Letteratura

TEATRO SIPARIO BLU

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Domenica 21 aprile alle ore 17.30 e 21.00 al teatro nuovo “Sipario Blu”, per la regia di Sergio Campisi,  l’associazione teatrale “Proscenio” è andata in scena in prima assoluta lo spettacolo teatrale “Bianco.”  Non una semplice commedia, ma un brillante quanto intrigante viaggio nel mondo dell’arte attraverso un percorso teatrale vario e articolato. Una vera “manna” per gli appassionati del teatro moderno e contemporaneo. Liberamente ispirato all’opera “Art” della commediografa parigina Jasmine Reza, “Bianco”  pone al centro diverse forme artistiche: dalla pittura alla fotografia, dalla grafica alla danza.  La trama è coinvolgente, ricca di sfaccettature; invita a riflettere sul valore dell’amicizia e sulla complessità delle relazioni  umane in uno “spazio” che ha nell’arte il suo punto di arrivo e partenza. “Può un motivo futile come una tela bianca( acquistata a prezzo esorbitante) mettere in crisi l’amicizia di una vita? Al centro della scena, un enigma silenzioso: un quadro dell’artista Martin. Attorno a questa tela a prima vista vuota di forme e di colore bianco, tre amici si trovano ad affrontare vecchie ferite e conflitti mai risolti. Non solo. Allo stesso tempo, ciascuno di loro è costretto a fare i conti con le proprie problematiche e frustrazioni quotidiane. Un sottile gioco introspettivo che farà emergere  paure, rancori, gelosie fino al parossismo. Si giungerà a un finale rocambolesco  ed imprevedibile, dove è lecito aspettarsi di tutto. Riusciranno i protagonisti ad abbattere  gli invisibili muri che li separano? Tutti gli attori, soprattutto i tre giovani protagonisti, hanno offerto una prova maiuscola. Non era affatto facile districarsi tra le maglie del complicatissimo confronto scatenato da una tela che solo apparentemente si presentava priva di contenuti. I dialoghi fitti e incalzanti, accompagnati da eloquente gestualità, a parte le pause di riflessione, sono stati condotti sull’orlo di una crisi di nervi. Non è mancata l’ironia. Poi la soluzione finale, affatto scontata: semplice ma geniale. La scenografia è stata curata dal collettivo “Pappapane” con il patrocinio dell’Accademia delle Belle arti di Catania. Protagonisti, gli attori: Amedeo Amoroso, Salvatore Gabriel Intorre, Antony Foti. Danze a cura di Ismaele Buonvenga. Musiche originali di Elisa Rasà. Assistente di cena Serena Giuffrida. Direttore di produzione Manuel Giunta. Con la partecipazione straordinaria di Liliana Biglio e, nel duplice ruolo di attrice e assistente alla regia, quella di Margherita Malerba.

Catania 19.04.’24

                                                                                                                                              

FOLKLORE CATANESE: “I FIGLI DELL’ETNA”

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Nell’ambito della rassegna di musiche e canti Folklorici ed etnici che si è svolta in questi giorni a Vigiano in provincia di Potenza, un importante riconoscimento è stato assegnato al Gruppo Folklorico catanese “I Figli dell’Etna”. La compagine catanese che fu diretta per lunghissimo tempo dalla compianta maestra Rita Corona, figlia di Gaetano Emanuel Calì indimenticabile autore della celebre mattinata “E Vui Durmiti ancora”, è stata molto apprezzata per la professionalità musico-scenografica messa in mostra. La rassegna Nazionale dal titolo “Riconoscimento Padri e madri del Folklore” organizzata dalla Federazione Italiana Tradizioni Popolari(F.I.T.P.)  ha registrato la partecipazione di un nutrito numero di gruppi provenienti dalle varie regioni d’Italia. Due le categorie partecipanti: la prima riservata ai gruppi etnici di nuovi canti popolari, la seconda invece dedicata ai gruppi folklorici tradizionali. Dei nove gruppi che si sono esibiti in quest’ultima sezione, “I figli dell’Etna” sono stati i più votati. Con l’occasione hanno proposto la versione integrale dell’antico canto popolare “‘L’amaro caso della Baronessa di Carini” tratto dalla colonna sonora dello sceneggiato televisivo andato in onda alla Rai nel 1975. “Una esibizione”-spiega il rappresentante del gruppo e presidente regionale F.I.T.P. Vincenzo Amaro-“che ha proposto alcune innovative variazioni coreografiche e scenografiche, a mio avviso determinanti ai fini del conseguimento del prestigioso riconoscimento.”  “I Figli dell’Etna” vantano un curriculum di tutto rispetto. Rappresenta il naturale proseguimento dei “Canterini etnei”, gruppo  fondato da Gaetano Emanuel Calì nel 1929. Non a caso, a garanzia del naturale ricambio generazionale, molti dei 50 componenti sono giovani. Nel corso della sua lunga attività, la compagine ha girato il mondo portando ovunque il vessillo della sicilianità. Rita Corona lasciò la direzione solo pochi anni prima della sua scomparsa avvenuta nel 2012 a quasi cento anni di età.  

