NATALE E' ARRIVATO(FINALMENTE!)
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- Category: Moda Costume e Società
- Written by Santo Privitera
Sono arrivate le feste di Natale. Finalmente. Non se ne poteva più. Troppo stress, troppa tensione nel mondo. “Sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno”cantava Lucio Dalla; magari fosse stato così! Il Covid, la guerra, il caro energia, i prezzi alle stelle e diritti umani violati?…almeno per questo mese è meglio non pensarci. “ All’annu novu si nni parra!” Come dire: “Anno nuovo vita nuova”. La speranza, come sempre è affidata “ ‘O Bammineddu c’ha nasciri”. Nel frattempo, la giostra degli auguri continua. …”Auguri a lei e famiglia”…”Ricambio con affetto”….” …”Buon anno e Felice anno nuovo” sono le “formule augurali” più comuni. Resistono nel tempo. Quando si scrivevano i bigliettini a mano, costava un po’ di fatica spedirli; oggi con un “clic” ti sei tolto il pensiero. Si continua a sperare che l’anno entrante possa risultare migliore di quello precedente. Ciascuno ha in cuor suo un desiderio; ma non è detto che debba essere solo quello(legittimo) di diventare milionari. A Natale siamo tutti più buoni, almeno “sulla carta”. Con i tempi che corrono, affrontare spese di regali o concedersi qualche viaggio, diventa un’impresa “rischiosa”. Per chi possiede un lavoro, lo stipendio e la tredicesima potrebbero non bastare visto che rimangono ancora le ultime tasse da pagare entro l’anno. Tuttavia, se qualche soldino messo da parte c’è, perché non approfittarne? A dispetto della parola “consumismo”: “Ogni lassata è pidduta!“…Si campa una sola volta nella vita. Già dal mese di novembre è partita la corsa alle luminarie. Strade e negozi abbondano di luci psichedeliche. Per una volta, un energico “calcio” alla bolletta della luce va dato. Catania quest’anno è tra le prime della classe. Via Etnea è pervasa da una cascata di luci colorate. Al centro della piazza Università, campeggia un “abete” di notevoli dimensioni. È una scintillante sagoma natalizia. La gioia delle feste, tra la gente è palpabile; meno male che Dicembre c’è. “ ‘U sei Nicola, ‘l’ottu Cuncetta, ‘o tririci Lucia, ‘o vintiquattru lu veru Misia”; si comincia con questa famosa filastrocca. Indica i giorni in cui si festeggiano i Santi citati nel calendario. Secondo la tradizione, Dicembre è il mese più bello dell’anno; è il mese in cui riemergono le antiche tradizioni. Molte di queste, purtroppo, almeno nelle grandi città sono andate perdute. Resistono nei paesini dell’entroterra siciliano dove ancora il popolo è custode assoluto di usi e costumi che si tramandano gelosamente da padre in figlio. Da qualche tempo, nelle scuole, nei teatri o attraverso iniziative culturali “mirate”, si tenta il recupero. Questo, grazie al certosino lavoro dei docenti di buona volontà. Difficile un ritorno al “calore” del focolare domestico. Messa in soffitta la “Conca” dei nostri progenitori, il caminetto resta oggi l’unica risorsa in grado di suscitare qualche suggestiva reminiscenza. Ma il caratteristico ceppo scoppiettante, meglio conosciuto “zuccu”, retaggio di antiche abitudini “fossili”, non è più tollerato dagli ambientalisti. Nelle famiglie, nelle comunità, l’allestimento dell’albero di Natale resta di gran lunga il momento più sentito. Tornano le “novene” cantate davanti alle “Cone”(vecchi altarini appositamente addobbati con sparacogna, cotone idrofilo e frutti di stagione). Ma solo sui palcoscenici. Qualcuno va in piazza per fare spettacolo. Musicisti e poeti, davanti a una platea più divertita che interessata, ripropongono preghiere e a nenie. Molte di queste, sono tratte dalle famose raccolte Frontini, Favara, Vigo e Salomone. Tra gli anni ’60-70 dello scorso secolo, furono incise e fatte conoscere al grande pubblico dalla famosa cantautrice