I MISFATTI ALLA "VILLA BELLINI" DI CATANIA
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- Category: Moda Costume e Società
- Written by Santo Privitera
Villa Bellini per i catanesi continua a essere luogo buono per tutte le stagioni. Un luogo senza tempo per i più romantici; un vero salotto cittadino per tutti tranne che per i Vandali. Quelli purtroppo non sono mai mancati nel tempo. Ci sono sempre stati per compiere danni sempre e comunque. Un vera malattia, la loro, malattia dell’inciviltà. Dicono che gli atti vandalici siano il “termometro” dello stato di sopportazione di un popolo, ma non sappiamo quanto di vero ci sia in questa affermazione. In ogni caso, mai niente potrà giustificarli. Fatto sta che a farne le spese sono stati animali, statue, infrastrutture e tanto altro. Recentemente, ad essere imbrattata di vernice rossa è stata la statua della Madonna. Non parliamo delle sculture e mezzibusti degli uomini illustri situati nell’omonimo viale. Tutte pregiate opere realizzate nel tempo da famosi artisti: Da Giovanni Duprè ad Antonio Calì; da Francesco Licata a Salvo Giordano fino a Carmelo Mendola, tanto per citarne alcuni. Furti e danneggiamenti si sono verificati con una frequenza allarmante. A questo aggiungiamo l’incuria amministrativa, dovuta a scelte sbagliate e spesso inopportune. Al danno economico e materiale si è aggiunto quello estetico; perciò è stato necessario ricorrere a frequenti restauri sempre più costosi. Questi, però, non sempre graditi da parte dei cittadini. Le polemiche non hanno mai risparmiato le vicende dei monumenti più insigni della città. Villa Bellini compresa. Brucia ancora la triste storia della palazzina cinese, unico esempio di architettura Liberty lignea della città. Data misteriosamente alle fiamme nel 2001, da allora non è mai stata più ricostruita. Posta sulla collina Nord, detta del Salvatore, la sua “ricamata” sagoma lignea si confondeva con i rigogliosi alberi che l’attorniavano. All’origine era stata adibita a caffè concerto. Tra gli anni ’50 e ’70 del trascorso secolo, prima di cadere definitivamente in disgrazia, era diventata invece una rinomata Biblioteca comunale. La storia della villa inizia nel 1853, anno in cui gli amministratori borbonici trattarono l’acquisto del “Laberinto”, il giardino privato appartenente alla famiglia Biscari. Era stato uno spazio di verde creato per le proprie esigenze dal principe mecenate Ignazio Paternò Castello V Principe di Biscari. Un vero e proprio regalo che a quell’epoca si volle fare alla città priva com’era di un vasto Giardino attrezzato. Tra diatribe tecniche e grovigli burocratici di varia natura, passarono ben trent’anni prima del completamento. Nel gennaio del 1883 la solenne inaugurazione. (..)” E’ una serra fiorita, una selva d’alberi d’illustre progenìa”-scriveva nel 1906 lo scrittore Edmondo De Amicis in visita a Catania- “un insieme affascinante di prati, aiuole, viali, piazzali, poggi, rampe, vasche, fontane zampillanti.(…). E sullo sfondo di tramontana l’Etna che dà la scalata al cielo.”(Ricordi d’un viaggio in Sicilia). Per quanto l’impianto originario fosse rimasto quello che ancora oggi conosciamo, la Villa Bellini ha subito nel corso del tempo alcune sostanziali variazioni. Quella più importante si verificò agli inizi degli anni ’30. Un intervento strutturale che interessò l’ingresso su via Etnea. Con l’occasione venne realizzato il cavalcavia di via Sant’Euplio, creata la grande vasca e collocate nel vestibolo, le quattro statue di Maria Mimì Lazzaro raffiguranti le Arti. Per dirla con il compianto storico-scrittore catanese Lucio Sciacca: “Negli anni del fascismo: tra feste, musiche, attività gastronomiche e divertimenti vari, la “Villa” visse i suoi momenti più