, si lotta per affermare principi che investono svariati campi della società. E qui la disputa non è da meno. Mancano sì le armi(quelle vere), in compenso ciascuno usa quelle che possiede in natura: in primis la lingua. La usa come una spada affilata. “ ‘A lingua non havi ossa, ma rumpi l’ossa” si dice a Catania. Eh già! Dalla politica alla sanità, dalla pubblicistica allo sport, dal mondo della scuola a quello dello spettacolo, dall’arte  all’ecologia, non c’è pace. Ma Il campo è molto molto più vasto e vario; anzi è un… “campo largo.” Andare sempre controcorrente è diventata una moda. “Polemos”, il dio greco caro al filosofo Eraclito, sembra essere tornato per “ristabilire” la guerra. Sul “piatto”,  alcune spinose questioni che però mettono il dito nella piaga. Il caso riguardante  la scuola di Pioltello, nel milanese, è emblematico.  Da un mese ci si “accapiglia” se sospendere o no le lezioni nel giorno della fine del Ramadan. La decisione è arrivata tra le roventi polemiche: “Signori, si chiude!” C’è da credere che sarà destinata a portarsi dietro l’ostilità di chi è rimasto scontento. Non è finita. Ancora a Milano, una statua in bronzo raffigurante una donna che a  seno nudo allatta un neonato, è in attesa di sistemazione. Questa figura che nell’immaginario collettivo  rappresenta il simbolo della  maternità, in altri tempi avrebbe trovato subito una collocazione al centro della città. Ma a quanto pare oggi non è più così. L’autrice che l’ha donata, avrebbe espresso il desiderio di vederla collocata in una delle piazze principali della città. La commissione che avrebbe dovuto dare il via libera si è invece opposta:  “Rappresenta”-è scritto in una nota firmata all’unanimità dai componenti-“ valori rispettabili ma non universalmente riconoscibili”.  E’ il pensiero unico che avanza. La diatriba è ancora in corso. Contrapposizioni ovunque, anche nell’ambito religioso. Chi sosteneva che “i chiacchiri ci su macàri  ‘m pararisu”, aveva ragione. Vi sono problematiche che non si risolvono senza prima “buttarla in cacciara”. Quando c’è di mezzo la religione, ancora peggio. Madonne, crocifissi e presepi, da tempo vengono messi in discussione. Questa volta a finire nell’occhio del ciclone non è il presunto rapporto di sudditanza della religione cattolica nei confronti delle altre, ma gli spot pubblicitari considerati “blasfemi”.  Cosa non si fa per pubblicizzare questo o quell’altro prodotto? Nel corso degli anni ne abbiamo avuto prova.  I pubblicitari cercano il “colpo ad effetto”, ovvero il  “sensazionalismo”. E’ il loro mestiere. Si addentrano all’interno dei campi proibiti perché di solito è lì che lo trovano. Il pessimo gusto?  In questo mondo considerato “al contrario” ormai non esiste più. Anzi è la provocazione ad essere diventata la vera anima del commercio. Come quello spot recentemente apparso in TV. Un prete intento a somministrare l’Eucarestia alle “novizie” mentre nelle vicinanze un’anziana suora sgranocchia avidamente delle patatine, non è passato affatto inosservato. E’ una finzione, ma tanto basta per gridare allo scandalo. “Un’altra genuflessione?… non è possibile.  Apriti cielo. Non è la prima volta che questo fenomeno si ripete a danno dell’immagine stessa della religione cattolica. Tra le campagne pubblicitarie censurate, ne possiamo ricordare tante.  Il Cristo “ritratto” muscoloso per pubblicizzare una palestra, e tra queste. Anche l’Ultima cena. L’opera di Leonardo Da Vinci ultimamente è stata utilizzata per pubblicizzare una compagnia assicurativa. L’accostamento fra l’Ostia consacrata e la patatina, in effetti non è per niente accattivante. Per questo ha scatenato un putiferio tale da consigliarne la sospensione. “Scherza con i fanti, ma lascia stare i Santi”, ormai è un detto fuori moda. Affermare che si è arrivati a toccare il fondo, è un eufemismo perfino benevolo. Il guaio è che  “al peggio non c’è fine”.

