Moda Costume e Società
LEGGE MERLIN E DINTORNI: QUELLE "CASE CHIUSE" A CATANIA
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- Creato Mercoledì, 21 Settembre 2022 09:00
- Pubblicato Mercoledì, 21 Settembre 2022 09:00
- Scritto da Santo Privitera
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Il 20 settembre del 1958 entrava in vigore, a sei mesi dalla sua approvazione, la legge Merlin. La legge n.75, non solo stabiliva la chiusura delle case di tolleranza, ma puniva sia lo sfruttamento che il favoreggiamento della prostituzione. In uno degli articoli si stabiliva che alle “operatrici disoccupate” doveva essere garantita l’accoglienza in apposite strutture di rieducazione. Per i giovanotti e tutti gli altri frequentatori abituali, finiva un’epoca “dorata” fatta di dolci piccanti momenti. Una vera rivoluzione nel campo dei costumi sessuali, che non mancò di suscitare aspre polemiche in tutto il Paese. Anche oggi a distanza di 64 anni fa discutere. L’Italia “bacchettona” aveva vinto, si disse in giro, ma stavolta l’iniziativa non era stata opera dei cattolici. Lina Merlin, senatrice socialista, aveva fatto il “miracolo”. La Merlin pare avesse un chiodo fisso. Una prima versione del suo disegno di legge in materia di abolizione delle case chiuse in Italia, l’aveva già presentata nell’agosto del 1948. I tempi però non erano ancora maturi. In quel periodo si pensò più alla ricostruzione che ad altro. Quando giunse il momento, il dibattito fu aspro tra le forze politiche. Il voto finale fece registrare tra gli schieramenti una trasversalità sorprendente. Dubbi rimasero perfino tra i favorevoli. Malgrado tutti i buoni propositi, ci si accorse quasi subito che questa legge sarebbe stata un “flop”, e che a lungo andare non avrebbe ottenuto gli effetti sperati. Anzi. Il fenomeno della prostituzione, dal momento che dalle case si spostò nelle strade, fu destinato ad aggravarsi. Diventò un problema per l’ordine pubblico ma, soprattutto, per quello sanitario. Mancò quella necessaria profilassi che nelle “Case chiuse” era regolamentata per decreto. Tutte le “operatrici” erano periodicamente sottoposte a visita medica; se dichiarate non idonee, venivano segnalate e curate adeguatamente. E’ il caso di fare un salto indietro nella storia. Per salvaguardare i soldati sottoposti a frequenti “contagi venerei” , un legge napoleonica del 1806 stabilì la schedatura delle donne aduse a praticare il mestiere più vecchio del mondo. In Italia, la stessa iniziativa fu intrapresa da Cavour nel 1860. Con il governo Crispi, nel 1888, si arrivò alla sorveglianza medica e al controllo nei luoghi stessi in cui le “libere lavoratrici” esercitavano il loro “ufficio”. Con l’avvento delle nuove leggi di pubblica sicurezza, e per regolamentare le esigenze delle “Veneri vaganti”, nel 1931 nacquero infine le “Case chiuse”. L’iter burocratico per ottenere le autorizzazioni all’esercizio, era molto rigido. Questo non scoraggiò le mestieranti di “lungo corso” a intraprendere la redditizia attività. A Catania, le “Case chiuse” furono tutte concentrate nel Vecchio quartiere di San Berillo. Nel fatiscente ma suggestivo agglomerato urbano ricco di viuzze che lo facevano somigliare a una Casbah, convivevano realtà molto diverse. Un miscuglio di umanità povera e di buona borghesia; di artigiani e piccoli commercianti. Nessuno sembrava accorgersi di ciò che avveniva all’interno di queste abitazioni dalle porte e finestre rigorosamente sbarrate. O forse era solo “tolleranza”. Si andava da quelle più rinomate e costose, a quelle più modeste. Vigevano regole severissime. Il “braccio destro” delle tenutarie era meglio conosciuto come “ ‘u Jetta jacqua”. Una figura più buffa che severa, incaricata di cacciare chiunque non avesse i requisiti per entrarvi. Molto frequentate erano “La Casa Bolognese”, “Diana Mascali”, “Fargioni”, “Moderna” e altre ancora. Tutte arredate in stile Liberty o Déco del momento. Fino al 1948, anno dopo il quale non fu più possibile chiedere autorizzazioni per altre aperture, proliferarono come i funghi. Fra di loro serpeggiava una certa rivalità. La più nota e intraprendente “maitress” meglio conosciuta come “Za Mattia”, portava le “nuove arrivate” in carrozza nel più rinomato bar di Catania. Non solo una forma di buona accoglienza la sua, ma un’astuta occulta pubblicità che al calar della sera avrebbe prodotto i suoi frutti. Nella nostra città, la città che Brancati avrebbe ribattezzato del “gallismo”, il fenomeno fu più che accentuato. Già al tempo dei Romani, il meretricio era “di casa”. La legge Merlin arrivò in contemporanea allo “sventramento” del “mitico” quartiere inurbato nel cuore del Centro storico. Sull’argomento esiste una vastissima letteratura. “La sera prima della fatidica e mesta data di chiusura”-scrive il compianto giornalista e scrittore Aldo Motta in uno dei suoi libri più famosi-“alcuni giovani tra i più assidui frequentatori, sfilarono per le viuzze di San Berillo recando sulle spalle una enorme chiave spezzata di cartone, chiara simbologia di un gaudio interrotto(…)” (Quelle persiane chiuse).
