Arte e Musica
BROGNA, IL “MAGICO” SUONO DI UNA CONCHIGLIA
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- Creato Lunedì, 23 Giugno 2025 16:08
- Pubblicato Lunedì, 23 Giugno 2025 16:08
- Scritto da Santo Privitera
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Il suono della “Brogna”, ovvero il suono della storia. Potrebbe essere l’accattivante titolo di un libro dedicato a questo oggetto marino dalle svariate forme e qualità. E ci sarebbe tanto di cui scrivere; giusto per riportare “a galla” particolari e curiosità legate all’importanza delle sue molteplici funzioni nel campo della comunicazione quanto nei riti sacri, nelle cerimonie regali ed altro. Gli antichi romani la usavano in guerra per svegliare i soldati. In Sicilia i guardiani delle torri la usavano per avvisare i naviganti del pericolo di imboscate nemiche. I pastori per richiamare gli armenti; i pescatori per comunicare con la terraferma. E’ della cosiddetta “conchiglia sonora” che stiamo parlando. La Brogna, appunto. Il suo impiego come strumento a fiato ha in buona misura influenzato le culture di tutto il mondo. Chi ha avuto modo di ammirarla nella bacheca di qualche elegante salotto o posta a bella mostra sul davanzale di una finestra, adesso può conoscerne più da vicino la sua millenaria storia. Il suo prodigioso suono ha attraversato il tempo. La magia delle vibrazioni, nelle proprietà estetiche e sonore che si ritrovano, rimandano a suoni ancestrali dai toni misteriosi. Tra le varietà più comuni: la “Charonia Tritonis” e la “Strobus”. L’elenco però è più lungo. Alto il suo valore simbolico. Nelle antiche tribù, suonare la “Pu” come veniva meglio conosciuta nella loro realtà, equivaleva entrare in osmosi con la natura. “Pu” è anche il suono onomatopeico prodotto dal fiato immesso nella sua cavità. Dalle nostre parti, origina dalla marineria di Acitrezza l’interesse per questo primordiale strumento di comunicazione, in particolare dal Centro Studi Acitrezza(C.S.A.)diretto da Antonio Castorina. L’uso della conchiglia come strumento a fiato, rappresenta uno dei modi più arcaici e naturali di produzione del suono. La conchiglia sonora che diciottomila anni fa col suo suono monodico veniva impiegata come mezzo di comunicazione nelle montagne come nelle marinerie, ritorna a farsi sentire attirando l’attenzione di storici, archeologi, scienziati e soprattutto semplici curiosi. Mai prima di ora in tempi moderni aveva riscosso tanta attenzione. Non è un caso se ultimamente i suonatori di Brogna sono stati iscritti per ciò che riguarda le pratiche espressive e dei repertori orali, nel particolare registro delle eredità immateriali della Sicilia ( REIS). Anche l’altro ieri a Gravina di Catania, nella sala delle arti intitolata a Emilio Greco, se n’è discusso. “Il suono universale delle brogne: Vibrazioni corali, storie e suggestioni del più antico strumento musicale”; il titolo è già tutto un programma. Artefice dell’iniziativa, il maestro Giovanni H. Grasso. Lo studioso e musicista trezzoto DOC. possiede una straordinaria cultura su questa materia. Un vero maestro. Da alcuni anni organizza convegni e dibattiti finalizzati alla conoscenza di questo strumento cavato dalle profondità marine. L’esercizio delle sue “suonate” è davvero contagioso. Grasso ha già aggregato un cospicuo numero di simpatizzanti destinato a infoltirsi sempre di più. Il suo rapporto con questo strumento è intimamente connesso alla personale passione per l’antropologia. “La Brogna è sempre stata ad aspettarmi”- confessa -“ fin da quando stava posata sul bordo di un’aiuola nel giardino di casa. E’ quella del mio bisnonno Angelo Spina che la esponeva sui canali del tetto della sua abitazione in riva al mare di Trezza”. Durante gli equinozi e solstizi, il gruppo si riunisce di primo mattino per fare vibrare coralmente la Brogna davanti ai faraglioni. Poeti, scrittori, danzatori, pittori e artisti vari si esibiscono per dare il “benvenuto” all’alba della nascente stagione. Un vero e proprio rito questo, per celebrare la natura e godere partecipando agli incantevoli scenari dei luoghi che il Verga e altri scrittori descrissero mirabilmente nelle loro opere letterarie più famose.