Articolo del 14.04.2024

CATANIA: IL RESTAURO DEL MONUMENTO A VINCENZO BELLINI

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Dopo il restauro di alcune importanti piazze cittadine, dell’Elefante di pietra, della Porta dei sette canali e dell’Anfiteatro romano(Catania vecchia), adesso è la volta del monumento a Vincenzo Bellini. La riqualificazione dei monumenti cittadini passa sempre attraverso la sensibilità di chi amministra. Lo smog, favorendo la lenta erosione dei manufatti, ne determina il deterioramento. Il rischio è di vederli sempre più anneriti, sempre più ammalorati fino a quando non  finiscono per cadere a pezzi. La pregiata opera di Giulio Monteverde, presentava già i suoi acciacchi. Le note musicali impresse sui gradini, erano ormai invisibili. L’attento melomane Nunzio Barbagallo, riferiva della spada sguainata mancante di Arturo. Questo personaggio principale dei “Puritani” posto come le altre(Norma, Pirati e Sonnambula) nel basamento superiore, è una delle quattro statue rappresentative delle opere principali bellinane. “Anche l’occhio vuole la sua parte”.  Oltre alla salvaguardia fisica dell’opera d’arte, è giusto valorizzarne l’estetica.  Ne va anche del rispetto per il personaggio immortalato. I disagi per i cittadini sono mitigati dalle moderne tecniche che di fatto “Isolano” il cantiere dall’immediato circondario. Molto spesso si trova perfino il modo di fare dell’ironia:  “Meeh!…e chi è scompariu??… Amprisa ca su vinnèru??!! Lo scherzo dei catanesi ha sempre uno sfondo malizioso: è l’effetto della scarsa fiducia che da sempre essi nutrono verso la politica in generale. Una volta completata l’opera, però, la guardano con ammirazione e compiacimento: “Vadda chi ‘a ficiru bedda!…sta spicchiànnu!… Prima stava fitènnu”. Piazza Stesicoro, mentre in epoca passata era il confine nord della città, oggi è l’ombellico del Centro storico. In essa si concentra una parte importante della storia Antica e Medievale  della città. Sede dell’Anfiteatro romano che per ordine di importanza era il terzo dopo il Colosseo e l’Arena di Verona,  ci ricorda soprattutto la storia di Sant’Agata. Proprio in questi luoghi la Patrona di Catania subì il martirio che ne causò  la morte. Quest’area rappresentò il cuore pulsante della città anche ai tempi dell’Impero romano.  Oggi, con i palazzoni di corso Sicilia, è sede del commercio e della finanza. Ma allora, il monumento a Bellini cosa c’entra?