Moda Costume e Società
SCHERZI DI CARNEVALE
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- Creato Domenica, 06 Marzo 2022 18:03
- Pubblicato Domenica, 06 Marzo 2022 18:03
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Tra pandemia e guerra, anche il carnevale di quest’anno sta passando in sordina. Non un coriandolo si è notato per terra, né un carro si è visto sfilare tra le strade di Acireale. Gli estrosi vestiti di Misterbianco?…quelli sono andati sotto naftalina prima del previsto. Il prossimo anno speriamo sia più fortunato di questo, perché “il re burlone”, “ ovveru ‘u nannu, come lo chiamano nel palermitano, vuole continuare a dettare “lu so testamentu”. Sembrano lontani anni luce i tempi in cui il carnevale era atteso con frenesia e festeggiato con solennità quasi fosse una festa di precetto. Oggi si respira aria di rassegnazione. Sembra quasi uno scherzo del destino. Insieme alla spettacolarità dell’evento, è stata gravemente penalizzata l’industria del commercio. In epoca pre-covid, prima di arrivare alla consueta baldoria, c’era tutta una preparazione. Lo conferma un celebre proverbio riferito al 20 gennaio: “Ppi San Sabbastianu,’i maschiri ‘nchianu”( ‘ncianu, nel ragusano). Cominciavano così i primi scherzi. Una volta il carnevale coinvolgeva tutti: grandi e piccini. Tra i ragazzi, i giochi si tramandavano. Giochi puerili, ingenui, ma divertivano con semplicità. “Ci vai oggi all’appuntamentu!?”…”Cu cui?”…”Ca ccu cannaluariii! ”… C’era chi all’occhiello della giacca faceva sfoggio di una vistosa margherita; era “ ‘a maggherita sghiccia jacqua”. Chi la osservava da vicino, veniva investito da un improvviso getto d’acqua negli occhi. Era l’effetto di una pompetta azionata dal taschino interno. E questo era niente se paragonato alla bustina di “prurigghia”. Si trattava di una polverina dal colore marroncino che, soffiata addosso al malcapitato, procurava un fastidioso prurito alla pelle. Poteva durare per l’intera giornata se non si detergeva prontamente con acqua e sapone la parte interessata. Altra bustina da attenzionare era la polvere dello starnuto. A base di tabacco, bastava leggermente annusarla per starnutire continuamente. Silenziosa e mefitica era invece la “Fiala puzzolente” dal caratteristico odore di uovo marcio. Schiacciata in un luogo chiuso, necessitava aprire porte e finestre per almeno un paio d’ore. Il responsabile restava quasi sempre rigorosamente anonimo. Tra gli scherzi carnascialeschi praticati, ricordiamo la rumorosa piritera. Un cuscinetto d’aria che il buontempone di turno posizionava su uno sgabello. Il malcapitato che sbadatamente vi si sedeva, avvertiva un rumore facilmente…immaginabile. Per le strade imperversavano le “Callá”. Si praticava in gruppo. Sciamando lungo la via, si cercava il tipo adatto per fargliela. La scelta ricadeva sempre sull’individuo dal carattere serio e compunto. Mentre costui veniva distratto con una scusa qualsiasi, uno della comitiva aveva il compito di appiccicargli alle spalle una scritta ingiuriosa o il disegno di un “asso di bastone”. Ci voleva una mano ferma per compiere il gesto. Alla riuscita, in coro si gridava: “ A e i o u …cannaluari ca si tu!!!” L’epiteto finale variava a seconda delle locali tradizioni. Erano risate assicurate. Ancora di più se la “vittima” si lasciava andare a imprecazioni, proteste e invettive varie; in tal caso gli veniva ricordato che “Ppi cannaluari ogni sghézzu vali e cu s’affenni è maiali!”