                                                                                                                                                              

Nella Foto, il gruppo “I Figli dell’Etna”

CATANIA: "L'AVVULU ROSSU E I LUOGHI DEL CUORE"

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“Catania è ‘mpaisazzu”; questa espressione si utilizza quando ci si incontra dopo essere stati lontani per lungo tempo. La città non è poi così grande; chi la frequenta e la vive assiduamente, finisce per affezionarsi ai suoi simboli. “Maistusu na lu to’ zoccu/ t’allanzi na l’aria/ cu li to’ nfuti rami(…) scriveva dell’ “Arvulu rossu” il poeta dialettale Gaetano Benessere. L’arvulu rossu, è l’antico platano che ha oltre 150 anni di vita.  Ancora è vivo e vegeto malgrado le sue vistose ferite. Di fronte alla sua storia, bisognerebbe inchinarsi con tanta riverenza. Una vero simbolo, un punto di riferimento importante. Al tempo in cui ci si sfidava a duello, quando uno dei contendenti pronunciava la frase: “Dda am’à essiri…”, l’altro sapeva già dove recarsi. A Catania, i luoghi del “cuore” sono tanti: a partire da piazza Duomo alla quale i cittadini sono particolarmente affezionati. C’è la Cattedrale, la pescheria, e nei dintorni quella Villa Pacini che i cittadini catanesi, dopo avergli preferito per tanto tempo la più vasta e completa Villa Bellini, proprio in questi ultimi anni stanno finalmente riscoprendo. Merito del mercatino delle pulci che vi si svolge la domenica mattina, dell’ Amenano che scorre a pelo libero protetto da una semplice ringhiera, ma anche per il parco giochi per bambini recentemente realizzato all’interno. Le famiglie ci vanno e nel frattempo meditano su come doveva essere quella zona prima che il progresso la rendesse così caotica. Forse guardano con più attenzione il busto marmoreo del Borbone dalla testa mozzata e  il monumento a Giovanni Pacini.  Agli inizi del ‘900 la Villetta Pacini era un luogo quasi incontaminato. Quel ponticello che attraversava da parte a parte il fiume, doveva essere un’attrazione di grande effetto. La marineria era lì a due passi: bastava varcare il muretto per bagnarsi già i piedi. Nel frattempo le paranze attraccavano sotto gli archi.  “A Villa varagghi”, così come è sempre stata conosciuta da tutti i catanesi,  mantiene sempre la sua caratteristica di luogo altamente suggestivo. Possiamo considerarla anzi il vero “ombelico” della città. Da sotto quegli archi, la storia è scivolata via come l’acqua. La storia moderna; quella che dal 1866 va ai nostri giorni.  Oggi non sembra essere luogo di “parcheggio” per gli anziani come fino a qualche tempo fa era stato; loro non sonnecchiano più: anzi si accalorano mentre giocano a carte. “A c’am’ à fari”-sostiene uno di loro senza distogliere lo sguardo dalla giocata-“ ca ni passamu ‘u tempu accussì”. Di luoghi simbolo in città ve ne sono tanti;  ciascuno rappresenta un punto di riferimento della propria vita cittadina. La toponomastica “recente” di per sé indica “freddamente” strade e piazze, ma sarebbe importante soprattutto per i giovani riscoprire le antiche denominazioni. Ve ne sono tantissime e molte di loro sono abbastanza curiose. Nel Centro storico, addirittura abbondano.  Queste denominazioni non sono state date a caso, ma per motivi ben precisi. Fanno parte a pieno titolo della storia della nostra città, perché si riferiscono ad accadimenti, abitudini e a vecchi toponimi ormai in disuso. Impossibile citarli tutti. I più anziani sanno certamente dove si trova “ ‘u chianu ‘i l’ovvi”, in piazza Sciuti, cioè. Anticamente vi abitavano i “nonareddi”, i vecchi musicisti in gran parte ciechi. Durante il periodo natalizio suonavano le novene davanti agli altarini della Sacra Famiglia. Si apre in una delle traverse di via Pacini, a ridosso di piazza Carlo Alberto, meglio conosciuta come “ ‘a Fera ‘o luni”, oppure  ‘o “Carmunu”( per la presenza dell’antico Santuario Carmelitano). Se poi ci spostiamo in zona “Civita”, tra i tanti toponimi in disuso ci troviamo “ ‘A vanedda ‘i cacati”(Via Zuccarelli). Così conosciuta perché i senza fissa dimora(oggi clochard) vi andavano a fare i propri “bisogni” all’aperto. O forse, come qualcuno sostiene, deve il toponimo a una famiglia cui venne attribuito proprio questo triste nomignolo. “ ‘O peri Aliu” è invece chiamata la piazza simbolo del quartiere. Ma anche San Berillo ha le sue zone “rappresentative”. Tra queste, ‘U chianu ‘i Nicusia. Piazza Nicosia è stata cancellata dallo sventramento cui il quartiere venne sottoposto alla fine degli anni ’50 dello scorso secolo. Una schiera di antichi palazzotti divideva le attuali vie Maddem e Di Prima. Era lì che si trovava. A Ridosso ‘da “Potta Jaci”, a “Catania Vecchia”(piazza Stesicoro), invece ci troviamo l’antico  “Vico delle fosse”, oggi  via Sant’Euplio. In epoca antica in questa zona iniziava il “cimitero fuori le mura”, luogo di sepoltura di  Sant’Euplio e di Sant’Agata. Col tempo è diventata una importantissima arteria; un vero contenitore d’Arte urbanistica, oggi importante centro finanziario.

 

Pubblicato su La Sicilia del 10.09.2023

Nella foto, il Platano secolare di Catania( L'avvulu rossu)

                                                                                                                 

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