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PALAZZINA CINESE ALLA VILLA BELLINI DI CATANIA
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- Creato Sabato, 17 Settembre 2022 18:26
- Pubblicato Sabato, 17 Settembre 2022 18:26
- Scritto da Santo Privitera
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Fu una delle attrazioni estetiche della villa Bellini. Entrando dall’ingresso principale, un po' più decentrata, la sua sagoma lignea svettava austera al centro di un gruppo di alberi di grosso fusto che l’attorniava formandone un cerchio. A vederla sembrava sempre chiusa. Non ebbe molta fortuna questa struttura. Venne utilizzata come caffè concerto, prima; come biblioteca, dopo. Nel frattempo, però, durante la consueta attività, seguirono momenti di lunghe pause prima di ogni ripresa. Mancanza di idee? …Incuria dell’Amministrazione comunale? Cos’è che ha impedito a questa struttura una “occupazione” in pianta stabile? “I cosi di Catania” verrebbe da dire. E’ del Chiosco cinese che stiamo parlando. “Chiosco”, “Casina” “Palace” con qualsiasi nome venne appellata dai tecnici, per il catanesi fu sempre la “Palazzina cinese”. Finì divorata dalle fiamme nel 2001. I motivi restano ignoti come ignoti e impuniti i loro autori. Un danno per la città, ma anche per la sua storia. Uno dei tanti. La città sembra abituata a queste nefandezze, ma non rassegnata. Consolarsi col motto “Melior de cinere surgo”(risorgo sempre migliore dalla cenere), non basta. Occorre la volontà oltre che corposi finanziamenti. Nel nostro caso, siamo ancora nella cenere: lontani da una “resurrezione” che non si intravede neanche da lontano. Nel 2011 venne lanciato un bando per la ricostruzione. Prevedeva una soluzione “ipogea” piuttosto avveniristica. Il vincitore non ebbe la soddisfazione di vedere realizzato il proprio progetto. La Palazzina cinese fu un punto di ristoro tipico dei giardini ottocenteschi ricchi di piante esotiche e di attrazioni varie. Può non significare niente per le nuove generazioni, ma per quelle passate significa eccome. Il giardino Bellini fu progettato “ a misura d’Uomo. Per la gioia delle famiglie e dei bambini in particolare, fino agli anni ’80 fu popolato da molte specie di animali. Un vero e proprio zoo in miniatura. Senza parlare delle anatre e dei cigni della vasca centrale; una grande voliera accoglieva diverse varietà di uccelli. Tra questi, pappagalli esotici dai colori variopinti. Vi erano pure quattro grandi pavoni, ma anche alcune scimmie. La più famosa era “Ginu”. Benchè di sesso femminile, chissà per quale motivo le venne imposto questo nome maschile. Forse perché somigliante a un tale imprecisato “Gino”. Lo sguardo di questa scimmietta era quasi “umano”. Un po' sgraziata ma simpatica. A Catania, quando si vuole sottolineare la bruttezza di qualcuno, vale il detto: “Pari cchiù lariu di Ginu ‘da villa”. Fino al 1967 ci fu anche l’elefantessa Tony, donata dal circo Togni. Purtroppo morì alcuni anni dopo perché non riuscì ad adattarsi. Lo stesso era successo sul finire del secolo scorso a Menelik, il pachiderma donato dall’imperatore etiope Menelik II all’allora Re d’Italia. Era il 1889. In questo contesto, il chiosco cinese fu una presenza necessaria all’interno del giardino Bellini. La sua forma “circolare” sormontata da un tetto a “pagoda” non passava inosservata. “(…) Ncentru cc’è ncioscu di lingna cinisi/”-scriveva il poeta dialettale Ciccio Spampinato-“ccu ddà dintra na granni libreria/ di summi artista e llitri d’oru misi…/ E’ visitata d’un mari di genti/ pirchì ddà intra tuttu è puisia/ ca fa di scola e illumina la menti!” ( La chiazza unni cc’è la biblioteca). “Si ergeva sulla collinetta del “Salvatore”, cosiddetta perché nell’ottica dell’allargamento verso nord del giardino Bellini, gli orti che vennero espropriati erano conosciuti proprio come “orti del Salvatore”. Una bella costruzione di gusto Liberty ligneo, essenziale nelle forme, unica nel suo genere; realizzata nel 1869 su progetto dell’architetto Filadelfo Fichera. Fu convinzione comune però che si fosse trattato invece di un dono dell’Imperatore cinese; da qui l’intitolazione. Non sappiamo quanto di vero ci fosse in tutto questo. Durante il ventennio fascista, la “palazzina” visse il suo massimo splendore. Il caffè concerto accoglieva raduni e manifestazioni patriottiche di rilievo. Fu sede di ritrovo delle milizie e spesso di importanti incontri politici riservati. Accolse concerti per musica da salotto. Durante il suo utilizzo come biblioteca, venne frequentata da diversi autorevoli studiosi di storia patria catanese: Saverio Fiducia, Guglielmo Policastro, Enzo Maganuco e Carmelina Naselli furono tra questi. La mancanza di manutenzione e poi la guerra lo resero in condizioni precarie; alcune parti cominciarono a cedere e i cornicioni caddero a pezzi. Sul finire degli anni ’40 perciò si procedette a un radicale restauro. La biblioteca venne impiantata nel 1950; durò fino ai primi anni settanta, poi venne allocata altrove. E i locali fecero bella mostra di sé fino allo scellerato epilogo.