esaltanti”. Ma il peggio sarebbe venuto più avanti. Non tanto durante gli eventi bellici, perché il Giardino Bellini non venne neanche sfiorato da una sola bomba. Episodio sintomatico fu quello verificatosi nei primissimi anni del dopoguerra. Il sindaco di allora, concesse a dei giostrai palermitani l’uso temporaneo delle due collinette. Avrebbero dovuto allocarvi un luna-park. Il primo cittadino, valutata la proposta, concesse il suolo pubblico. Per prima cosa, per consentire l’ingresso agli ingenti mezzi della carovana, parte del cancello di piazza San Domenico dovette essere abbattuto. Ma non finì qui. Il sindaco, ancora frastornato dalla guerra o forse allettato dalla necessità di “fare cassa” a beneficio dell’Ente amministrato, ordinò che fosse smontato il preziosissimo chiostro in ferro battuto di stile moresco, posto nella collinetta sud. Il “Chiostro dei concerti” risalente al 1879, era ricco di cristalli di Murano e varie decorazioni pregiate. L’esecuzione fu cruenta. Preso a mazzate e sradicato a colpi di palanchino, il monumento cedette di schianto. Sezionato con l’intento di rimetterlo a posto in un secondo momento, quando il sindaco Domenico Magrì nel ‘53 ordinò la sua ricostruzione, i pezzi pregiati non furono più trovati.
Pubblicato su La Sicilia del 10.07.'22
I RITI DELL'ESTATE
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- Category: Moda Costume e Società
- Written by Santo Privitera
Si stava meglio quando si stava peggio? La maggioranza degli italiani sembra pensarla così. Non sappiamo nel resto d’Europa. Oggi viviamo in un mondo in continua evoluzione; i tempi si sono enormemente accorciati e tutti i cambiamenti che prima si contavano in anni, adesso si contano in…giorni. Le grandi epidemie sembravano essere definitivamente debellate; invece ecco arrivare il Coronavirus con le sue strane varianti. Un virus anch’esso evoluto, figlio del nostro tempo. Anche di guerra non si parlava più. Almeno dalle nostre parti. La pace che si reggeva sul terrore della Bomba atomica, sembra vacillare. Parlare di “nucleare” non è più un tabù. I russi, nell’attuale conflitto contro l’Ucraina, ammettono che in qualsiasi momento, se minacciati, potrebbero ricorrervi. La Cina e l’India, parlano da super potenze: Cosa ci attende per il futuro? …“Âm’à vistu tuttu”-si dice dalle nostre parti-“alluvioni, terremoti, epidemie, matri c’ammazzunu ‘i figghi ‘a trarimentu, fimminicidi e siccità…manca sulu ca casca ‘u focu di l’aria!…”. Cosa non si farebbe per tornare indietro. E non soltanto per questioni puramente “anagrafiche”. Ma è possibile che alle generazioni del secondo ‘900, i tempi di oggi stiano così stretti!? Nel secondo dopoguerra si pensò di ricostruire ciò che era stato distrutto. Case, strade, monumenti, palazzi nobiliari, chiese. Man mano che la ricostruzione prendeva forma, si entrava nella consapevolezza di una normalità ormai conquistata. Impegno e voglia di riscatto non mancarono mai; anzi fecero da trampolino di lancio al cosiddetto “boom economico” degli anni sessanta. A partire dal primo di agosto, data di chiusura delle fabbriche, nella grandi autostrade del Centro Nord si notavano lunghe file di auto cariche di valigie. Nei bagagliai, tutto l’occorrente per trascorrere le ferie in serenità. Le famiglie si spostavano verso i luoghi di villeggiatura più tradizionali. Era un vero e proprio esodo. Le auto Fiat erano in maggioranza per le strade: 850, 1100, 600, 500. Poi le 126, 127 e 128. Quasi tutte pagate a… “cambiali”. Con lo stipendio medio di un operaio, senza strafare si arrivava agevolmente a fine mese. In circolazione, non solo auto italiane. Si vedevano i “Maggiolini” della tedesca Wolkswagen; la francese Citroen e l’americana Ford. Catania, con il suo artigianato