Pubblicato su La sicilia del 18.09.2022
INTERVISTA A SANTINA FRAGALA', VINCITRICE DEL CONCORSO "FILMAGOGIA" ED.2022
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- Creato Sabato, 17 Settembre 2022 18:48
- Pubblicato Sabato, 17 Settembre 2022 18:48
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Non ha calcato il “red carpet” come una importante attrice protagonista, ma essere premiata in uno dei concorsi alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, per la Santina Fragalà deve essere stata ugualmente una grande soddisfazione. Il premio Filmagogia di quest’anno è andata a lei autrice del videoclip “Il Flessibile”. All’Hotel Excelsior di Venezia dove si è svolta la manifestazione, tra le “eccellenze” del settore era presente la fondatrice di questo premio, Loretta Guerrini Verga, componente scientifico della Rete nazionale dei Licei Artistici. E’ stata lei stessa a consegnare il riconoscimento alla vincitrice. Santina Fragalà, è docente di Grafica e di Audiovisivo e Multimediale preso il Liceo M.M.Lazzaro di Catania. Da sempre appassionata di animazione 2D, dopo anni di attività nell’ambito della grafica pubblicitaria e web, si è trasferita per qualche tempo in Lussemburgo dove ha lavorato come assistente animazione. Nel 2011 prese anche parte alla produzione del film “Pinocchio” di Enzo D’Alò.
-Un premio così prestigioso, e poi alla Mostra di Venezia….se lo aspettava?
Ci speravo. “A questo progetto ho lavorato per quasi tutta l’estate. Il premio “Filmagogia” è riservato alle produzioni audiovisive di docenti e allievi dei Licei artistici. In quanto docente, alla realizzazione di questo video si affianca l’intento di proporre ai miei allievi un modello di studio e ricerca sul connubio tra testo, ritmo e immagini; ovvero tra narrazione testuale, musica e visiva, nell’ambito dell’animazione”.
-Cosa l’ha spinta a partecipare?
“Conosco Loretta Guerrini Verga da tre anni. Dopo aver parlato con lei e appreso il tema proposto per questa edizione del Festival, riscontrando una certa coerenza col soggetto del video al quale stavo già lavorando, ho deciso di presentarlo.
-Come potremmo classificare i prodotti di animazione in un contesto cinematografico e commerciale?
“ L’animazione di per sé è un arte sequenziale dotata di un proprio linguaggio che riprende quello del cinema. A differenza di questo, però, i movimenti di macchina non vengono realizzati dal vivo ma simulati dai disegni stessi e/o da software di montaggio. Come ogni linguaggio ha una propria grammatica e una propria sintassi, il cui uso differenziato è legato ai diversi generi e stili narrativi: dal prodotto commerciale, al lungometraggio, al corto d’autore, ecc.”
