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IL FEMMINICIDIO NEL MELODRAMMA

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Ha avuto luogo al Centro culturale V. Paterno’-Tedeschi la conferenza “Il Femminicidio nel Melodramma”. Relatore, lo scrittore e giornalista Gaetano Marino. Nel corso dell’incontro, la maestra d’arte Francesca Privitera ha esposto un dipinto“Olio su tela” raffigurante una scarpa femminile di colore rosso, "relizzato"-ha precisato l'artista- "ancora prima che la calzatura divenisse il simbolo del femminicidio". Dopo l’intervento introduttivo del presidente Santo Privitera, che ha lamentato le carenze legislative ancora “Troppo morbide” rispetto a un fenomeno che occorre prevenire, Gaetano Marino ha iniziato il suo excursus storico sul triste fenomeno purtroppo attuale del femminicidio “La violenza di genere”-ha esordito-“presenta tante sfaccettature: la prima riguarda la atavica supremazia che l’uomo pretende di avere sulla donna.” L’oratore ha riportato dati e fatti di cronaca riferiti a efferati delitti cosiddetti "passionali". Per dimostrare quanto il Femminicidio sia stato ricorrente nei secoli, Marino ha fatto ricorso ai melodrammi ispirati alla violenza sulle donne. Tra questi, la “Francesca da Rimini” di R. Zandonai che narra l’uccisione di Paolo e Francesca avvenuto per mano del marito di Lei. I due amanti-è stato sottolineatodivennero i protagonisti di un celebre canto dell’inferno nella “Divina Commedia” di Dante. Di seguito sono state illustrate e commentate famose opere liriche come L’ “Otello” di G.Verdi, tratto da una tragedia di Shakespeare; “I Pagliacci” di R. Leoncavallo; “Carmen” di G. Bizet. Opere di grande successo in cui le donne protagoniste vengono soppresse dai loro uomini tutti accecati dalla gelosia. Marino ha poi concluso invertendo i ruoli delle vittime. Una sorta di “Riscatto”, dove a perire non è stavolta la donna per mano dell’uomo ma viceversa. Nell’opera “Tosca” di Puccini, la protagonista uccide l’uomo che la ricattava. Recentemente, il regista Leo Muscato ha sovvertito l’opera “Carmen” con un finale “ a sorpresa “ inventato di sana pianta. Nell’oratorio “La Betulia liberata” di Mozart, è invece la Giuditta che con uno stratagemma riesce ad uccidere il terribile generale Assiro, Oloferne.

Nella foto piccola di Gianni De Gregorio, il relatore.

FAUSTO COPPI A CENTO ANNI DALLA NASCITA

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Ricorrendo il centenario dalla nascita, il Centro culturale V.Paterno’-Tedeschi ha voluto rendere omaggio a una grande figura del ciclismo mondiale: Fausto Coppi( Castellania 1919-Tortona 1960). Lo ha fatto con la conferenza “Fausto Coppi, la leggenda”, proposta dal collezionista Nunzio Barbagallo. Coppi segnò un’epoca nel ciclismo mondiale. Non solo, ma la sua storia umana e sportiva fu al centro della grande attenzione mediatica che già a quel tempo, oltre alle vicende di cronaca, puntava i suoi riflettori sulla vita privata dei vari protagonisti. Basti pensare all’amore adultero dell’indimenticabile campione con Giulia Occhini, la “Dama bianca” che tanto scandalo suscitò nell’opinione pubblica e fra i suoi stessi tifosi. Formidabile passista, eccezionale scalatore, Fausto Coppi si rivelò un velocista imbattibile in ogni tipo di competizione su strada. Vinse di tutto: Dal Giro d’Italia(5) al Tour de France(2); dai campionati italiani su strada(4) alla Milano-Sanremo(3). Fu campione del mondo su strada e recordman su pista. Tanto per citare alcuni dei suoi tantissimi successi. Anche la sua tragica prematura scomparsa causata dalla “malaria” contratta in Kenya durante una battuta di caccia, fu oggetto di sospetti e misteri ancora non del tutto chiariti. Nota fu la leggendaria rivalità che lo oppose a Gino Bartali altro gigante delle due ruote. Barbagallo, dopo un breve intervento di presentazione ha proposto alla numerosa platea presente in sala, un raro lungometraggio realizzato nel 1998 dal regista francese Jean Cristophe Rose’. L’eccezionale documento tratto dagli archivi luce, attraverso le imprese del campione piemontese, testimonia con dovizia di particolari un segmento importante della travagliata storia italiana del ventennio 1939-1959.

