Moda Costume e Società
LA FONTANA DEL TONDO GIOENI
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- Creato Domenica, 26 Agosto 2018 20:58
- Pubblicato Domenica, 26 Agosto 2018 20:58
- Scritto da Santo Privitera
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A lu peggiu non c’è fini/siddu parramu de ru’ lavandini!!!. Ancora sulla fontana del Tondo Gioeni!!?? Ma è diventato un vero e proprio tormentone! Come se non bastassero le “miracolose” abluzioni per la crescita dei capelli e le “nuotate” dei bambini con tanto di pinne e salvagente, ora entrano in scena anche loro: I poeti. Così accadde nel lontano ‘800 con la fontana fatta costruire a piazza Stesicoro per imbrigliare le acque del Mulino dei Manganelli ubicato nella vicina via delle fosse(oggi di Sant’Euplio). E lu populu cuntrasta siddu è funtana o scolapasta ebbe a ironizzare in quella occasione il poeta dialettale Ardizzone. Quella fontana tanto invisa ai catanesi venne poi demolita per fare posto al monumento a Vincenzo Bellini, pregiata opera dello scultore Giulio Monteverde. Da allora, quanta acqua è passata sotto i ponti! Lunga vita alla Fontana fortemente voluta dall’amministrazione Bianco che, ahimè, sembra però essere scivolata proprio su quelle straripanti acque dopo l’abbattimento del rimpianto cavalcavia. Anche qui il poeta c’ha messo lo zampino pontificando: A Lu Giueni lu ponti abbatteru e i citadini s’ammalignaru/Non c’è chiù versu di tunnàri arreri/cummeni megghiu transitari a peri!(…). Quando si dice la liscia. Le amministrazioni catanesi nell’arco dei secoli sono stati i primi a ispirare, sia pure involontariamente, i poeti satirici. Lo hanno fatto attraverso provvedimenti edilizi e non solo, spesso discutibili; in molti casi difficili da mandare giù. . Ne hanno per così dire stuzzicato la vena. La storia parte da lontano. Subito dopo il terremoto del 1693, il duca di Camastra redattore del primo piano regolatore, per dare maggiore respiro alla città tracciò strade più larghe. Fu costretto quindi ad abbattere quei pochi edifici rimasti in piedi. Alla domanda Cu distruggiu Catania?, la risposta fu solo una: Parti Diu, parti Camastra. Da qui il famoso detto. Alludendo all’abusivismo che a Catania e provincia non è mai mancato, nei primi decenni del ‘900 il poeta che si celava sotto lo pseudonimo di Mauro, osservava: Spuntan case come funghi/tra la lava tutta nera,/e Catania par si allunghi/ notte e giorno, mane e sera./ Mentre i fatti di cronaca nera trovavano spazio tra i cantastorie, quelli relativi alle complicate vicende dei monumenti cittadini trovavano spazio invece nei tanti giornali satirici nati tra i secoli XIX e XX. Protagonisti poeti, scrittori giornalisti e semplici cittadini. La vicenda del monumento a Garibaldi fu parecchio complicata. Il dibattito si fece serrato e senza esclusione di colpi. Duro’ ben 10 anni la contumelia: dal 1910 al 1920. Si trattò di dare una collocazione alla statua dell’eroe dei due mondi. Il monumento fu malvisto non soltanto per motivi politici ma anche per ragioni estetiche. Ciascuno “ci rattò” con poca riverenza: “Panzuni” e “Pupazzu di bronzu” furono due epiteti da considerare perfino benevoli. Prima di approdare definitivamente alla confluenza tra le vie Etnea e Caronda dove a farne le spese fu l’artistica edicola Pettinato, era stata proposta per Piazza Mazzini prima e per piazza Manganelli dopo. Nulla di ciò. I cittadini protestarono vivacemente perché ritennero la statua un vero e proprio “Obbrobrio ”. Alla fine venne deciso di collocarla a Piazza Cutelli. Per tale motivo venne abbattuta l’artistica colonna in marmo dal possente basamento. Un vero peccato. Apriti cielo! I civitoti alzarono subito le barricate. Un anonimo mise mano alla penna: (…) Progetti ce ne sono in quantità/ ma fino ad oggi, questo solo è certo/ non s’è innalzato e non s’innalzerà./ Fine della corsa. Dal Tempio al Borrello, dal Martoglio a Cicciu Buccheri Boley Catania sembra essere stata baciata dalle Muse. Chi per un verso chi per l’altro, in modo del tutto naturale finì per convertire la propria rabbia in raffinata letteratura. Il dialetto era un modo efficacissimo per colpire meglio il bersaglio. Molti poeti popolari dediti ai mestieri più umili, non sapendo ne leggere né scrivere non lasciarono purtroppo nulla della loro produzione. Più che la fama vi lassu ‘a me fami disse un vecchio carrettiere soprannominato “Minniali” alla pletora di ragazzini che lo attorniava durante le sue improvvisate esternazioni poetiche. Ultima annotazione. Abbattuto il Cavalcavia del Tondo Gioeni(La lingua batte dove il dente duole), il “Nuovo che avanza” sta tutto nella tanto discussa Fontana del Mirone. Essa si staglia come quinta scenografica al termine della Via Etnea, quasi a colmare un vuoto estetico nell’area. A sporcarne l’immagine concorre però la dissennata palificazione tutt’oggi esistente. Uno di questi pali, posto al centro, sembra “Spaccare” il monumento a metà. Possibile che nessuno dei tecnici preposti alla sua progettazione non ne abbia considerato il pessimo effetto!!? E qui ci soccorre ancora una volta il poeta: Li pali di la luci ca ci su/ ni fanu minnitta di la vista sò/ e ‘i citadini ancora siddiati/ s’addumannunu cu foru sti scinziati!”