Nella foto, il M° Giovanni H.Grasso.
TRA I CANTI POPOLARI SICILIANI
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- Creato Mercoledì, 17 Luglio 2024 15:09
- Pubblicato Mercoledì, 17 Luglio 2024 15:09
- Scritto da Santo Privitera
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La musica è tra i fattori che hanno reso celebre l’Italia nel mondo. Musica colta per gusti più raffinati; musica popolare per chi invece predilige le antiche tradizioni. Si dice che l’Italia sia “Patria di santi e navigatori”: perché non aggiungere anche…di “poeti, musicisti e cantanti?” Ciascuno nel proprio ruolo, è da considerare “cassa di risonanza” della divina arte. Non solo i professionisti affermati, ma il contributo dei cosiddetti “Illetterati” e “orecchisti” è stato determinante. Loro si formavano nella “strada” a contatto con la realtà di tutti i giorni. Praticavano i mestieri più umili. A Catania, all’ospizio di beneficienza, tra i vari mestieri si insegnava pure la musica. Celebre “ ‘a banna do’ cummittu” composta dagli “orfanelli”. Veniva ingaggiata per esibirsi nelle cerimonie pubbliche. In questa struttura dove insegnò il musicista ricercatore e direttore d’orchestra Francesco Paolo Frontini, si formò professionalmente anche il maestro Gaetano Emanuel Calì. Il musicista catanese fondatore nel 1929 dei Canterini etnei, sui versi del poeta Giovanni Formisano, compose pure la celebre mattinata “ ‘E vui durmiti ancora”. Da quelle mura uscì pure Giovanni Gioviale, incontrastato genio del mandolino. Dalla lirica all’operetta, dalla ballata alla canzonetta, il nostro Paese vanta una tradizione musicale che non è seconda a nessuno. Dell’ampio comparto a carattere culturale racchiuso nel termine Folk(popolo)+lore(sapere), i canti popolari dialettali sono parte integrante. E’ importante sottolineare come in alcune regioni piuttosto che nelle altre, l’esaltazione delle bellezze naturali dei luoghi hanno ispirato capolavori immortali. Gioie, dolori, patimenti e amori sono stati i temi più comuni. Trattati con la giusta dose di umorismo e ironia, hanno ben rappresentato lo spirito e la filosofia in dote al popolo. “Romagna mia/Romagna in fiore/ tu sei la stella/ tu sei l’amore”, si canta nell’Emilia Romagna del “Liscio”. Mentre in Puglia, terra della “Taranta” e della “Pizzica”, stride un po' quel: “Qunt’è bellu lu primm’ammore…’u secunnu ‘è chiù bello ancor”(Lu maritiello). La canzone napoletana classica, ad esempio, è conosciuta in ogni angolo del pianeta. Grazie anche agli interpreti che l’hanno resa particolarmente accattivante. Molti dei suoi più celebri motivi sono stati tradotti in diverse lingue. “Chist’è ‘o paese d’o sole/ chist‘è ‘o paese d’o mare/ chist’è ‘o paese addo’ tutte è canzone so’ doce o so’ amare/…so’ sempe parole d’ammore”/( ‘O paese d’o sole). Era 1925 quando i poeti Vincenzo D’Annibale e Libero Bovio la scrissero. Se le delicate note di Giovanni Danzi celebrano una “Bela madunina che le brilla de luntan”; a Firenze “sull’Arno d’argento si specchia il firmamento/ mentre un sospiro e un canto si perde lontano”(Firenze sogna). Lo spirito “capitolino” aleggia sempre tra le note delle canzoni romane. Non un “addio” ma un “Arrivederci”. “Arrivederci Roma/Goodbye, Au revoir”. Cantava così un “piccoletto” ma grande Renato Rascel figlio prediletto della città eterna. Dal Nord al Sud il divario sta pure negli atteggiamenti femminili. Alla frivola “Bella Gigogin” si contrappone una morigerata “Calabrisella ciuri d’amuri”. La Sardegna delle ballade” a suon di launeddas(caratteristico strumento musicale a fiato), si potrebbe fare un discorso a parte. Per farlo, dovremmo però addentrarci in un mondo pastorale un po' troppo complicato. Questo ideale “excursus canoro” nell’Italia della canzonetta popolare, sia pure largamente rimaneggiato, si completa nella nostra Isola. “Forti, sunati forti sunaturi/ cu bummuli friscaletti e marranzani/ ca chistu è lu vantu di li Siciliani”.