-Mi incuriosisce il titolo “Il Flessibile”…
“ E’ un videoclip su musica e testo di Giuseppe Giacalone, di cui riporta il titolo. Cogliendo lo spunto suggerito dal brano, il mio video mostra il flessibile nella duplice accezione del termine: elemento idraulico e dote umana. Protagonista infatti è una persona capace di rendere migliore la vita degli altri. Un supereroe umile ed energico che interviene in aiuto delle persone in difficoltà, capace di contrastare il grigiore di una vita da “inflessibili”e offrendo loro la possibilità di essere migliori. Questo taglio simbolico rimanda un po’ alla figura di Babette( Il pranzo di Babette di Gabriel Axel, 1987)”.
-La materia è di quelle che si proietta nel futuro; quali le sue aspettative?
“Sebbene l’attività di docente offra sempre nuovi ed interessanti stimoli, ho una forte nostalgia della vita da studio(di animazione). L'animazione è la mia più grande passione, la mia Isola del tesoro, e consacrarle il mio tempo libero è per me una necessità. In futuro spero di lavorare a qualche altra produzione europea, prendendomi una pausa dalla scuola.
Nella foto, La Prof.ssa Santina Fragalà
UNIONE SICILIA 2000, LA BREVE STAGIONE DI UN MOVIMENTO POLITICO
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- Creato Mercoledì, 10 Agosto 2022 06:58
- Pubblicato Mercoledì, 10 Agosto 2022 06:58
- Scritto da Santo Privitera
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Le hanno già ribattezzate le “elezioni balneari”. L’unico primato sarebbe quello di non avere precedenti nella storia della Repubblica italiana. Quest’anno niente ferie per i politici italiani. Ci sarà di rimboccarsi le maniche per evitare la deriva. Tra i partiti, all’interno e all’estero, c’è maretta. Le acque sono talmente agitate da costringere quasi tutti gli schieramenti a cercare possibili “salvagenti” per rimanere a galla. “Chiù scuru ‘i menzannotti non pò fari” si dice dalle nostre parti; come non essere d’accordo su questo punto? L’ironia sottile maschera però una certa rassegnazione. E’ opinione diffusa che “Comu finisci, si cunta; …tantu su tutti i stissi! Le dimissioni del sindaco di Catania, ci riporta alla politica di casa nostra. A ritroso nel tempo, le lancette della storia le posizioniamo in quel lontano 1980. “Nun te reggae più” cantava, a proposito degli intrecci politico-industriali italiani, uno scatenato Rino Gaetano. Le elezioni comunali catanesi, dominate come sempre dai soliti partiti, fecero registrare quell’anno una novità: l’esordio della lista civica “Unione Sicilia 2000”( Nella foto). Una formazione politica di nuovo conio, voluta dal noto imprenditore catanese e consigliere comunale Mario Ferrini. Questo Movimento non fu né separatista, come inizialmente fu fatto credere, né estremistico come gli avversari politici malignamente insinuarono. Anzi, nello statuto che come atto di nascita reca la data di 15 giugno 1980, elenca tra i primi articoli la dicitura: “portare avanti il disegno dell’unità reale della Sicilia con l’Europa, in armonia con la tradizione e la cultura occidentale”. L’anticonformismo del fondatore non fu certo dettato da smanie di potere; la filosofia di Ferrini, essendo unicamente basata sul duro lavoro nei cantieri, non consentiva la pratica di alchimie di alcun tipo. Men che meno quelle tipiche del sottobosco politico catanese e non solo. Fu un suo punto di forza. Alle elezioni politiche del 1979, per una manciata di voti mancò il seggio al parlamento. L’Unione Sicilia 2000 nacque con l’intento di andare controcorrente. “Basta! ”-gridava Ferrini facendo nomi e cognomi dei leader del tempo-“ sti corrotti sinn’ana jiri ‘a