Pubblicato su La Sicilia del 19.08.'18
AMARCORD 2002: RICORDO DEL RADUNO ALPINO A CATANIA
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- Creato Sabato, 19 Maggio 2018 05:15
- Pubblicato Sabato, 19 Maggio 2018 05:15
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Domani, Domenica 20 maggio alle ore 10.00 al Castello Leucatia(v.Leucatia 68-Catania), organizzata dal Centro culturale "V.Paterno'-Tedeschi" in collaborazione con la biblioteca Rosario Livatino, si svolgerà la conferenza "MAGGIO 2002: RICORDO DEL RADUNO ALPINO A CATANIA". Relatore, il collezionista e videoamatore Nunzio Barbagallo.
La conferenza consiste in una proiezione video debitamente commentata, relativa al raduno degli alpini svoltosi a Catania nel 2002. Un vero e proprio evento che richiamò nella città etnea migliaia di alpini. I riflessi turistici furono notevoli, e Catania balzò agli onori della cronaca per le sue bellezze architettoniche e naturalistiche. L’oratore avendo seguito lo svolgersi della manifestazioni, ne ha filmato i momenti più suggestivi, sicuramente degni di essere ricordati.
INVENZIONI: APPARATO PER LA RACCOLTA ED IL RICICLO DELLA CERA PRODOTTA DAI CERI VOTIVI
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- Creato Mercoledì, 31 Gennaio 2018 15:06
- Pubblicato Mercoledì, 31 Gennaio 2018 15:06
- Scritto da Santo Privitera
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Se non è un novello Archimede, poco ci manca. Riesce a trasformare materiale da riciclo in vere “opere d’arte”. Non a caso i suoi presepi in miniatura costruiti con frutta essiccata, all’interno di bottiglie e quant’altro sono stati esportati in buona parte d’Europa e perfino in Australia. Di brevetti ne ha già depositati tre e ne promette altri per l’immediato futuro. Carmelo Geraci(Milicchia per gli amici), tecnico informatico nella succursale dell’istituto scientifico Galileo Galilei di Catania, sessant’anni a febbraio, inventore per passione, adesso giura di avere risolto una volta per tutte i problemi causati dai ceri votivi portati in processione lungo le strade durante le feste Patronali. La festa di Sant’Agata non fa eccezione. Finora la scolatura della cera nelle strade è stata un’autentica spina nel fianco tanto per i devoti costretti a fare i conti con le ordinanze sindacali(mai rispettate) che vietano espressamente l’accensione in pubblico dei torcioni, tanto per la stessa amministrazione comunale che prima e dopo i festeggiamenti è costretta a dispiegare in forze il proprio personale addetto per rimuovere l’insidiosa patina che si forma sul manto stradale. Senza parlare della paralisi del traffico come diretta conseguenza. In passato, purtroppo, ai tamponamenti a catena e agli scivoloni dei mezzi a due ruote si sono aggiunti gli incidenti mortali. Finora accorgimenti come lo spargimento della segatura lungo tutto il tracciato e l’istituzione dei punti di raccolta si sono rivelati palliativi utili sì ma che non sono serviti a risolvere un problema che investendo una consistente comunità devozionale rispettosa delle tradizioni, si trascina da sempre. Ben vengano le proposte valide da qualunque parti esse provengano. “Una simile invenzione ”-ammette Geraci che nei suoi ingegnosi lavori ha coinvolto tutta la sua famiglia(moglie e due figli appena adolescenti)-“venne presentata in Germania nel 1932 ma fu subito scartata perché mancante dei requisiti tecnici specifici necessari che nella mia invece, essendo stati accertati, sono stati pienamente accolti dall’ufficio Brevetti e Marchi del Ministero dello Sviluppo Economico”;
-In che cosa consiste questa sua invenzione:
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PROMESSE E....MACCARRUNI
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- Creato Venerdì, 01 Dicembre 2017 23:00
- Pubblicato Venerdì, 01 Dicembre 2017 23:00
- Scritto da Santo Privitera
