PALAZZINA CINESE ALLA VILLA BELLINI DI CATANIA

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Fu una delle attrazioni estetiche della villa Bellini. Entrando dall’ingresso principale, un po' più decentrata, la sua sagoma lignea svettava austera al centro di un gruppo di alberi di grosso fusto che l’attorniava formandone un cerchio. A vederla sembrava sempre chiusa. Non ebbe molta fortuna questa struttura. Venne utilizzata come caffè concerto, prima; come biblioteca, dopo. Nel frattempo, però, durante la consueta attività, seguirono momenti di lunghe pause prima di ogni ripresa. Mancanza di idee? …Incuria dell’Amministrazione comunale? Cos’è che ha impedito a questa struttura una “occupazione” in pianta stabile? “I cosi di Catania” verrebbe da dire. E’ del Chiosco cinese che stiamo parlando. “Chiosco”, “Casina” “Palace” con qualsiasi nome venne appellata dai tecnici, per il catanesi fu sempre la “Palazzina cinese”. Finì divorata dalle fiamme nel 2001. I motivi restano ignoti come ignoti e impuniti i loro autori. Un danno per la città, ma anche per la sua storia. Uno dei tanti. La città sembra abituata a queste nefandezze, ma non rassegnata. Consolarsi col motto “Melior de cinere surgo”(risorgo sempre migliore dalla cenere), non basta. Occorre la volontà oltre che corposi finanziamenti. Nel nostro caso, siamo ancora nella cenere: lontani da una “resurrezione” che non si intravede neanche da lontano. Nel 2011 venne lanciato un bando per la ricostruzione. Prevedeva una soluzione “ipogea” piuttosto avveniristica. Il vincitore non ebbe la soddisfazione di vedere realizzato il proprio progetto. La Palazzina cinese fu un punto di ristoro tipico dei giardini ottocenteschi ricchi di piante esotiche e di attrazioni varie. Può non significare niente per le nuove generazioni, ma per quelle passate significa eccome. Il giardino Bellini fu progettato “ a misura d’Uomo. Per la gioia delle famiglie e dei bambini in particolare, fino agli anni ’80 fu popolato da molte specie di animali. Un vero e proprio zoo in miniatura. Senza parlare delle anatre e dei cigni della vasca centrale; una grande voliera accoglieva diverse varietà di uccelli. Tra questi, pappagalli esotici dai colori variopinti. Vi erano pure quattro grandi pavoni, ma anche alcune scimmie. La più famosa era “Ginu”. Benchè di sesso femminile, chissà per quale motivo le venne imposto questo nome maschile. Forse perché somigliante a un tale imprecisato “Gino”. Lo sguardo di questa scimmietta era quasi “umano”. Un po' sgraziata ma simpatica. A Catania, quando si vuole sottolineare la bruttezza di qualcuno, vale il detto: “Pari cchiù lariu di Ginu ‘da villa”. Fino al 1967 ci fu anche l’elefantessa Tony, donata dal circo Togni. Purtroppo morì alcuni anni dopo perché non riuscì ad adattarsi. Lo stesso era successo sul finire del secolo scorso a Menelik, il pachiderma donato dall’imperatore etiope Menelik II all’allora Re d’Italia. Era il 1889. In questo contesto, il chiosco cinese fu una presenza necessaria all’interno del giardino Bellini. La sua forma “circolare” sormontata da un tetto a “pagoda” non passava inosservata. “(…) Ncentru cc’è ncioscu di lingna cinisi/”-scriveva il poeta dialettale Ciccio Spampinato-“ccu ddà dintra na granni libreria/ di summi artista e llitri d’oru misi…/ E’ visitata d’un mari di genti/ pirchì ddà intra tuttu è puisia/ ca fa di scola e illumina la menti!” ( La chiazza unni cc’è la biblioteca). “Si ergeva sulla collinetta del “Salvatore”, cosiddetta perché nell’ottica dell’allargamento verso nord del giardino Bellini, gli orti che vennero espropriati erano conosciuti proprio come “orti del Salvatore”. Una bella costruzione di gusto Liberty ligneo, essenziale nelle forme, unica nel suo genere; realizzata nel 1869 su progetto dell’architetto Filadelfo Fichera. Fu convinzione comune però che si fosse trattato invece di un dono dell’Imperatore cinese; da qui l’intitolazione. Non sappiamo quanto di vero ci fosse in tutto questo. Durante il ventennio fascista, la “palazzina” visse il suo massimo splendore. Il caffè concerto accoglieva raduni e manifestazioni patriottiche di rilievo. Fu sede di ritrovo delle milizie e spesso di importanti incontri politici riservati. Accolse concerti per musica da salotto. Durante il suo utilizzo come biblioteca, venne frequentata da diversi autorevoli studiosi di storia patria catanese: Saverio Fiducia, Guglielmo Policastro, Enzo Maganuco e Carmelina Naselli furono tra questi. La mancanza di manutenzione e poi la guerra lo resero in condizioni precarie; alcune parti cominciarono a cedere e i cornicioni caddero a pezzi. Sul finire degli anni ’40 perciò si procedette a un radicale restauro. La biblioteca venne impiantata nel 1950; durò fino ai primi anni settanta, poi venne allocata altrove. E i locali fecero bella mostra di sé fino allo scellerato epilogo.

 

Pubblicato su La Sicilia del 12.09.2022

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