casa, pricchì fannu sempri ‘u jocu do’ tri oru vinci e ‘u tri oru perdi!” Lo predicava in lingua siciliana, perché tutti camprendessero. “Cca semu ‘a Catania, no all’estiro…”.Un nuovo linguaggio, un nuovo modo di approcciarsi con la politica, che dopo di lui molti si sarebbero apprestati a seguire. Prima di allora, solo il “fronte giustizialista siciliano” di Antonino Impellizzeri(detto ‘u russu”) aveva tentato. Il risultato fu sempre un nulla di fatto. I candidati di questa formazione puntualmente presente in tutte le elezioni, poco o niente avevano avuto a che fare con la politica. Inoltre, non riusciva mai a completare la lista che allora era di sessanta candidati. Ferrini, invece, oltre a molti operai e impiegati delle sue aziende, ci mise dentro personaggi di rilievo e ben radicati nel tessuto sociale catanese: artigiani, sindacalisti, imprenditori, funzionari di banca. La lista ottenne due seggi al comune di Catania( Nino Parisi e lo stesso Ferrini); uno alla provincia(Isidoro Privitera). Quell’anno “esordirono i Consigli di Quartiere; anche lì alcuni della lista riuscirono a essere eletti. L’Unione Sicilia 2000 ebbe vita breve. Così come nacque, fu destinata a sparire presto. Complice la mancata elezione degli organismi previsti dallo statuto. Nel breve volgere di qualche mese, cominciarono a serpeggiare i primi malumori. Non si verificò all’interno del movimento un vero e proprio dibattito, perché mancò il confronto. Un partito imprenditoriale così, oggi ci ricorda qualcosa. E’ certo che i partiti tradizionali fecero la loro parte. Cavalcando abilmente questi malumori, acuirono spaccature e dissensi interni. Cominciarono le prime dimissioni “eccellenti”. Nel giro di poco tempo, la diaspora si intensificò fino a sancire la fine dell’esperienza politica di questo Movimento. Lo stesso fondatore trasmigrò in altro partito, stavolta di chiaro stampo separatistico. Il conseguente insuccesso alle regionali e una serie di gravi problematiche legate alla propria attività imprenditoriale, gli consigliarono di lasciare definitivamente la politica. Fu la fine di tutto. Da lì a poco, anche della sua stessa vita.
Nella foto: Apertura della campagna elettorale, giugno 1980. Da sin(in primo piano), Comm.Isidoro Privitera, Cav.Mario Ferrini, Dott. Santo Privitera, Dott.Nino Parisi.
Pubblicato su La sicilia dell'1.08.2022
BRIGANTONY LA VOCE DELLA SICILIA
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- Creato Mercoledì, 10 Agosto 2022 06:50
- Pubblicato Mercoledì, 10 Agosto 2022 06:50
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Stava male da molto tempo. La malattia inesorabile che lo aveva aggredito, era di quelle che logorano a poco a poco. Non lascia scampo. Aveva perso molti chili, ma non il solito “smalto” umoristico che lo aveva sempre caratterizzato. I fans che quasi giornalmente andavano a trovarlo nella struttura sanitaria dov’era ricoverato, ogni giorno che passava lo vedevano sempre più smagrito e fragile. E dire che con il suo faccione rubicondo e il classico addome traboccante( ‘a panza), negli anni della sua piena attività era considerato dai catanesi “ ‘U ritrattu ‘da saluti”. Amici ed estimatori gli festeggiavano puntualmente il compleanno, augurandogli ancora lunga vita. Con l’occasione, gli facevano riascoltare le sue stesse canzoni. E’ morto l’altro ieri all’età di 74 anni; era nato nell’aprile del 1948 nel popoloso quartiere di Cibali. Negli ultimi giorni, sperando in un miracolo, la figlia aveva invitato tutti alla preghiera. Lui era Antonino Caponnetto, meglio conosciuto come Brigantony. Un nome d’arte che era già tutto un programma. Verace espressione della