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I chiacchiri su chiacchiri, ma i maccarruni incunu a panza!, quante volte abbiamo sentito questo proverbio allorquando, dopo promesse e promesse, tutto è rimasto tale e quale. Con le chiacchiere si può arrivare in cima alla luna; ma alla fine sono loro, i maccheroni, quelli che saziano. Benedetta gastronomia! Se la promessa è pane quotidiano, figuriamoci quello che avviene sotto campagna elettorale. Per molti politici è una vera fortuna quando i cittadini Mangiunu pani scuddatu; quando, cioè, dimenticano o sono disposti a dimenticare le tante promesse non mantenute. Fila tutto liscio come l’olio quando la si dà facilmente a bere agli elettori. L’accostamento all’arte culinaria di solito si riferisce ai fornelli, ma diventa letteratura quando oltre alle ricette trova largo impiego nel linguaggio comune di tutti i giorni. L’arte culinaria, già: la stessa che un noto personaggio politico catanese scambiò per una brutta parola. Detti e proverbi nascono dalle belle o dalle cattive esperienze. Presa in giro compresa(evito la variante).‘Mbari, finammenti stanu facennu ‘u ponti ‘nto strittu ‘i missina; risposta: ‘Mbari, ‘mu visti stu fimmi!!! A proposito di ponte: Fa ancora discutere l’abbattimento
VERSO L'AUTUNNO
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- Creato Domenica, 24 Settembre 2017 14:28
- Pubblicato Domenica, 24 Settembre 2017 14:28
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Canciau ‘u tempu. Si è vero: e’ cambiato il tempo. L’espressione tutta catanese, in questo caso sottintende problematiche che riguardano la salute. Col cambiamento delle stagioni, cambiano gli umori e affiorano i malanni. Forse è l’autunno ca ce mantiene sta malincunia scriveva il poeta napoletano Libero Bovio(Napoli 1883-1942) nella sua poesia Autunno che il musicista Ernesto De Curtis(Napoli 1875-1937) trasformò in celebre canzone. Dai dolori artritici alle gastriti; da quelli muscolari ai primi raffreddori di stagione, chi più ne ha piu’ ne metta. Chi ha superato gli “Anta” è certo più soggetto. L’omu ‘a quarantina, ‘un mali ogni matina sembra proprio un proverbio azzeccato. Di fronte ai dolori cervicali, però, Non c’è ne vecchiu e ne’ picciottu! E’ vero. Ma intanto anche se dalle nostre parti continuano le belle giornate, l’aria fresco-umida tipica dell’autunno già si avverte. Coprirsi di più è giusta prevenzione. A ottobre, tutti col naso all’insu’ per osservare il cielo che in questo mese sembra assumere una luminosità più suggestiva. Mentre ci si prepara al lungo inverno, c’è ancora spazio per qualche frivola scappatella in montagna. E’ così che le comitive si spostano dalle città per raggiungere i boschi in cerca di noccioline, more, castagne e funghi. Vista la scarsità delle piogge, l’annata per i micologi sembra davvero avara. Guanti, palette e secchielli possono aspettare. St’annu pocu funghi e tanti…fungi! Come si vede, i commenti saccenti e…velenosi dei soliti bontemponi non mancano. Ma per i tanti appassionati ricercatori del gustoso micete, la raccolta potrebbe iniziare presto. Che Zeus li assista. E’ sempre la vendemmia a tenere banco di questi tempi. Una volta si svolgeva non a fine agosto come avviene oggi ma nei primi giorni di ottobre. Coincideva proprio con l’inizio dell’anno scolastico. Cadevano le foglie e con esse i primi grappoli fitti e coloriti da esibire prima della spremitura. Scorre nei tini il succoso e profumato nettare prediletto da Bacco. Nei paesi pedemontani ma anche nei centri dell’Isola a forte vocazione agricola, resiste ancora il rito della vendemmia. Una festa per adulti e bambini. ‘A cugghiuta ‘da racina che precedeva ‘a pistata ‘nto pammentu, era un insieme di estemporanea teatralità. …’A quali tocchiu e tocchiu…’a racina che peri si pista!. Tornare indietro nel tempo fa riassaporare antiche tradizioni quasi del tutto scomparse. Ecco perché ancora oggi nei piccoli vigneti a conduzione famigliare la vendemmia è un rituale irrinunciabile. Si mangia e si beve a base di pane, carne, vino e mostarda. Nel desco, cacocciuliddi e ficurinia non devono mancare. Contemplando i fasti di un tempo, al suono di chitarre, mandolini, fisarmoniche e tamburelli, in costume folklorico si canta e si balla. Nel bel mezzo della festa, poi,tutti ad ascoltare il poeta che un po’ “alticcio” declama odi dedicate al vino: Viva lu vinu santu e cunsacratu/Ca di lu celu Diu l’ha mannatu/cu non ni vivi e cu non n’ha tastatu/voddìri ca n’ha statu mai vattiatu!(…)(Vino veritas di la Tarderia). Un aspetto del folklore siciliano, questo, che esaltando con semplicità i valori dell’unità familiare, del lavoro nei campi, dell’amicizia e della gioia per il raccolto, ci fa indubbiamente riscoprire della nostra terra il suo volto migliore.