(Terra d’amuri). Nel 1985 dello scorso secolo, così scriveva un poeta contemporaneo nostrano. Il repertorio musicale è molto vasto. I ritmi vivaci e allegri si alternano a melodie struggenti e commoventi. A essere considerato l’Inno della Sicilia, è il brano “Ciuri ciuri”. Alla versione originale del 1833 rinvenuta nella raccolta Frontini, sono seguiti diversi rifacimenti. Quello del 1939, più consistente, sarebbe stato operato dal critico e musicologo Francesco Pastura coadiuvato dal poeta Carmelo Molino. E’ stato interpretato anche da celebri artisti. “Vitti ‘na Crozza” è invece un motivo tanto famoso quanto discusso. Dopo anni di contrasti dovuti ai diritti d’autore, è stato finalmente attribuito al musicista agrigentino Franco Li Causi. Si tratta di un canto funebre ispirato ai minatori morti e rimasti sepolti nelle miniere. Un’atto d’accusa contro una società insensibile, avida e egoista. Il motivo originale, è stato successivamente trasformato in un ballabile che parrebbe stridere con il contenuto. In realtà quel “Trarallallero, lallero…lallero…” non è altro che una variante per esorcizzare la morte.
"IL VOSTRO MARTOGLIO" ALLA CIVITA
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- Creato Domenica, 28 Maggio 2023 18:44
- Pubblicato Domenica, 28 Maggio 2023 18:44
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Venerdi 6 Gennaio la compagnia teatrale San Francesco di Paola, metterà in scena nell’omonimo teatro della Civita, la commedia “Il Vostro Martoglio” di Santo Privitera. L’autore ha costruito la trama sulla base di una visione personale della “Centona”, l’opera poetica forse più conosciuta del celebre commediografo Belpassese. Il Vostro Martoglio è ambientato nel quartiere più nobile di Catania: La Civita. Per rendere quanto più verace possibile la sua commedia, a parte alcuni promettenti giovani, Privitera ha scelto personaggi quasi tutti del luogo. La trama è un intreccio di scenette tra il comico e il faceto. A fare da “collante”, alcune poesie contenute nella Centona. I due personaggi martogliani per eccellenza, Cicca Stonchiti e Don Procopiu ‘u ballaccheri, non potevano mancare. Al centro, la tradizionale “Cona” natalizia. “Oltre il palcoscenico”, un tavolo per i soliti sfaccendati che amano giocare a “briscola ‘ncumpagni”. Nel primo atto, Martoglio è presente sulla scena: scrive e prende appunti. Fuori campo si odono le antiche voci di strada. Inoltre, ci sono i duellanti; il giovane pescatore che porta la serenata all’amata; il puparo che decanta scene tratte dalla storia di Orlando; le popolane che litigano fra loro per futili motivi. Poi la musica dei “nonareddi” suonatori della novena. Alcuni comici siparietti esaltano vari personaggi: Mastru Austinu miciaciu e la moglie Gna Lona(tratto dal San Giovanni Decollato); la procace Aitina e la stravagante Ciccina ‘a muncibbiddisa. Questi ultimi sono nuovi “innesti” che l’autore ha voluto creare assimilandoli per carattere a quelli martogliani. Il momento finale è dedicato alla tragica uscita di scena del poeta Belpassese. Il libro della Centona abbandonato sul tavolo, sarà la “chiave” che renderà immortale il genio letterario di Nino Martoglio.