catanesità. Chi non ha canticchiato, almeno una sola volta, un brano della sua vasta collezione? Brigantony , brillante e ironico cantautore, alla luce dei suoi successi in Italia e all’estero possiamo considerarlo il più grande rappresentante della musica popolare catanese degli ultimi quarant’anni. Una perdita che certamente peserà in città, soprattutto tra quanti ne hanno apprezzato le doti di musicista e poeta. Un altro pezzo di storia catanese ci lascia. “In punta di piedi, se ne stanno andando tutti i nostri artisti migliori”, è uno dei tantissimi commenti apparsi sui social appena si è sparsa la notizia della sua morte. Brigantony era una vera icona, “ ‘mpersonaggiu”; interprete di quella Catania genuina capace di trasformare una tragedia in farsa. L’artista riuscì a guadagnarsi i favori del pubblico grazie a una comicità asciutta e fulminante. “La battuta” sempre pronta. E dire che le sue prime apparizioni nei lidi o nei teatri di periferia, era stata frettolosamente bollata come “volgare”. La sua figura appariva troppo trasandata nell’abbigliamento e “azzardata” nel linguaggio, in stretto dialetto catanese com’era. Negli ambienti borghesi, quasi si gridò allo scandalo. Brani come “ ‘A sucalora” o “ ‘A nanna si misi i causi”, non si erano mai sentiti in giro. Intanto i suoi dischi andavano a ruba. “Abballa mugghieri abballa e non ti siddiari, ca l’assissuri cozzula, ‘mpostu tu fa pigghiari”(Abballa mugghieri abballa). Con questo brano partecipò al quinto festival della canzone siciliana presentato quell’anno da Pino Caruso ad Antenna Sicilia. Il brano che gli aprì la porta del successo, quello che lo fece conoscere al grande pubblico, fu “A Cassa Malatia”. Una feroce satira sul sistema della mutua italiana: “ ‘A quant’è bella la cassa malatia, ca manna soddi e unu s’arricria; e tutti i iorna ‘i genti su malati, ca fannu ‘a finta e venunu pavati. E quantu è bonu l’amico duttureddu ca cu ‘na frimma ti dici si malatu…però malatu di cassa malatia ca mancia e vivi e si nni futti ‘i tia”(….). Da allora fu un crescendo di successi uno dietro l’altro. In carriera ha pubblicato moltissimi album. Continuò con i titoli “Strurusi”(per dirla alla catanese), goliardici e ricchi di “doppi sensi” . “ ‘A Ciolla”; “Mi stuppai ‘na fanta”; “ ‘A zita pilusa“ e molti altri. Dietro questi temi, apparentemente di massa, c’è invece satira graffiante e intelligente. Tutti i vizi della società, descritti con “pungente” leggerezza. La sua musica spaziava dalla tarantella siciliana al Rock; dal Boogie woogie allo Swing, fino al rap. Molto disinvolto sul palco, si presentava con la sua inseparabile “coppola siciliana” indossata al contrario su una folta “zazzera”. Era di colore rosso, il suo colore preferito. “Ma Brigantony, perché porti la coppola storta?”-gli chiese incuriosito un ragazzino; Risposta: “Ca picchì già sugnu stortu jù!”. I suoi personaggi sembrano appartenere a quelli della commedia dell’arte. Do’ “Cavaleri muschitta”, ‘o prufissuri cutuletta”; do’ “raggiuneri lattuca” a “Turi l’ass’ ‘i mazzi”, passando ppi “Arazziu câ tigna” mafioso di sostanza. Hanno fatto la storia anche i racconti incisi negli anni come: “Il mago ‘Mpracchiapareddi” e “Padre Tamarindu”. Qualche canzone che si discosta dal genere satirico, nel suo repertorio c’è pure. “Vi vogghiu beni” è il brano “strappalacrime” che presentò a una delle fortunate edizioni del festival siciliano organizzato da Antenna Sicilia negli anni ’80 dello scorso secolo. Lo dedicò a un giovane cantate non vedente, lo stesso che la cantò commuovendo tutti.
Nella foto, Brigantony mentre si esibisce ad Agira(EN) durante una festa tra amici.