…C’entra eccome. Chi lo propose vide lungo. In virtù della fama mondiale che il giovane maestro catanese seppe conquistarsi con la sua straordinaria musica, un monumento dedicato alla sua memoria non poteva essere collocato nel primo spazio utile che capitava. E poi gli arredi dell’odierna piazza Stesicoro, in passato erano sempre stati discutibili. Come esempio possiamo citare la fontana che i catanesi chiamarono della “Iettatura” o “sculpasta”. L’acqua che fuorusciva dalle grosse sfere forate infastidiva i passanti. E’ stata danneggiata prima, e poi smontata pezzo per pezzo.    Rimase un vuoto che doveva essere al più presto colmato. Per fare posto a un monumento dedicato a Bellini, il consiglio comunale aveva in passato deliberato perfino di spostare il “Liotru” dalla piazza duomo. Non se ne fece nulla grazie alla tenace opposizione del popolo catanese. Il clamoroso tentativo però fu fatto. Al “Cigno” sarebbe stato in seguito intitolato tanto altro: dal primo giardino sorto in città, al grande teatro tempio della lirica; dalla Casa-museo al Liceo musicale. In epoca contemporanea, anche l’Aeroporto. Quando il monumento nel 1882 venne issato nel luogo dove adesso si trova, il  quartiere  “San Berillo” era parte importante della città. Stava proprio alle sue spalle. Con la sua struttura urbanistica caratterizzata da uno stretto reticolo di vie e viuzze, somigliava più a una Casbah algerina che a un quartiere catanese. Era uno dei luoghi più entropici e più controversi dell’Isola. L’attività commerciale e artigianale( e non solo) si concentrava lì.  Al posto dei resti dell’Anfiteatro romano che fu portato alla luce solo nel 1904, c’era una enorme spazio dove nei giorni festivi l’alta aristocrazia catanese solitamente passeggiava. Il monumento a Bellini, perciò fu una soluzione che accontentò tutti. Ma non fu così semplice. L’incarico dato allo scultore Giulio Monteverde venne osteggiato. L’artista ci lavorò sodo fino a consegnarlo nei tempi dovuti. In campo entrò pure l’architetto Filadelfo Fichera,  incaricato di seguire i lavori per l’ufficio.tecnico comunale. Prima durante e dopo montarono le polemiche. Coinvolsero enti e giornali; l’opinione pubblica si divise. Si puntò prima il dito sul costo dell’opera(centoquaranta milioni), ritenuto eccessivo. Qualcuno osservò: “Perché il monumento è in marmo e non in bronzo?” “Ma è troppo alto: non potevano farlo più basso così costava di meno e si vedeva meglio in viso?”  Ma perché il maestro è seduto e non è all’impiedi?” Una vera sinfonia. Si tirò dritto e “buonanotte al secchio”.   