. Nelle famiglie tradizionali, le feste di ballo si svolgevano a casa. Quelle più remissive, consentivano soprattutto alle figlie femmine di andare in piazza a ballare. Era di moda indossare il dominò, un lungo mantello scuro con cappuccio che copriva totalmente il viso. Per i gruppi mascherati si doveva aspettare il “giovedì grasso” che precedeva di pochi giorni il gran finale del “martedì grasso”. A Catania, il raduno prediletto delle mascherine si svolgeva alla villa Bellini. I genitori portavano i propri bambini vestiti in maschera per una foto ricordo. Un discorso a parte merita la gastronomia. Per rimanere in tema, è sempre il maiale il re della tavola. “Pi cannaluari, si mangia ràssu” dice Nunzio Barbagallo che di recente ha realizzato uno studio su questa materia. Si comincia con i “maccarruni che cincu o setti puttusa”. Salsiccia, cotica di maiale e maccheroni annegati nel ragù, si fanno cuocere tutti insieme in un pentolone. A seconda della località, vasta e varia la produzione di dolci. Dalla “Mpagnuccata modicana” alle “ frittelle catanesi”; dalle “sfingi di riso” alla “pignolata al miele”, è tutto un trionfo del gusto. Le “mascherine con la glassa” e le “castagnole” sono una vera delizia. Le “chiacchiere di carnevale?”…sono le uniche che si mangiano volentieri..
Pubblicato su La Sicilia il 27.02.2022
MASCHERE DI CARNEVALE
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- Creato Mercoledì, 23 Febbraio 2022 11:04
- Pubblicato Mercoledì, 23 Febbraio 2022 11:04
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Quando lo scorso dieci di febbraio il governo ha disposto l’eliminazione delle mascherine all’aperto, qualcuno ha finemente ironizzato: “Ma comu…. sta arrivannu ‘u cannaluari e ni stannu facennu luari i Mascherini!!!???”. Un modo, certo, per esorcizzare i disagi del momento. Dopotutto, le feste carnevalesche, all’origine, nascono proprio per questo motivo. La trasgressione, la baldoria e la celia come forma di autorisarcimento per le fatiche quotidiane che ciascuno è costretto a sostenere. Tra raduni arcobaleno e sballi vari, secondo l’antropologa Cecilia Trocchi Gatto, “il carnevale è tutto l’anno”. In un contesto dove vige la più assoluta libertà, tutto diventa lecito. Prima dell’avvento penitenziale della Quaresima, la gente tende a sfogarsi più a lungo possibile. Ogni gerarchia viene annullata nel nome di un Re burlone, caricatura dei potenti oltre che del genere umano stesso. Essere, cioè, quello che nella vita reale non si è. In questo senso la maschera rappresenta l’essenza della molteplicità. Non a caso, il simbolo del teatro è raffigurato da due maschere: Una che ride e l’altra che manifesta una smorfia di dolore. Alberto Salustri(Roma 1871-1950) meglio conosciuto come “Trilussa”, in una delle sue più belle poesie satiriche consigliava: “… E tu che piagni, che ce guadagni? Gnente!/ ce guadagne che la gente dirà: Povero diavolo, te compatisco…me dispiace assai../ Ma in fonno, credi, non j’importa un cavolo./ Fa’ invece come me, ch’ho sempre riso/ e se te pija la malinconia/ coprete er viso co la faccia mia…/(La maschera). Indipendentemente dal carnevale, c’è chi la maschera la indossa metaforicamente per tutto l’anno. Lo diceva Pirandello: ”nella vita incontrerete più maschere che volti”. Dalle nostre parti, la maschera assume un significato dispregiativo. “S’àvissunu a mettiti ‘na maschira!” è l’imprecazione che sentiamo spesso in questi giorni. A seguito degli aumenti indiscriminati che stanno mettendo in ginocchio le famiglie e l’intera economia del Paese, c’è poco da stare allegri. Non bastavano