Pubblicato su La Sicilia del 24.07.2022
I MISFATTI ALLA "VILLA BELLINI" DI CATANIA
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- Creato Domenica, 10 Luglio 2022 15:50
- Pubblicato Domenica, 10 Luglio 2022 15:50
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Villa Bellini per i catanesi continua a essere luogo buono per tutte le stagioni. Un luogo senza tempo per i più romantici; un vero salotto cittadino per tutti tranne che per i Vandali. Quelli purtroppo non sono mai mancati nel tempo. Ci sono sempre stati per compiere danni sempre e comunque. Un vera malattia, la loro, malattia dell’inciviltà. Dicono che gli atti vandalici siano il “termometro” dello stato di sopportazione di un popolo, ma non sappiamo quanto di vero ci sia in questa affermazione. In ogni caso, mai niente potrà giustificarli. Fatto sta che a farne le spese sono stati animali, statue, infrastrutture e tanto altro. Recentemente, ad essere imbrattata di vernice rossa è stata la statua della Madonna. Non parliamo delle sculture e mezzibusti degli uomini illustri situati nell’omonimo viale. Tutte pregiate opere realizzate nel tempo da famosi artisti: Da Giovanni Duprè ad Antonio Calì; da Francesco Licata a Salvo Giordano fino a Carmelo Mendola, tanto per citarne alcuni. Furti e danneggiamenti si sono verificati con una frequenza allarmante. A questo aggiungiamo l’incuria amministrativa, dovuta a scelte sbagliate e spesso inopportune. Al danno economico e materiale si è aggiunto quello estetico; perciò è stato necessario ricorrere a frequenti restauri sempre più costosi. Questi, però, non sempre graditi da parte dei cittadini. Le polemiche non hanno mai risparmiato le vicende dei monumenti più insigni della città. Villa Bellini compresa. Brucia ancora la triste storia della palazzina cinese, unico esempio di architettura Liberty lignea della città. Data misteriosamente alle fiamme nel 2001, da allora non è mai stata più ricostruita. Posta sulla collina Nord, detta del Salvatore, la sua “ricamata” sagoma lignea si confondeva con i rigogliosi alberi che l’attorniavano. All’origine era stata adibita a caffè concerto. Tra gli anni ’50 e ’70 del trascorso secolo, prima di cadere definitivamente in disgrazia, era diventata invece una rinomata Biblioteca comunale. La storia della villa inizia nel 1853, anno in cui gli amministratori borbonici trattarono l’acquisto del “Laberinto”, il giardino privato appartenente alla famiglia Biscari. Era stato uno spazio di verde creato per le proprie esigenze dal principe mecenate Ignazio Paternò Castello V Principe di Biscari. Un vero e proprio regalo che a quell’epoca si volle fare alla città priva com’era di un vasto Giardino attrezzato. Tra diatribe tecniche e grovigli burocratici di varia natura, passarono ben trent’anni prima del completamento. Nel gennaio del 1883 la solenne inaugurazione. (..)” E’ una serra fiorita, una selva d’alberi d’illustre progenìa”-scriveva nel 1906 lo scrittore Edmondo De Amicis in visita a Catania- “un insieme affascinante di prati, aiuole, viali, piazzali, poggi, rampe, vasche, fontane zampillanti.(…). E sullo sfondo di tramontana l’Etna che dà la scalata al cielo.”(Ricordi d’un viaggio in Sicilia). Per quanto l’impianto originario fosse rimasto quello che ancora oggi conosciamo, la Villa Bellini ha subito nel corso del tempo alcune sostanziali variazioni. Quella più importante si verificò agli inizi degli anni ’30. Un intervento strutturale che interessò l’ingresso su via Etnea. Con l’occasione venne realizzato il cavalcavia di via Sant’Euplio, creata la grande vasca e collocate nel vestibolo, le quattro statue di Maria Mimì Lazzaro raffiguranti le Arti. Per dirla con il compianto storico-scrittore catanese Lucio Sciacca: “Negli anni del fascismo: tra feste, musiche, attività gastronomiche e divertimenti vari, la “Villa” visse i suoi momenti più esaltanti”. Ma il peggio sarebbe venuto più avanti. Non tanto durante gli eventi bellici, perché il Giardino Bellini non venne neanche sfiorato da una sola bomba. Episodio sintomatico fu quello verificatosi nei primissimi anni del dopoguerra. Il sindaco di allora, concesse a dei giostrai palermitani l’uso temporaneo delle due collinette. Avrebbero dovuto allocarvi un luna-park. Il primo cittadino, valutata la proposta, concesse il suolo pubblico. Per prima cosa, per consentire l’ingresso agli ingenti mezzi della carovana, parte del cancello di piazza San Domenico dovette essere abbattuto. Ma non finì qui. Il sindaco, ancora frastornato dalla guerra o forse allettato dalla necessità di “fare cassa” a beneficio dell’Ente amministrato, ordinò che fosse smontato il preziosissimo chiostro in ferro battuto di stile moresco, posto nella collinetta sud. Il “Chiostro dei concerti” risalente al 1879, era ricco di cristalli di Murano e varie decorazioni pregiate. L’esecuzione fu cruenta. Preso a mazzate e sradicato a colpi di palanchino, il monumento cedette di schianto. Sezionato con l’intento di rimetterlo a posto in un secondo momento, quando il sindaco Domenico Magrì nel ‘53 ordinò la sua ricostruzione, i pezzi pregiati non furono più trovati.
Pubblicato su La Sicilia del 10.07.'22