Nella foto, il monumento a V. Bellini 

                                                                                             

NOSTALGIA CANAGLIA

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“Nostalgia canaglia”, ma potremmo anche chiamarla con il suo vero nome scientifico: “Sindrome dell’età d’oro”. Consiste nel rimpiangere i propri trascorsi: belli o brutti che siano stati. Nelle sue forme più estreme, potrebbe essere pure definita “malattia dell’animo umano”. Ciò avviene quando il soggetto si convince di essere nato nell’epoca sbagliata. E’ sempre stato così. Dipende dal grado di sensibilità individuale, ma anche dall’ambiente in cui si è cresciuti. Tutto si trasforma, tutto si modifica, non può essere diversamente. Per dirla col filosofo greco Eraclito: “Tutto scorre”.  “Il tempo sta nella nostra mente” diceva invece Sant’Agostino di Ippona, In effetti, al netto delle credenze religiose, quando si muore il tempo dell’individuo sembra cessare. A Catania qualcuno sentenzia: “Quannu moru jù, mori ‘u munnu”. Filosofia spicciola che profuma di saggezza. A differenza di ieri, i tempi oggi tendono ad accorciarsi. Corrono talmente veloci che è impossibile non accorgersene. Guai a chi resta indietro. Le nuove frontiere del progresso impongono un drastico adeguamento che sembra andare contro chi si ostina ancora a rifiutare la pratica delle nuove tecnologie messe in campo nella moderna società. Finita l’era “analogica”, quella “digitale” è già da tempo una realtà. Sin da bambini si comincia ad avere una precisa predisposizione all’uso del digitale. Nell’immaginario collettivo, il futuro dell’uomo sarà governato dalle “macchine”. Intanto per chi ha una certa età il problema è adesso: come si fa a sopravvivere all’incalzante progresso che ti mette di fronte a problematiche sempre più nuove e complesse? I maggiori benefici provengono dalla medicina. Sempre meno “sonde” invasive. Un micro-robot basta. Riducendo al minimo le sofferenze del momento, questo procedimento meccanico oggi è in grado di scrutare l’interno corpo umano in pochissimo tempo. Di contro, sono molti i pericoli che si annidano nelle varie operazioni compiute via web. Un semplice “clic” può cambiare lo “status” di una persona. Non è uno slogan, ma una realtà della quale tenere conto. E’ il caso delle “truffe” on-line che sembrano essere aumentate in maniera esponenziale. “Fatta la legge, si scopre l’inganno”. Attenzione. “Occhiu vivu e manu ‘o cuteddu” si dice dalle nostre parti.  Ma quando si parla di “nostalgia” la mente corre inevitabilmente verso il passato. La realtà di allora era proporzionale alle esigenze della società dell’epoca. Era tutto a “misura d’uomo”. La vera “forza” consisteva nel fare di necessità virtù. Il famoso detto “ ‘U supecchiu è comu ‘u mancanti”, era la naturale regola da seguire. Quando a Catania si andava “‘nta “miccèra”, nella piccola botteguccia di pochi metri quadrati ci trovavi di tutto. Dai ai prodotti alimentari fino ai giocattoli per i bambini. Piccole realtà bastevoli al fabbisogno quotidiano. Il mercato era calmierato nei prezzi, e i prodotti controllati da appositi uffici predisposti dagli Enti comunali e provinciali. L’avvento dei Supermercati prima e dei grandi Centri commerciali dopo, ha finito per ridurre o cancellare del tutto quelle “piccole-grandi” realtà in grado di soddisfare il fabbisogno quotidiano delle famiglie di allora. Resistono ancora i mercati storici di Catania: “‘a fera” e “‘a piscarìa” in primis. La prima ormai è “invasa” dalle botteghe cinesi; la seconda, negli ultimi tempi sta facendo registrare una paurosa “desertificazione” commerciale causata dal sempre più frequente abbandono dei venditori. “Vuoti” sempre più evidenti che affievoliscono progressivamente il tradizionale “colore” che caratterizza i luoghi. “Lascia” chi è in età pensionabile, cambia mestiere chi è ancora “impiegabile”. Pescatori, macellai, fruttivendoli e altri, lamentano un calo nelle vendite a fronte degli eccessivi costi sostenuti: “Cca c’è maccarìa”-sostengono- “non ci niscemu cchiù che’ spisi”. Molti “Vendesi” campeggiano in quasi tutte le vie del Centro storico catanese. Meno nelle periferie dove c’è più densità di popolazione. Quelli che furono storici bar, ristoranti, pizzerie e perfino librerie e cinema, hanno abbassato per sempre le loro saracinesche mettendo la parola “fine” alla duratura esperienza.