locale e le sue fabbriche quasi tutte concentrate nella “moderna” zona industriale, era considerata la “Milano del Sud”. Milano però non possedeva la Plaja. Catania sì. Diciotto chilometri di costa sabbiosa dove si aprivano i lidi con le loro cabine di legno. Piccoli vani affastellati uno a fianco all’altro. Lungo le aperture, filari di passerelle “correvano” fino alla riva. Servivano a proteggere dalla sabbia rovente, i piedi dei bagnanti. Al centro del lido, una “rotonda” dove con appena una moneta da 50 lire si poteva ascoltare la musica dal Jukebox. Si cantava di “pinne, fucili ed occhiali”, di “ballo del mattone” di “stessa spiaggia e stesso mare” …nella “rotonda sul mare”. Le ragazze “abbronzatissime” e corteggiatissime avevano la pelle “spellata come un peperone”. Si “attraccava” facilmente con “la ragazza dell’ombrellone accanto”. E nelle notti di “luna calante”, le coppie scrivevano “T’amo sulla sabbia” prima che il vento a poco a poco se la portasse via. La classica dichiarazione d’amore molto comune a quei tempi. “Estate” cantava il celebre re dei Night, Bruno Martino. Dopo avere consumato una bibita o un gelato al bar, al bigliardino si giocava “a scrocco”; almeno fino a quando l’occhio vigile del gestore non andava verso la moneta posta di traverso per bloccare la leva che consentiva la discesa delle palline bianche. Così facendo, le partite non finivano mai. “Carusi… chiùriti ddocu; …picchì ora i palli mi stannu furiànnu ‘a mmia!!!”. A buon intenditore, poche parole. La sera si ballava e si eleggeva la “Miss” della giornata. A sud est della città, la scogliera era luogo decisamente più “chic”. Ambita meta di nobili, vip e professionisti. Il pianoforte del compianto maestro Pregadio, allietava le serate ai “Ciclopi”. Quello del mare era un rito che ufficialmente iniziava il 15 di giugno, ma per i ragazzi i primi tuffi coincidevano con l’ultimo giorno di scuola. Niente libri, solo costume da bagno. Il 15 settembre segnava la fine delle vacanze. L’inizio anticipato delle lezioni scolastiche per decreto governativo, ha poi sconvolto oggi cosa. Così venivano accorciati i tempi della villeggiatura per chi possedeva una casa in montagna, e della balneazione per chi preferiva il mare. L’entrata nella Unione Europea, ha imposto nuove regole alle quali tutti i cittadini avrebbero dovuto uniformarsi. La globalizzazione, imponendo cicli produttivi continui, ha determinato ritmi di lavoro estenuanti anche in piena estate.
Pubblicato su La Sicilia del 26.06.'22
LA TRISTE VICENDA DI CUNCETTU CADDOZZU
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- Category: Storia e tradizioni popolari
- Written by Santo Privitera
La guerra in Ucraina, gli aumenti indiscriminati di tutti i prodotti, l’inflazione galoppante, la siccità e…chi più ne ha più ne metta; in Italia non si parla d’altro. La recrudescenza del coronavirus con sue aggressive varianti, per quanto in evidente aumento, è passata in secondo piano. Il rischio della “chiusura” sembra ormai lontano; resta però la temuta opzione di tornare a indossare “per decreto” la mascherina all’aperto. Il senso dell’umorismo sembra soccombere di fronte a tutto quello che ci sta capitando attorno. La benzina ha superato il prezzo del vino. Chi lo doveva dire? A Catania, la spazzatura si accumula invadendo perfino le carreggiate stradali. Vedi Napoli e poi muori?..no! “Vedi Catania come si è ridotta!