Pubblicato su La Sicilia del 12.09.2022
LA DIVINA COMMEDIA TRADOTTA IN SICILIANO
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- Creato Martedì, 21 Settembre 2021 08:12
- Pubblicato Martedì, 21 Settembre 2021 08:12
- Scritto da Santo Privitera
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A settecento anni dalla sua scomparsa, in tutta la Sicilia si è celebrato Dante Alighieri. Anche a Catania non sono mancate le iniziative organizzate dall’università, dal comune oltre che da associazioni culturali e teatrali. Eventi che hanno evidenziato ancora di più quanto Dante abbia amato “La bella Trinacria, che caliga/ tra Pachino e Peloro sopra l’golfo/ che riceve da Euro maggior briga”( Paradiso, canto VIII). Non è certo che egli abbia mai visitato l’isola, ma il suo rapporto con la Sicilia è stato particolare; considerava la “scuola siciliana federiciana” alle origini della nostra lingua e letteratura. Lo attestano insigni storici, filosofi e letterati siciliani che hanno molto lavorato sulle figure e le opere più importanti del Sommo Poeta. Nel 1864, lo studioso catanese Mario Musumeci esaminò per la prima volta il problema della conoscenza dantesca in la Sicilia, mentre l’anno successivo, con la pubblicazione del saggio “Dante e la Sicilia”, fu l’acese Leonardo Leonardo Vigo( 1799-1879), Demopsicologo e famoso raccoglitore di canti popolari siciliani, a inaugurare una stagione particolarmente fitta di pubblicazioni su questi temi. Un aspetto particolare del culto dantesco in Sicilia è costituito dalle traduzioni dialettali della “Divina Commedia”. Poeti dotti ma anche illetterati hanno concorso in questa pratica. Quello delle traduzioni è sempre stato per i poeti dialettali un vero e proprio esercizio linguistico di scrittura che ha consegnato alla letteratura veri capolavori, molti dei quali rimasti manoscritti. Un vero tesoro culturale sparso tra biblioteche pubbliche e private, destinato purtroppo a essere fruito solo dagli interessati. A tal proposito, nei giorni scorsi è stato rinvenuto nella biblioteca privata del compianto Sicilianista prof.Salvatore Camilleri, scomparso lo scorso marzo quasi centenario, un manoscritto relativo alla traduzione integrale dell’ Eneide di Virgilio. Oltre ai tanti tentativi rimasti incompiuti e alle varie traduzioni parziali fra cui quella del Salomone Marino del 1873 e di Giovanbattista Grassi del 1934, vanta almeno otto traduzioni complete questo grande poema allegorico-didascalico. La prima sarebbe stata realizzata nel sec. XVII in dialetto messinese dal matematico e poeta dell’ordine di San Francesco di Paola, fra Paolo Principato. Quella dell’ex soldato garibaldino Tommaso Cannizzaro, pubblicata a Messina nel 1904, è stata definita dalla critica la più completa. Traduzioni che successivamente avrebbero visto la luce con una certa frequenza. Sono quelle dell’Alcamese Vincenzo Mirabella Corrado, datata 1915, rimasta inedita a seguito della morte dell’autore; del misilmerese Filippo Guastella( fratello del filosofo Cosmo Guastella)uscita nel 1923; di Giovanni Girgenti, di Bagheria, pubblicata nel 1954. Inedita resta pure la traduzione del messinese Alberto La Maestra. Al 1966 risale invece quella del padre domenicano Domenico Canalella da Mussomeli, pubblicata a tiratura limitata in quanto stampata in ciclostile. Quella in dialetto tipicamente catanese, appartiene a Santo Bellia. “In vidiri ,Virgiliu, lu me scantu/ quannu iù arreri li visti turnari,/ lu sò frastornu lu misi di cantu/ pri non mi fari di cchiù scantari./ Si misi ad ascutari mutu e attentu,/ ca pri la fitta negghia vidìa ‘a stentu (…)(Inferno, canto IX) Il poeta belpassese ma catanese di adozione, dopo avere parzialmente pubblicato l’opera