Nella Foto, gli attori della compagnia S.Francesco di Paola
COMPOSITORI E PAROLIERI CATANESI
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- Creato Mercoledì, 26 Maggio 2021 03:35
- Pubblicato Mercoledì, 26 Maggio 2021 03:35
- Scritto da Santo Privitera
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Oggi la chiamano “Fuga dei cervelli”, una volta invece era “Cu nesci, arrinesci”. I detti, raramente si sbagliano. Oggi è più facile emigrare; ma fino a qualche tempo fa c’era la consapevolezza che una volta partiti, la possibilità di “sbarcare il lunario” appariva più concreta. Quando ci si rendeva conto che “Chiù scuru ‘i menzannotti non puteva fari”, solo allora si tentava la strada dell’avventura. La nostra e’ un’Isola che ha esportato geni di prima grandezza. Dalla scienza alla letteratura; dalla pittura al cinema; dallo sport alla musica, tra i “primatisti” c’è stata sempre la nostra Isola. Vincenzo Bellini, all’età di diciott’anni è andato via dalla sua città, e ancora oggi molti si chiedono cosa ne sarebbe stato del suo genio se non avesse fatto questa scelta. In questi giorni abbiamo pianto la scomparsa del nostro Franco Battiato, artista di fama internazionale che nella sua Sicilia aveva scelto di tornarci; per lui, una volta calato il sipario della vita, si è aperto quello della storia. Il suo misticismo lo ha portato a credere nella “reincarnazione”: speriamo sia così; a patto che possa “ritornare” nuovamente a Catania. Nel mondo della musica leggera abbiamo ancora le nostre eccellenze; dalla famiglia Bella( Gianni, Marcella, Rosario e Antonio), a Vincenzo Spampinato; per non parlare dei gruppi storici come “I Beens” i cui successi hanno varcato l’oceano. La tradizione sembra continuare con i tanti nomi, molti anche di giovani, che sono già sulla buona strada. La carrellata è vasta, impossibile proporla tutta. Gianni Belfiore, di padre ripostese, pur essendo nato a Genova, si è sempre riconosciuto figlio della Terra di Sicilia. Negli anni ’70 dello scorso secolo, dopo il suo esordio nel mondo musicale a fianco della famosa cantante Folk licatese Rosa Balistreri, al bordo della nave dove lavora da ufficiale di coperta, conosce il cantante Julio Inglesias. Per lui comincia a scrivere canzoni come “ Se mi lasci non vale e “Sono un pirata sono un signore” che hanno fatto la fortuna dell’artista spagnolo amatissimo in tutto il mondo. Belfiore ha scritto canzoni anche per Iva Zanicchi, Fred Bongusto, Boby Solo e Tosca, tanto per citare dei nomi. Anche lui, come Battiato, sulle ali del grande successo, ha preso casa a Milo, alle falde dell’Etna, dove ancora continua a lavorare. Non è stato un gigante, ma certamente un nome autorevole sì. Ci riferiamo al cantante e paroliere Plinio Maggi (Catania 1940-2019).Dopo aver partecipato a vari concorsi canori, nel 1965 vince il Festival per voci nuove di Castrocaro. Una bella ribalta che lo porterà molto in alto. Parteciperà al Festival di Sanremo, al Festival di Napoli e al Cantagiro. E’ presente, come cantautore, nei migliori programmi televisivi Rai del momento. Volerà perfino in America dove otterrà un discreto successo. Nel frattempo scrive testi per vari cantanti molto noti del momento. Laureatosi in Farmacia, intorno alla metà degli anni ’70 abbandonerà improvvisamente il mondo dello spettacolo per esercitare questa professione. “Mena” è l’opera lirica composta poco prima della sua scomparsa. Tra gli anni ’60 e ’70, visse il proprio momento di gloria pure Oreste Vassallo( Catania 1912-1976). Collaboratore del Maestro Pastura. Vassallo si stabilì a Roma dopo avere conseguito la cattedra di Lettere nelle scuole statali. Negli ambienti della musica leggera si Affermò col brano “Come te non c’è nessuno” portata al successo, su testo di