Pubblicato su “La Sicilia” del 10.03.2024

                                                                                                          

 

 

 

 

ABITUDINI ALIMENTARI CHE CAMBIANO: ARRUSTI E MANGIA O LA BISTECCA IN 3D?

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Le cucine di una volta, centro fisico e dinamico della vita domestica, corrono il rischio di sparire definitivamente. Forse è questione di tempo. Potrebbero essere soppiantate da nuove tipologie di cibi prodotti in laboratorio, che nulla hanno a che vedere con le abitudini durevoli da una vita. Già ci siamo.

Un cambiamento epocale che rientrerebbe in quel “politicamente corretto” molto caro ai “progressisti”. Anche il classico “arrusti e mangia” all’aria aperta, potrebbe seguire la stessa sorte. Gli ambientalisti più oltranzisti si scagliano contro questa pratica, additandola tra le maggiori cause di inquinamento ambientale. Il “fucularu”, che già una prima “violenza” l’aveva subita allorquando gli sostituirono il nome chiamandolo “barbecue”, potrebbe perciò essere presto rottamato. Tutta una letteratura “culinaria”si sta sviluppando in cucina, con tanto di ricette e trattati gastronomici nuovi da fare impallidire chi della forchetta ne aveva già fatto un’arte. Da diversi anni, molte ditte in Europa e nel mondo si attrezzano per diversificare l’alimentazione, introducendo prodotti sintetici di laboratorio e non solo. “Ormai”-come si dice dalle nostre parti- “ si rapìu ‘u tagghiu”. Sul tavolo, la disputa tra chi è favorevole e chi contro le nuove tendenze è più che mai accesa. “ ‘A custioni addivintau chiù spinusa de’ cacuocciuliddi ‘da fera” commenta un telespettatore mentre assiste in diretta tv a una zuffa verbale tra due agguerriti cuochi di segno opposto. Difficile mettere tutti d’accordo: ci sarà sempre chi non sostituirà mai una succosa bistecca mezza cotta e mezza cruda con un pezzo di carne stampato in 3D secondo la tecnica della coltura o replicazione cellulare partorita in un freddo laboratorio industriale. Qui il tema si fa molto serio, perché non intacca solo il palato degli avventori, ma le tasche di chi ha sempre operato nel settore alimentare abituale. Più che assecondare il verde, si rischia di rimanere…al verde. Per seguire il nuovo corso, si mettono “all’ingrasso” non più vitelli, maiali, conigli, cavalli e quant’altro, ma vermi e coleotteri di vario genere. In futuro, anche il latte, le uova e il miele potrebbero essere prodotti “in vitro”. “A cascata” anche tanto altro. A Catania circola la battuta: “Vadda ca ppi mangiari ‘ni finisci a cogghiri bratti ppe strati!!!” La farina di grillo, ad esempio, in Italia è già una realtà. Anche se debitamente regolamentata, viene utilizzata come elemento base al posto di quella tradizionale. Dicono che sia nutriente e ricca di vitamine. Per chi i grilli li vorrebbe saltati in padella, sono croccanti prelibatezze. Poveri animaletti: dalla foglia alla padella, è stato tutto un attimo. Chi lo doveva dire!? Il danno maggiore lo subirebbero i piccoli allevatori e gli agricoltori. Loro neanche lontanamente potrebbero tenere il passo nei confronti delle grandi multinazionali del settore che nel frattempo si sono ben organizzate. “Come cambiano le mode, così cambiano anche i gusti alimentari”, questo sembra volere dire la Commissione Europea che ha avviato diversi progetti con l’obiettivo di aiutare i produttori di carni coltivate in laboratorio a introdurre sul mercato prodotti alternativi nelle mense degli Stati membri. Ma i motivi sono anche altri: vanno dalla presunta riduzione delle conseguenze negative delle carni convenzionali, all’inquinamento prodotto dalle aziende agricole aduse all’utilizzo di potenti pesticidi. In Italia la questione sembra “indigesta”. Il ministro all’agricoltura dell’attuale governo, con apposito decreto ha stabilito il divieto di produrre cibi che possano essere riconducibili al sintetico. Le pene per i trasgressori sono severe. Oltre alla chiusura dello stabilimento e alle sanzioni pecuniarie, si rischiano altri provvedimenti come: la confisca del prodotto illecito e il divieto di accesso a possibili contributi e finanziamenti da parte dello Stato. L’Europa a sua volta potrebbe avviare nei confronti dell’Italia un provvedimento di “infrazione” con tanto di conto salato a danno delle casse statali italiane. In tal caso l’iniziativa avrebbe tutto il sapore della forzatura. Tradotto in dialetto catanese purissimo, sarebbe come dire: “ ‘O ti mangi sta minestra, ‘o ti jetti ‘da finestra”. Speriamo di no. Andando a ritroso nel tempo, troviamo già i primi tentativi di variare i menù con ingredienti sintetici. E’ del 1971 l’annuncio da parte di una nota catena alimentare londinese, della imminente costruzione di uno stabilimento su scala mondiale per la fabbricazione delle proteine sintetiche. Il costo si sarebbe aggirato intorno a 30 milioni di sterline. Una notizia molto ghiotta cui i giornali però non dedicarono molto spazio. I titoli di occhiello suonarono come una premonizione: “L’avvenire ci riserva la carne sintetica”.