nel periodico “Arte e Folklore di Sicilia” del poeta e commediografo Alfredo Danese, l’avrebbe poi data definitivamente alle stampe nel 1978. Le ultime traduzioni sono quelle della poetessa messinese Rosa Gazzarra Siciliano(1986) e di Franco Rosario Corsaro. Ma la traduzione della Divina Commedia come questi studiosi ce l’hanno consegnata, nel dialetto siciliano ha avuto pure risvolti parodici. Ne è prova “La Divina Commedia di Don Procopio Ballaccheri” di Nino Martoglio, pubblicata a puntate sul “D’Artagnan” tra il 1899 e 1900. La traduzione in siciliano maccheronico dei primi 22 canti dell’inferno (l’ultimo incompleto) è fortemente rimaneggiata. Di ambientazione catanese, narra del viaggio di D.Procopio Ballaccheri, ovvero dello stesso Martoglio, compiuto nella sua realtà “infernale” quotidiana. Punto di riferimento, l’inseparabile civitota Cicca Stonchiti nelle vesti di Beatrice, e del poeta Giacomo Patti ( detto ‘u merru) in quelle di Virgilio. Dopo avere attraversato l’Acheronte-Amenano, D. Procopio Ballaccheri incontra personaggi come il pro-sindaco e deputato Giuseppe De Felice, il Cardinale Francia Nava, il poeta Mario Rapisardi e molti altri del suo tempo.
Nella foto, Dante Alighieri nella allegoria della sua Divina Commedia
Pubblicato su La Sicilia del 19.09.'21
"Dalla Chirurgia alla Poesia" Silloge di Carmelo Filogamo
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- Creato Venerdì, 06 Agosto 2021 10:30
- Pubblicato Venerdì, 06 Agosto 2021 10:30
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E’ Stato presentato all’oratorio San Filippo Neri di v. Teatro Greco, la silloge di Carmelo Filogamo “Dalla chirurgia alla poesia”. Titolo emblematico se consideriamo che l’autore è un apprezzato chirurgo oggi in pensione. Relatore, il dott. Santo Privitera che ha prefato l’opera. In questa raccolta di poesie quasi tutte in dialetto siciliano, singolare prodotto artigianale realizzato dai coniugi Turi e Anna Spata, c’è il racconto professionale e l’esperienza di un uomo che ha speso gran parte della sua vita a servizio degli ammalati. Filogamo ha condensato le proprie riflessioni spaziando dalla religione alla filosofia; dai modi di dire alle principali feste dell’anno. I “siparietti” tra medico e pazienti capitati all’interno degli ambulatori o nei reparti ospedalieri, sono stati raccontati con sapida ironia. Non senza trascurare una dedica ai familiari, un pensiero lo ha riservato anche per i “Mutticeddi” che sono stati per un lungo tratto di vita “compagni di strada”. L’uso del verso libero e della rima baciata che caratterizzano molte delle liriche raccolte, indipendentemente da tecnicismi stilistici, rivelano una notevole profondità di pensiero. Ma che c’azzecca la chirurgia con la poesia, due mondi antitetici e apparentemente inconciliabili che hanno in comune solo la rima? “Ho cominciato a scrivere poesie-spiega l’autore-frequentando il centro culturale Paternò-Tedeschi; comporre in versi mi è venuto così spontaneo.” Il relatore, dal canto suo, facendo riferimento a due componimenti giovanili di Filogamo, ha sottolineato come “il percorso poetico giunga a maturazione solo quando vi è una effettiva predisposizione”. Nel corso della serata, nel pieno rispetto delle normative anti-covid, si è pure svolto uno spettacolo condotto dall’attore Gianni Sineri. Vi hanno preso parte, oltre al gruppo musico teatrale “I Colapisci”, il cabarettista Pippo Barone e il musicista Pippo Grillo. Numerosi sono stati gli interventi di amici ed ex collaboratori che hanno manifestato stima a affetto nei confronti dell’autore. La recita delle liriche è stata affidata al Sicilianista Orazio Costorella.
Nella foto, da sin.Carmelo Filogamo e Santo Privitera