licatese Rosa Balistreri. Poche, ormai, le ciaramelle in giro per le strade. Un capitolo a parte meritano i Presepi. Il loro allestimento non è certo in via di estinzione. Anzi è diventato un “culto” che di anno va rafforzandosi sempre di più. Nelle famiglie cattoliche soprattutto, il presepe non può mancare. La scena presepiale, piccola o grande che sia, è vera e propria “architettura sacra”. In giro per la Sicilia, è possibile visitare i presepi allestiti nelle chiese e nelle piazze. Molto ricco e “animato” quello di San Nicolò l’Arena, ai Benedettini di Catania, opera dell’artigiano Elio Ambra. Tra i presepi cosiddetti “viventi” merita una particolare attenzione quello messo in scena a Trappeto(San Giovanni la punta). Una vera attrazione. Da trent’anni viene allestito e curato con amorevole dedizione dai parrocchiani della chiesa di San Rocco. In particolare da Fabio Cambria che ne coordina i lavori. Si svolge nell’ appezzamento di terreno attiguo alla chiesetta posta al centro della piazza. La scenografia orientaleggiante è da “Mille è una notte”. La rappresentazione è rigorosamente dal vivo. Musiche, rumori ambientali e odori, immergono lo spettatore nell’atmosfera perfetta della Santa Notte di Betlemme.
Pubblicato su La Sicilia del 18.12.2022
MEMORIE BELLICHE CATANESI
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- Category: Storia e tradizioni popolari
- Written by Santo Privitera
“Ogni annu ci nnè una”. È vero: “ ‘n’annu non è comu a n’autru annu”. Al peggio, non sembra mai esserci fine. “Il più bello dei mari è quello che non navigammo”, scriveva in un suo famoso componimento il poeta Nazim Hikmet. Si aspetta la bonaccia, per farlo; Prima o poi dovrà arrivare. L’anno scorso eravamo ancora alle prese con i vaccini e il covid; in un modo o nell’altro si parlava di …speranza. Oggi la guerra in Ucraina non mostra un solo spiraglio di pace. A Natale si dovrebbe essere tutti più buoni; “Palora ca si dici”, diremmo nel nostro dialetto per semplificare: purtroppo resta la solita “frase fatta”. Il conflitto alle porte dell’Europa pesa come un macigno, anche perché alle grandi sofferenze di un popolo si aggiunge il timore per l’eventuale coinvolgimento di altre Nazioni. La “spada di Damocle” della guerra nucleare è sempre presente, ma è pure un valido deterrente. Meno male. Accadde così agli inizi degli anni ’60 dello scorso secolo. La paventata istallazione di missili a Cuba da parte dell’Unione Sovietica, innescò una profonda crisi tra USA e URSS. Le armi erano ancora “fumanti” visto che il secondo conflitto mondiale era terminato da appena 15 anni. Si era in piena “guerra fredda” e tutto poteva accadere. A Catania, la guerra è ricordata con orrore dai sopravvissuti. Ancora oggi, dalle parti di via Garibaldi e della marina, qualche antico edificio reca inequivocabili segni degli eventi bellici che colpirono la città tra il 1941 e 1943. Oltre alla popolazione, a subire i danni maggiori fu il tessuto urbano della città . Nel dopoguerra i cambiamenti si resero necessari. Furono profondi ma non stravolgenti. Durante la ricostruzione, si effettuò la conta di cosa salvare e no del patrimonio culturale e materiale della città. I parametri si basarono sulle convenienze economiche prima ancora di quelle affettive. In alcune parti della città, dove le bombe sganciate dalle fortezze volanti anglo-americane avevano colpito duramente, non si ricostruì più. Sulle macerie nacquero strade e piazze. Alcune chiese molto danneggiate, vennero abbattute. Tra queste, la chiesa di San Giovanni. Si trovava in via Garibaldi “alta”, quasi addossata al vecchio teatro Eliseo. Nelle vicinanze vi è pure la lapide che ricorda la casa Natale del popolare attore Angelo Musco. Nella cripta di questa chiesa, si trovavano sepolte le spoglie mortali del grande poeta illuminista Domenico