Nella foto, il relatore

Pubblicato su La Sicilia del 12 Novembre 2019

 

LA FESTA DEI "MORTI"

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Partiva tutto dal negozio della Impellizzeri, a Barriera. Era un negozio di giocattoli molto fornito nel quartiere. Lo chiamavamo ‘u negozio du “ bucareddu”, perché questo era il pecco attribuito al titolare. La moglie, invece, era conosciuta come ‘ a Signora du “Viulinu”; non perché suonasse questo strumento ma perché era talmente buona che alla gente povera la merce la faceva pagare ‘a viulinu; cioè a rate. Ai suoi tempi, dovette essere una bella donna; si vedeva dalla finezza del viso e dalla sua prestanza fisica. Il marito, invece, la bontà la mostrava dal viso e dalla sua gestualità simile a quella di un moderno cicisbeo. Così il cliente si sentiva a suo agio. Conducevo per mano mio padre in questo negozio, nel tentativo sempre riuscito di per farmi comprare l’occorrente per affrontare le battaglia dei “Morti”. Stella da sceriffo e cappello da cowboy; pistola , fucile e relative munizioni. Ogni anno erano armi sempre più sofisticate. È inutile dire che fui sempre a passo coi tempi. E così nel mio “arsenale” raccolsi pistole come “Susanna” (12 colpi), “Cobra”( 8 colpi), “Lanciarazzi”, fino all’innocua “Jugomatic” . Tra i fucili collezionati, oltre al “Bengala” della foto, ebbi il “Marines”( 40 colpi a ripetizione) “Winchester” e il temibile fucile ad aria compressa. Due scatole di cento gommini variamente colorati costavano duecento lire. Bastavano per una giornata di battaglia. I caps erano a parte. Una scatola costava cinquanta lire. Ne occorrevano almeno quattro. Fungevano da detonatore per far partire i proiettili di gomma che noi comunemente chiamavamo “gummetti”. La notte tra il l’1 e il 2 di novembre non si dormiva. Al mattino, i primi botti annunciavano l’inizio della battaglia. Una volta giunti sul campo, ci contavamo. In gruppo andavamo ad affrontare quelli delle altre vie. Per le strade non si udivano altro che continui spari. Si correva all’inseguimento dei “Nemici” zigzagando tra le auto. Nel pomeriggio, sapendo che sarebbero venuti i “Cannalicchioti” ben più attrezzati e agguerriti di noi ad affrontarci, si stipulava l’alleanza con i nemici contro cui si era combattuto la mattina. Ne andava dell’onore della Barriera. Stessa sinfonia. Le sparatorie erano secche e intense. Duravano il tempo di consumare le prime munizioni. Dopo il caricamento si ricominciava da dietro i muretti. La nostra base, ricordo, era ‘nto giardinu ‘i Marino, un piccolo appezzamento di terreno( oggi urbanizzato) che si estendeva a Nord dell’odierna V. Francesco Guglielmino. I ragazzi della Barriera Nord si riunivano invece alla Bbiviratura. I Condottieri della memoria? Ne cito solo uno: Carletto Bianchi. Mingherlino, scuro di carnagione, capelli al vento da guerrigliero. Aveva una straordinaria capacità di aggregazione. Un vero leader. Combatteva a testa bassa ed era sempre il primo a partire. Non guardava pericoli. Lottava “corpo a corpo” senza paura anche contro ragazzi più grandi e il doppio di lui. Difficilmente le prendeva. Era della mia stessa età ma al suo fianco mi sentivo al sicuro. Ebbimo sempre un buon rapporto anche se qualche screzio, a dire il vero, capito’ lo stesso. Carletto, finita l’epoca delle battaglie, si trasferì nel Nord Italia e di lui si perse ogni traccia. Alla fine della giornata, solo qualche livido dovuto ai proiettili di gomma che ti avevano colpito in qualche parte del corpo. Andava peggio a chi il gommino lo aveva ricevuto nell’occhio. Nel reparto oculistico degli ospedali ci finirono in molti. I primi anni ‘70 dello scorso secolo furono gli ultimi per gli amanti di questa tradizione. I più grandi non si rassegnavano a lasciarla. Faceva un certo effetto vedere certi “Pagghiola” inseguire i bambini con le pistole al seguito. L’uscita dei potenti fucili ad aria compressa e pistole lanciarazzi, consiglio’ alle autorità maggiori controlli. Si moltiplicarono i ferimenti anche gravi. Qualcuno fece pure uso di bombe carta assai pericolose. La forza pubblica perciò fu costretta a mettere fine al gioco.

UN GIOCATTOLO DI 50 ANNI FA

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Vi ricordate il fucile “Bengala”? Era a 10 colpi. Questo esemplare ha 50 anni. Era il mio quando giocavamo a fare le battaglie per le vie di Barriera del Bosco. Molti amici condivisero con me epiche battaglie a difesa di qualcosa che neanche noi conoscevamo. Meravigliosa fanciullezza. Adesso però mi è tutto chiaro. Difendevamo inconsciamente la nostra splendida condizione di spensieratezza dagli attacchi del tempo. 