le bollette, ma tutti i generi di prima necessità risentono, a cascata, di questo fenomeno. E non è uno scherzo. Presi come siamo dalle difficoltà del momento, che Carnevale sarà quello di quest’anno? Prima dell’avvento del secolo attuale, uno dei divertimenti preferiti durante il carnevale era di andare in giro mascherati, riempire le strade di briosi coriandoli e di ballare in piazza magari con persone sconosciute. Nascevano amicizie e amori. A volte anche risse. Ad essere trascurato negli ultimi tempi, è l’aspetto letterario di questa festa. Nei centri culturali o nei teatri, una volta si recitavano poesie burlesche, epigrammatiche o satiriche composte da famosi poeti dialettali. Erano conosciute come “carnevalate”. Una tradizione, questa, che ha radici molto lontane nel tempo. Per fortuna resistono ancora le maschere della commedia dell’arte italiana. Sono ammirate in tutto il mondo. Esse rispecchierebbero in forma caricaturale il carattere popolaresco del luogo. Così come Milano ha il suo “Meneghino”; Napoli il suo Pulcinella e Roma il suo Rugantino, anche noi abbiamo il nostro “Peppe Nappa” (o Nnappa). Il soprannome Nappa, in dialetto siciliano indica una stoffa utile per i “rattoppi”. Si riferisce agli abiti laceri e rattoppati simbolo per eccellenza di povertà. “Ti sta cumputtànnu comu a Peppennappa” non è affatto un complimento. La maschera è quella di un servo pigro e burlone. Come per il personaggio fiabesco di Giufà, riceve la propria razione di legnate per i guai procurati. Il suo costume è composto da una casacca dalle maniche lunghissime e dei calzoni azzurri, entrambi molto ampi e lunghi. Il cappellino è di feltro bianco o azzurro dalle falde rialzate sopra una stretta calotta piana. Fascia al collo e scarpe bianche con fibbie, completano l’abbigliamento. La sua storia non è stata troppo fortunata. Ha vissuto momenti di celebrità e altri di totale abbandono. In questi giorni la sua figura è stata rivalutata. Come maschera del suo antichissimo carnevale, negli anni ’50 del trascorso secolo venne per qualche tempo adottata dalla città di Sciacca. Grazie ad Alfredo Danese, illustre mecenate della cultura catanese e del teatro popolare siciliano, nel 1978 la maschera di Peppe Nappa fa la sua prima comparsa sui copioni del teatro dialettale.
Pubblicato su La Sicilia del 20.02.2022
FESTA DI SAN VALENTINO AI TEMPI DEL COVID
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- Creato Giovedì, 17 Febbraio 2022 00:34
- Pubblicato Giovedì, 17 Febbraio 2022 00:34
- Scritto da Santo Privitera
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Dalla pubblicità che è stata fatta in questi giorni nelle varie reti Tv nazionali, ci accorgiamo che sta per arrivare la festa di San Valentino. L’usanza pagana di questa festa pare risalga al IV Sec a.C., al tempo cioè dei riti dedicati al Dio Lupercus. La chiesa la sostituì nel 496 con quella di rito cristiano dedicata al Santo Martire Valentino nel giorno della sua morte. L’unica certezza storica tra le tante leggende più o meno suggestive che circolano. Sugli scaffali dei grandi ipermercati: cuori, cuoricini di cioccolata e intere confezioni di baci, sono lì che aspettano che qualche “innamorato” si facci avanti per l’acquisto. Nelle oreficerie, malgrado la crisi economica, le bollette alle stelle, il caro-benzina e via discorrendo, qualcuno ancora “azzarda” un acquisto. “Roba da ricchi”, si direbbe; eppure non è così, perché l’amore… è sempre l’amore e va onorato anche a costo di ricorrere a un finanziamento. I ristoranti non hanno ancora il pienone degli anni pre-covid, ma cominciano a registrare qualche “prenotazione” in più. Meno male che San Valentino c’è; almeno per dare un po' di ossigeno a tutti quegli esercizi commerciali rimasti aperti malgrado la batosta pandemica ancora incombente. Sotto questo aspetto, per una volta diciamo tutti “viva il consumismo!”