Tempio. A seguito della devastazione, vennero rimosse insieme a tutte le altre e tumulate negli ossari comuni del cimitero monumentale catanese. Non solo case, chiese e monumenti, ma anche gli altarini “raccontano” la storia bellica etnea. La nostra città, a testimonianza della profonda devozione dei suoi abitanti, di queste edicole votive o “tempietti in miniatura”, ne possiede una enorme quantità. Sono sparse per tutto il Centro storico e oltre. Senza parlare di quelle esistenti nei quartieri periferici. Spesso la loro presenza ha contribuito alla denominazione toponomastica di un luogo o di una contrada. Innalzate come ex voto per una grazia ricevuta, sono dedicate ai Santi, alla Sacra Famiglia e alle immagini sacre in generale. Molte di queste, anche alla Santa Patrona Vergine e Martire Agata. Sono quasi tutte di grande pregio. Altre sono artigianali ma non per questo privi di valore. Sarebbe stato un peccato perderli. Chi attraversa Porta Uzeda, nota subito la teca contenente il dipinto del Cristo Flagellato. Gli antichi catanesi lo conoscono come “Ecce Homo”. Reca sulla fronte uno squarcio. L’opera pittorica, durante i bombardamenti del 1941 si salvò miracolosamente. Non venne mai restaurata perché, come recita la lapide posta di fianco, “Sia sempre monito di pace”. Una icona molto venerata è quella che si trova nella cosiddetta “calatedda” che immette sulla via Dusmet. Il dipinto riproducente la Vergine Maria è anch’esso tuttora danneggiato. Siamo nel cuore della Civita. “Madre Santissima”-recita la scritta posta alla base dell’altarino-“La tua immagine rovinata dall’infausta guerra, ci induca a pregare di più per la pace”. Restando sul tema: come non citare il glorioso teatro Coppola( già comunale)? Della sua triste storia e dei suoi gloriosi trascorsi, ormai si conosce tutto. Di farlo ritornare agli antichi splendori, però , non se ne parla. Venne abbattuto durante un cannoneggiamento dal mare. A “ bumma ‘i mari” com’era chiamato il proiettile scagliato da una nave da guerra, si impennò andando a colpire in pieno l’antico complesso architettonico nato settant’anni prima del “Bellini”. Di questo teatro, anch’esso ubicato alla Civita, è rimasto poco. Solo il sito che volenterosi giovani da anni cercano di valorizzare attraverso ammirevoli iniziative culturali.
Pubblicato su La Sicilia dell'11.12.2022
Nella foto, estate del 1943, l'ingresso dei carri armati alleati al Duomo di Catania
FALSARI STORICI CATANESI
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- Category: Moda Costume e Società
- Written by Santo Privitera
“Cu si vardau ‘si savvau”, questo proverbio la dice lunga su ciò che vuol dire “prevenzione”. Oggi come allora, è necessario evitare di esporsi alle truffe o ai raggiri che taluni malintenzionati sono pronti a fare. Nell’era dei social, ancora di più. L’inganno è sempre in agguato. “Occhiu vivu e ‘a manu ‘o cuteddu” dicevano i nostri Avi; e come sempre ci azzeccavano. Le false notizie le chiamano “bufale” perché nell’immaginario collettivo la vittima si farebbe trascinare come un bufalo per l’anello al naso. Ma questo termine però avrebbe anche altre derivazioni. Riguarderebbe l’abitudine che taluni macellai poco onesti hanno di spacciare per carne vaccina quella di bufala. In ogni caso, “Falla comu la voi, sempri è cucuzza”; ovvero: gira e rigira il risultato è sempre lo stesso. La disonestà, purtroppo, è una componente umana. Essa dipende da molti fattori. In alcuni è addirittura innata. Il peccato originale, nasce proprio da una “solenne falsità” perpetrata ai danni di una “povera” coppia ignara. Vivendo nella beatitudine, Adamo ed Eva sconoscevano il lato oscuro del male. Qualcuno ne ha approfittato. Ma per chi non crede ai testi sacri, potrebbe essere anche questo un “falso storico”, perché no!? Un mistero tra i tanti. Bisogna