 

Pubblicato su "La Sicilia" del 24.02.2024

 

L’OTTAVA DI SANT’AGATA

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La processione finale in piazza Duomo, alla presenza dei devoti e delle autorità civili ed ecclesiastiche della città, chiuderà domani le celebrazioni agatine di quest’anno. Per incontrare nuovamente la Santa Patrona, se ne riparlerà il prossimo 17 agosto in occasione dell’898.mo anniversario del ritorno delle Reliquie da Costantinopoli a Catania. L’Ottava di Sant’Agata di solito è un momento intimo, dove i devoti danno il saluto finale con una profonda preghiera rivolta alla Vergine e Martire prima che il busto reliquiario rientrato in Cattedrale varchi la porta della cammaredda. “Nel ‘600”- ricorda lo storico militellese Pietro Carrera(1573-1647) nel suo libro più famoso “Memorie Historiche della città di Catania”- a partire dal 7 di febbraio e fino al 12, una reliquia giornalmente veniva esposta alla venerazione dei fedeli”. Usanza, questa, che ai nostri giorni non avviene più. Intanto è tempo di bilanci. La Terza festa in ordine di spettacolarità e presenze non ha deluso le aspettative. Anzi. Migliaia di persone, tra semplici cittadini, devoti e turisti, approfittando delle ottime condizioni meteo e dal weekend, hanno potuto godere pienamente delle fasi più salienti della festa. Che ogni edizione non sia mai uguale alle precedenti, è un fatto storico assodato. Potrebbe essere questo uno dei fattori che la rende famosa nel mondo. Tuttavia le iniziative si sono sempre mantenute nel solco della tradizione. La presenza attenta e costante all’interno dei cordoni dell’arcivescovo Mons.Luigi Renna, non ha precedenti. Con autorevolezza ha contribuito a mantenere ordine e compostezza alla processione. L’offerta della cera quest’anno ha superato nettamente quella delle edizioni passate, segno evidente di una devozione che tende ad aumentare col passare degli anni. Ben 18 scarichi di cera in più effettuate, un record. Alcune tradizioni appartenenti al passato sono state oggetto di curiosità, fra queste: il canto delle suore in via Crociferi. Fino a un ventennio fa si svolgeva nelle prime ore del mattino del 5 febbraio, quasi al rientro.  Si trattava di una “tappa” molto suggestiva di tutta la festa. “Il canto delle Clarisse”, dal momento in cui oggi avviene in pieno giorno, ha perso tutto il proprio “fascino”. Qualcuno si è chiesto il motivo per il quale continua a chiamarsi “Canto delle Clarisse” anzichè “Canto delle Benedettine” come oggi sarebbe corretto fare.” Il motivo pare sia legato agli itinerari degli antichi giri. Nel 1846 il percorso toccava 6 monasteri femminili di clausura (5 benedettine e uno di clarisse), rispondendo così al desiderio delle monache di poter “vedere Sant’Agata” dalle grate panciute del proprio monastero. Passando davanti al monastero delle clarisse di Santa Chiara nelle primissime ore della mattinata, le suore esprimevano il loro canto in lode alla Santa Martire. Non è più un tabù, invece, la “Cammaredda” luogo dove durante l’anno vengono custoditi Busto Reliquiario e Scrigno. Fino ai primi anni ’90 dello scorso secolo non era permesso neanche ai devoti visitarla. ‘A cammaredda fu ricavata in uno dei due vani aperti attraverso il poderoso muro dell’abside centrale. Dalle dimensioni piuttosto ridotte, sulla parete destra, attorno al loculo dove sono collocate le preziose reliquie chiuse da due ante coperte con lamine d’argento, si trovano ornati e pitture di ottima fattura. La stanzetta  è coperta da una volta a botte. La pittura più antica è la rappresentazione frontale della “Pietà” risalente al 1400. Gli affreschi delle pareti laterali raffigurano rispettivamente:  Lucia e la madre Eutichia in  preghiera davanti al sepolcro di Agata; I due militi Goselmo e Gisliberto autori del “lodevole furto” del corpo della martire “esule” a Costantinopoli;  Scene del rientro a Catania delle sacre Reliquie e l’esultanza del popolo catanese che le accoglie. 

 

Nella foto, ”Sant’Agata e il miracolo della lava”, Ceramica su pietra lavica  di Francesca Privitera(Coll.S.Privitera)

Pubblicato su “La Sicilia” dell’ 11.02.2024

                                                                                    

 

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