. Di sicuro c’è che gli “Amorini” preposti a scoccare le fatidiche frecce, hanno di questi tempi il loro bel da fare. Per non scontentare nessuno, infatti, anziché colpire solo il cuore delle coppie tradizionali, mirano anche a quelli “omo” e “lesbo”. Guai se così non fosse; per effetto del “politicamente corretto” rischierebbero di sparire anche loro dall’immaginario collettivo, sostituiti da chissà quale altra figura o…figu***. Sul versante catanese, è la stessa cosa. Tuttavia, le coppie un po' attempate si lasciano andare ai ricordi. Alcune di loro rammentano le ore trascorse a cercare la frase d’amore più accattivante ed efficace. Oggi si possono trovare facilmente su interneret o copiarli dai social; ai loro tempi, invece, quando non si attingeva direttamente dal “bacio perugina”, era più complicato. Si scriveva e si cancellava; poi si riscriveva tante altre volte. Quando si riusciva finalmente a trovare la frase giusta, quasi sempre non piaceva e si ritornava daccapo a scriverne un’altra. Le pagine del diario, alla fine recavano i segni indelebili di quella “battaglia” combattuta “all’ultimo inchiostro”. Le coppie acculturate ricorrevano ai poeti più conosciuti del tempo. Jacques Prèvert e Pablo Neruda erano tra i più “gettonati”. Successivamente, Nazim Hikmet e Alda Merini presero il loro posto. Da non sottovalutare Antonio De Curtis, in arte Totò. Il principe della risata, oltre a essere stato un grande comico, fu un raffinatissimo poeta. Scrisse struggenti poesie in dialetto napoletano. “ ‘A sera quando ‘o sole se nne trase/ e dà ‘a cunzegna ‘a luna p’ ‘a ‘nuttata,/ lle dice dinto ‘a recchia: “I’ vaco a casa: t’arraccumanno tutt’ ‘e nnamurate”( ‘A cunzegna). E i poeti siciliani?…quasi tutti scrissero sul tema dell’amore. Esiste una letteratura “infinita” in questo campo. Dai tempi della scuola siciliana dell’amor cortese, da cui trasse origine la stessa letteratura italiana e fino ai poeti popolari, l’Amore è sempre stato inteso come dedizione totale. Senza parlare delle canzoni d’amore. “ Lu sonnu di la notti m’arrubbasti e lu purtasti a dormiri ccu ttia” è stato definito uno dei versi più belli che siano mai stati scritti in dialetto siciliano. La bellissima mattinata “E vui durmiti ancora” di Giovanni Formisano su musica del M° Emanuel Calì, è considerata addirittura un capolavoro mondiale. Secondo un’antica tradizione, la ragazza che voleva prendere marito, all’albeggiare del giorno di San Valentino doveva affacciarsi alla finestra. Il fidanzamento sarebbe stato imminente, solo se in quel momento un viandante si trovava a percorrere la strada. Diversamente, i tempi non sarebbero stati ancora maturi. Altro capitolo è quello dei proverbi. “Amuri, amuri e broru ‘i ciciri;..’Amuri ‘nta pignata non si cci nni cala…” gridava il capofamiglia alla coppia che pretendeva di convolare a nozze senza un lavoro sicuro da parte di lui. Però “L’amuri è ovvu ma talìa luntanu”, si potrebbe obiettare. E’ vero, ma chi se ne frega?…” Còlira d’amuri…rinascita d’amuri è”… L’amuri quannu c’è trova locu”. Fatto sta che per San Valentino “Munnu ‘a statu e munnu sarà”.
Pubblicato su La Sicilia del 13.02.2022
CARA BOLLETTA, TI SCRIVO!