avere Fede. Dalla scienza alla letteratura, dalla filosofia alla religione, i falsari hanno fatto…la storia. Quasi sempre con una abilità che ha dell’incredibile. L’intraprendente frate Giuseppe Vella, Cappellano del monastero benedettino monrealese di San Martino delle scale, la combinò grossa. Approfittando della scarsa conoscenza della lingua araba che vi era quel tempo, dette vita a un solenne raggiro che dal 1782 al 1795 tenne sotto scacco: storici, ambasciatori, docenti e nobili compresi. La truffa, meglio nota come “L’araldica impostura”, causò forti ripercussioni politiche nell’Isola. Vella era un bibliomane che spacciandosi per conoscitore della lingua araba, un bel giorno modificò i caratteri di alcuni antichi codici. Smonta e rimonta, ne inventò uno lui. Per meglio riuscire nell’impresa, userà perfino una nuova lingua “sconosciuta” che chiamerà Mauro-Sicula. La nuova Storia dei musulmani in Sicilia che realizzerà, sarà fasulla. La sua pseudo-traduzione, ebbe come unico effetto quello di delegittimare i tentativi di riforma compiuti dai vicerè contro i privilegi dei feudatari siciliani fondati prevalentemente su diritti patrimoniali nati da palesi usurpazioni. Spiega che non erano stati i Normanni a fondare la storia moderna di Sicilia, ma gli Arabi. Nel frattempo venne promosso abate. Dalla “scoperta”, a scapito dei più sprovveduti, ricavò enormi benefici sul piano professionale. Per lui venne addirittura creata a Palermo una cattedra di Arabo all’Università. Il “nuovo” codice, venne tradotto in tedesco. La sua “attività” continuò con la “traduzione” di un nuovo testo: “Consiglio d’Egitto”, sugli scambi epistolari tra la corona e i sultani d’Egitto. Quando cominciarono ad addensarsi su di lui i primi sospetti, tentò una serie di sotterfugi che però non bastarono ad evitargli la pubblica “gogna” e 15 anni di galera. Il poeta coevo Giovanni Meli scriverà: “Sta minzogna saracina/ cu sta giubba mala misa/trova cui pri concubina/l’accarizza, adorna e spisa./ E cridennula di sangu,/ comu vanta anticu e puru,/d’introdurla in ogni rangu/ si fa pregiu non oscuru”. In fatto di “burle” Catania non è seconda a nessuno. Ne potremmo citare a centinaia. Lo scrittore giornalista e fine umorista Massimo Simili, nel suo “Capitano catanese” pubblicato nel 1966, nel citare un caso realmente accaduto, parla di abili “intrallazzi” catanesi che “per genialità sono accostabili solo al grande Leonardo Da Vinci”. Come non ricordare la figura del falsario Paolo Ciulla? Un mito. Grazie a lui, oltre ai soprannomi risaputi: “peri arsi” e “giammerghi di sita”, i catanesi si guadagnarono pure quello di “soddi fàusi”. Paolo Ciulla era un tipografo abilissimo. Nato a Caltagirone nel 1867, sin da ragazzo mostrerà attitudine al disegno. Trasferitosi a Catania, trovò enormi difficoltà di inserimento. La sua vita privata non fu affatto adamantina. Venne più volte accusato di pedofilia. Tentò la fortuna a Parigi, frequentò circoli d’arte nel Sud America prima di fare ritorno a Catania. Approfittando della sua abilità professionale, cominciò a “fabbricare” soldi. Prima biglietti da 50, poi da 500 lire. Una storia che durò più del dovuto. Si disse che dalla sua illecita attività, molte persone si sarebbero arricchite. Solo per un caso fortuito la “zecca” venne scoperta. Ciulla fu tratto in arresto. Quando tre periti della Banca d’Italia richiesti dal tribunale di Catania misero a confronto i due biglietti da 500 lire, ebbero prima qualche esitazione. Erano così uguali che scambiarono la banconota falsa per quella vera. Condannato a 5 anni di carcere e 5000 lire di multa, Ciulla ne uscirà malconcio. Ricoverato in un’ospizio dei poveri a Caltagirone, morirà quasi cieco l’anno dopo. Aveva 61 anni.
Nella foto, il profilo del falsario Paolo Ciulla
Pubblicato su La Sicilia del 4.12.2022