Franco Migliacci, da una “frizzante” Rita Pavone. La nostalgia per la sua città, lo porterà a pubblicare nel 1972 a Milano, la silloge: “ Sotto gli archi della marina”. A scrivere un motivo di successo, concorse pure il musicista folk Franco Zappalà. Con il suo “Tango di Mezzanotte”. La base registrata al mandolino dal maestro Antonio Aiello, piacque tanto a Claudio Villa che la incise per la casa discografica “Vis”. La magistrale interpretazione che ne fece il “Reuccio”,fu garanzia di successo. Era il 1956. A ritroso nel tempo, non possiamo non fare riferimento al grafico pubblicitario Peppino Mendes( Catania 1892-Napoli 1978). Nella sua città non riuscì a trovare un lavoro, perciò la lasciò per trasferirsi definitivamente a Milano. Ebbe una grande passione per la scrittura, così cominciò a scrivere versi. L’incontro con il maestro Vittorio Mascheroni fu decisivo. Scrisse diverse canzoni dedicate al regime fascista. Tra queste, la più nota fu “Soldatini di ferro”. Nel dopoguerra visse i suoi anni in pieno isolamento; in compagnia solo dei suoi amati cani. Firmò su musica del Mascheroni, due brani destinati ad avere un immenso e duraturo successo: “Fiorin Fiorello”(1939) e “Il Tango della Gelosia”(1931).
Nella foto, il Maestro Franco Battiato
Pubblicato su La Sicilia del 23.05.'21
IL LINGUAGGIO DEI PENNELLI NELL'ARTE E NELLA STORIA
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- Creato Mercoledì, 17 Febbraio 2021 07:18
- Pubblicato Mercoledì, 17 Febbraio 2021 07:18
- Scritto da Santo Privitera
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Interessantissima come sempre la videoconferenza domenicale Skype denominata “Chiddi da Conca”. Attorno alla “Conca” anche questa domenica siamo stati in tanti; e con il freddo polare di questi tempi, ci voleva proprio. Baschi e coppole in testa, pronti per l’odierno appuntamento culturale proposto. Il tema della giornata è stato “Il linguaggio dei pennelli nell’arte e nella storia”, argomento artistico che affascina. Ha avuto come protagoniste Linda Higginson-Privitera e Mimma Marchesini. Linda è stata una piacevole scoperta. Artista da sempre anche se molto defilata. Tanto timida quanto culturalmente elevata. Oltre che una artista raffinata si è rivelata anche una brava critica d’arte. In questa puntata, è stata lei, inglese di nascita ma naturalizzata catanese, a parlare del celebre Pittore londinese William Turner(Londra 1775-Chelsea 1851). “Turner”-ha spiegato tra l’altro Linda-“fu seguito come esempio dagli impressionisti”. Inoltre, Turner, è stato considerato unanimamente come colui che ha elevato la pittura paesaggistica facendola competere alla pari con quella storica considerata di maggiore prestigio. A dimostrazione di ciò, sono stati evidenziati i lavori più rappresentativi di questo artista che non a caso venne considerato come il pittore “Re della luce”.
Altro intervento degno di nota è stato quello di Mimma Marchesini da Foligno. Mimma che già altre volte è intervenuta sull’argomento, si è soffermata su alcuni celebri pittori impressionisti. Nel corso della sua dettagliata relazione, ha analizzato a fondo alcune opere simboliche di grandi maestri dell’impressionismo quali furono Friedrich, Manet, Monet, Renoir, Degas e Fattori.
Le due relazioni esposte con efficace semplicità , hanno dato l’assist ad un articolato dibattito dal quale sono scaturiti i temi di futuri approfondimenti. Gli intervenuti hanno spaziato a tutto campo, consapevoli che Un’opera d’arte può essere affrontata sotto tanti punti di vista: Dalla Psicologia alla Filosofia; dalla sociologia alla letteratura ecc.
Postiamo il video senza togliere una virgola; chi ha la pazienza di seguirlo, si accorgerà che ne valeva la pena partecipare ma anche…ascoltare.
Buona visione!