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- Creato Giovedì, 17 Febbraio 2022 00:27
- Pubblicato Giovedì, 17 Febbraio 2022 00:27
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Cara bolletta, ti scrivo. Non cerco “Bulletti né Bullittini” come si dice a Catania, ma solo di fare un po' di luce su certe questioni che assillano la nostra realtà quotidiana. Enel, Gas, Rai, Acqua e tanto altro, non ha importanza;… “tantu siti tutti ‘i stissi!”. Un bimestre trascorre brevemente, ma lesta è la mano che “sborsa” a ogni tuo puntuale arrivo “uso cambiale”. Cara Bolletta Enel, mi rivolgo soprattutto a te che fra tutte sei la più illuminata. Ti posso dare del tu, vero!?…Tanto ci conosciamo benissimo. Pensavo che mantenessi la linea, e invece ti sei fatta davvero pesante anche tu. Dicono che hanno stretto i rubinetti, che l’economia deve riprendersi dalla botta pandemica degli ultimi due anni; a me sembra oramai che “cchiù scuru ‘i menzannotti non po' fari”. “Supra ‘a vàddira, ‘ncraunchiu”; tradotto significa che piove sul bagnato. Purtroppo, la variante “kilowatt” sembra imperversare nel Paese; non c’è un vaccino che porti alla guarigione per questo. L’immunità di gregge, termine “bucolico” di arcadica memoria, stanne certa che arriverà solo con il raggiungimento della rassegnazione collettiva. E’ indubbio che l’Italia stia soffrendo oltremisura sulla pelle del popolo l’affezione per Covid. Certe decisioni politiche prese un giorno sì e l’altro pure, mettono i consumatori nelle condizioni di essere “cunsumati”. Intanto al suo capezzale, i soliti virologi le inventano tutte pur di rimanere sotto i riflettori. Sostengono che bisogna intervenire a tutti i costi. Già… a tutti i costi; di questo le case farmaceutiche ne sono consapevoli. Non si parla d’altro che di antinfiammatori e tachipirina; restando in vigile attesa si corre però il rischio di far morire il Paese, non credi!?? Allora non ci resta che aggrapparci alla speranza. Non vorrei sembrare di cattivo augurio, ma “Cu di spiranza campa, dispiratu mori”. A Natale, tre “Virostar” da salotto hanno messo da parte il camice bianco e si sono dati al canto. Visti i risultati, non sembra essere stata un buona idea. Dalle nostre parti, la loro esibizione è stata “salutata” con una deliziosa parodia. “…Ci ‘ncappai, ci ‘ncappai…’ah comu ci ‘ncappaiii….”; secondo il caratterista civitoto Melo Zuccaro, questo è il nuovo ritornello della nota canzone “Jingle Bells” adattata ai nostri tempi. Vedi cara bolletta, ormai tutto è diventato “virale”. Basta un “influencer” qualsiasi per ricordarci quanto “infettivi” siano anche i social. Tutti gli azzeccagarbugli politici sono all’opera per evitare possibili cortocircuiti. Vorrebbero intervenire per scongiurare una crisi del sistema. Loro sanno benissimo che tutti gli oneri aggiuntivi sono insopportabili. Una bella “potatura” ci vorrebbe. Carissima, “tu sta custànnu troppu assai”; ce ne devi dare atto. Da un anno a questa parte sei cresciuta a dismisura. Troppo. Ne sanno qualcosa i poveri imprenditori che pagano una grossa fetta della tua torta. Loro sono rimasti davvero in bolletta(scusami la citazione). Ormai non ci si esprime più in chili ma…in chilowat. Un peso enorme per le tasche dei contribuenti. Lo so, di fronte alla bilancia è tutto relativo. Come non dare ragione al grande Einstein? Avevi accanto un fisico perfetto, te ne sarai accorta, no!!? Vedi di non ingrassare più, ti prego, perché più ingrassi e più brutta diventi. Cara bolletta, adesso ti devo lasciare(si fa per dire), ma sappi che la tua crescita è parecchio contagiosa; forse più del Covid stesso. Tutto aumenta “a cascata”, è così che si finisce dritti in ospedale. Sappiamo benissimo che di questo passo arriveremo al punto di non poterti pagare più. In attesa di fonti alternative, vuol dire che ci affideremo nuovamente al lume a petrolio o, più romanticamente, alla luna. Nel lontano 1973 venne introdotta in Italia, la politica dell’austerità. Scaturì da congiunture internazionali che fecero schizzare molto in alto il “barile” dell’oro nero. Volarono petrodollari a non finire. Il vento li ha portati verso i paesi arabi. “Allà, non a quà” per dirla con un anziano signore alquanto “struruso”. Si fece, dunque, di necessità virtù. La domenica, tutti a piedi o in bicicletta. Fosse esistito il monopattino elettrico, sarebbe stato usato anche quello. Alcune famiglie ritrovarono il gusto della passeggiata in carrozzella. Quasi un ritorno al passato. Poi arrivarono le “targhe alterne” e tutto finì.