BUFALE CATANESI

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A Catania si ironizza su tutto e  tutti anche nei momenti più drammatici. La battuta sempre pronta, “Non c’è ‘ n funerali unni non s’arriri; non c’e ‘n fistinu unni non si cianci”, questo proverbio rende bene l’idea. La battuta sempre pronta,   mordace, corrosiva è tipica del catanese. “Egli  è maestro nell’arte del prendere in giro il prossimo, e quando gli capita non si fa alcuno scrupolo” diceva il l’indimenticabile storico Santi Correnti del quale quest’anno ricorre il decennale dalla scomparsa.  E nella città  che  il medico/giornalista messinese Gaetano Baldacci negli anni ’30 dello scorso secolo aveva definito “la città del Motteggio”, non potevano certo mancare le “Bufale” da imbastire ad hoc.. Oggi i social, a furia di spararne tante, ci stanno abituando ad essere più cauti nel vagliare le notizie. Una volta bastava un sussurro per scatenare il finimondo. E proprio intorno alla metà del  XVI sec. l'infausto evento e' stato annunciato a Catania. Secondo la profezia,  sarebbe dovuto accadere  il 5 febbraio. Proprio nel giorno della festa di  Sant’Agata. Nessuno sospetto’ che potesse trattarsi di una “voce” messa in giro dai clericali per indurre il popolo a “mondarsi” dei propri peccati. Cominciarono le processioni. I fedeli più oltranzisti pensarono a cosa offrire alla chiesa. Si raccolsero oboli anche consistenti. Altri, non potendo fare di più, aggiunsero l’offerta di un  digiuno al…digiuno. Ma non fu tutto. Il Vescovo di allora, a giorni alterni pronunziava dal campanile del Duomo un Sermone e ordinava preghiere. Ci si affidava a Sant’Agata per un miracolo a cui i più scettici non credettero. E invece, nel giorno fissato il miracolo arrivò. Al posto del cataclisma si affacciò un sole stupendo mai visto a febbraio.  Un anonimo poeta del popolo ebbe a pronunziare una massima liberatoria: “Curriti amici, Curriti parenti, ma appoi ppi futtuna non successi nenti”.  La Catania del ‘ 700 ci consegna un’altra famosa “balla” poi convertita in leggenda: quella del “Cavallo senza testa”. Sarebbe  stata opera dei nobili questa  “sparata” poco…nobile.   Dalle  parti di Via dei Crociferi, per non essere disturbati durante  i loro  intrallazzi, avrebbero messo in giro la storia secondo la quale un terribile  equino acefalo, al calar della sera uccideva e mutilava chiunque incontrasse per la sua strada. In quella occasione-racconta ancora la leggenda- ci scappò il morto, ma solo per circostanze del tutto fortuite. “Stai  attentu ‘a Matri, non trasiri mai a Catania vecchia picchi’ ‘na vota si pessi u maestru ccu tutti i scolari”, era l’avvertimento accorato che facevano le mamme ai loro bambini incuriositi da quel misterioso rudere con tanti cunicoli posto al centro di una delle piazze più importanti della città. Chi mise in giro questa storia, probabilmente lo fece  per evitare che i ragazzini vi scorrazzassero dentro per gioco. Fu presa sul serio. Ancora oggi  c’è  chi ci crede davvero. La storia dei terremoti ha messo varie volte  in ambasce i cittadini catanesi. Come avvenne nel giugno dei primi anni ’70. La voce di un tremendo terremoto di molto superiore a quello che distrusse Catania nel 1693, da sussurro diventò un tornado. Fu uno scienziato a seminare lo scompiglio. Sì alzo una mattina avvertendo i colleghi che intorno alla  mezzanotte di quel tale giorno, secondo i suoi calcoli,  Catania  sarebbe stata inghiottita da un sisma devastante. E i catanesi così trascorsero la prima notte “Bianca” della loro storia. Niente visite ai musei, solo le piazze vennero prese d’assalto.  Intere famiglie a dormire in macchina lontano da cornicioni e palazzi. Anche quella notte, oltre al disagio  non successe nient’altro. “Cu fu stu scinziatu; ‘u vulemu sapiri! “ La richiesta fu unanime ma per sua fortuna non ebbe  seguito. Le direttive nazionali  antisismiche emanate nel tempo, per quanto legittime e opportune,  hanno generato forti malcontenti. La decisione di abbattere i ponti urbani non trovò tutti d’accordo. Il primo cavalcavia a farne le spese fu  quello  di Ognina. Si pensò subito che presto sarebbe toccato a quello del Tondo Gioeni. E fu così che nel 2002 ignoti  lo fecero “Crollare”. Si trattò di una diabolica trovata “Moderna e contemporanea” . La notizia in pochissimo tempo, correndo di bocca in bocca, getto’ nello sconforto  la città. Ognuno si sbizzarrì con la fantasia, snocciolando numeri di morti e macchine sepolte sotto le macerie. Chi poteva verificare di persona non lo fece per paura di rimanere impressionato di fronte all’immane tragedia. La smentita procurò un senso di grande sollievo misto a ironia. Ma il destino di questo cavalcavia era già segnato;  stavolta per mano dell’uomo.  E per gli automobilisti fu una vera tragedia. 

 

Pubblicato su La Sicilia del 20 Ottobre 2019

 

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