…” Ma guarda cosa ti va a capitare proprio nell’anno in cui nel capoluogo etneo si registra un vero e proprio boom di presenze turistiche! A finire immortalati nelle foto e nei filmini, oltre ai monumenti di grande pregio che ricordano la storia catanese, saranno i cumuli di immondizia presenti nel Centro storico. Nelle periferie è peggio. Ironizza qualcuno suoi social: “ Se non fosse per la puzza, tutti quei sacchetti stracciati e variopinti che si notano negli angoli delle strade, potrebbero stuzzicare la fantasia degli artisti”. I temi, ovviamente, sono quelli riguardanti la pulizia e il decoro che in una moderna città europea non dovrebbero mancare. Ma sì, ridiamoci sopra. “Il riso fa buon sangue”, per questo la liscìa catanese, cosa che non capita in molte altre le città dell’isola, è direttamente proporzionale ai disagi patiti. Fosse stato vivo la buon’anima di “Pippo pernacchia”, proprio in questo periodo avrebbe dato vita ai suoi migliori “concerti”. I luoghi non gli sarebbero certamente mancati. Neanche i motivi. Oggi si dice: tutti “sperti” siamo. L’istruzione, la televisione e i social, con la loro capillare azione hanno “aperto gli occhi” anche al più ostinato dei retrò. Non si può dire che vi siano più in giro personaggi che un tempo venivano considerati “ ‘Ntòntiri”, ovvero creduloni. Giufà, il vero capostipite degli “sprovveduti” è veramente morto per sempre. La sua tomba si trova nel libro delle fiabe che non esiste più. Il personaggio siciliano amato dai bambini ma anche dagli adulti, sembra essere stato totalmente rimosso dalla memoria collettiva. Eppure sulla sua figura esiste una copiosissima letteratura che a quanto pare non attrae più. Giufà ha lasciato il posto a una tipologia linguistica diversa, più esplicita; forse anche più offensiva. “Sciocco” “ammucca lapuni”, “ammucca passuluni”, “tabbobbu” “Tofulu”, è quello che si sente maggiormente dire all’indirizzo del malcapitato di turno. Nella versione catanese, Tofulu è un personaggio che sembra vivere un mondo parallelo a quello reale. Comprende le cose al contrario. Non si discosta molto da Giufà.” Rispetto a quest’ultimo, però, è più sedentario, meno operoso, perciò destinato a combinare meno guai. Nella versione catanese, Tofulu diventa “Turulifu” che nella variante più moderna diventa a sua volta “Miciu ‘da linia”. Quest’ultimo rappresenta la misura esatta della “Menzaquosetta”, ovvero di una persona maldestra e perfino pericolosa. La menzaquosetta, è capace di qualsiasi “impresa”. Una figura destinata a portarla sempre a “sbianchimento”. Insomma, il nulla totale. Siamo ben lontani dalla tipologia antropologica di “Sciasciana” memoria. In questa casistica non rientrano i cosiddetti “Buonaccioni”, personaggi invece perfettamente calati nella realtà. Spesso risultano incompresi perché il loro modo di agire è quasi sempre fuori le righe. E’ il caso di citare uno di questi, vissuto a Gravina di Catania negli anni ’50. Lo chiamavano “Cuncettu caddozzu”. (Caddozzu= salsicciotto). Faccione rubicondo e corporatura “tracagnotta”. Aveva braccia e gambe simili a salsicciotti. Da qui il nomignolo(caddozzu=salsicciotto). Un personaggio da libro cuore. Era il trastullo di tutti i ragazzi del paese. A lui si ricorreva solo quando serviva la sua forza erculea. Gli facevano fare la “Cazzicaledda”, il “gioco del cavaddu”. Durante la festa di San Giuseppe, era imbattibile nel il “gioco della pentolaccia”. L’uomo viveva con la madre in condizione di indigenza assoluta. Quando la donna morì, si trovò nelle condizioni di non potere affrontare le spese per il funerale. Fu allora che Cuncettu caddozzu stupì. Caricata sulle proprie spalle la bara contenenti le spoglie della povera defunta, si avviò verso il cimitero. Lungo tutto il tragitto, lo seguì solo un mesto e silenzioso drappello di piccoli fedeli amici. “ La vigghiau sulu cu li stiddi”-scriverà in seguito il poeta gravinese Mario Ferrara(tra i partecipanti alla triste processione)-“ ‘nzemi a mazzi di ciuri di carta/pi dari culuri a lu jancu linzolu”(…). (Cuncettu caddozzu).
Pubblicato su La Sicilia del 03.07.'22