Pubblicato su La Sicilia del 20.01.2022
NUOVA CANDELORA ALLA CIVITA DI CATANIA
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- Creato Giovedì, 17 Febbraio 2022 00:09
- Pubblicato Giovedì, 17 Febbraio 2022 00:09
- Scritto da Santo Privitera
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Nel popoloso quartiere della Civita, è stata inaugurata una nuova candelora. La quattordicesima, che va ad aggiungersi a tutte le altre tradizionalmente conosciute. Purtroppo, per suo il “debutto” lungo il percorso dei giri, si dovranno attendere tempi migliori visto che anche quest’anno i festeggiamenti agatini non avranno luogo a seguito delle normative anti-covid. Nell’antica parrocchia San Francesco di Paola dove la candelora sosterà nel corso dell’anno, i preparativi si sono protratti per diversi giorni. Molto attiva l’associazione “Cereo Devoti di Sant’Agata” promotrice dell’iniziativa, composta oltre che dal presidente Emanuele Calì e dai due vice: Grazia Furnari e Agostino Zanti; anche da Anna Rita Scuderi (segretaria), Lucia Giuffrida(tesoriere), Giuseppe Scrivano( assistente ecclesiastico), Francesco Sapuppo(collaboratore tecnico), e dai consiglieri: Maurizio Spampinato, Rosario Aleo, Carmelo Caccamo, Gabriele Di Mauro e Melina Pappalardo. La locale parrocchia dedicata a San Francesco di Paola protettore dei marinai, da qualche anno a questa parte è diventata punto di riferimento essenziale per il quartiere. Merito del parroco don Giuseppe Scrivano, ma anche dei validi collaboratori che lo sostengono. Per la Civita, ricca di storia e cuore pulsante della devozione catanese verso la Santa Patrona, la Candelora nella sua essenza religiosa è un segno di autorevole partecipazione alla festa. Rispettate tutte le norme di sicurezza previste, dopo la Santa messa celebrata da don Scrivano alla presenza delle autorità cittadine, la “svelata” del grosso cereo barocco è stata salutata con una grande ovazione. “La pregiata opera realizzata dallo scultore Giovanni Sessa-spiega commosso il presidente Emanuele Calì che l’ha commissionata-nasce per una grazia ricevuta dal sottoscritto. “Un doveroso atto di devozione verso la nostra Santa Patrona nata proprio nel nostro quartiere”-lo definisce la devota Anna Rita Scuderi. Tre anni di intenso lavoro. Lo sforzo economico deve essere stato notevole. Il nuovo cereo è in stile barocco siciliano; i quattro ordini recanti scene del martirio e altre immagini sacre poggiano su una ricca base sorretta da quattro cherubini. Si slancia per un’altezza di circa 5 metri. Alla sommità, un serto floreale coronato da ex-voto. Il peso di oltre 700kg necessita la presenza di otto robusti portatori.
Nella foto, la nuova candelora e il comitato promotore
Pubblicato su La Sicilia del 6.02.2022