Biografie

SALVATORE CAMILLERI NEL PRIMO ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA(MARZO 2021-2022)

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Il 24 marzo dello scorso anno, moriva quasi centenario il prof. Salvatore Camilleri. Poeta, saggista, critico sicilianista e raffinato traduttore, era nato a Catania il 12 maggio del 1921. Fu l’ultimo esponente di una stagione poetica siciliana particolarmente incisiva. Dopo avere insegnato per qualche tempo al Nord Italia, concluse a Catania la sua carriera di direttore didattico. Tutta la sua vita fu dedita allo studio della lingua siciliana. Scandì le tappe che avrebbero condotto la poesia siciliana, dal 1944 al 1989, verso un nuovo corso. Il dibattito per raggiungere questo traguardo non fu affatto facile, anzi si rivelò lungo e complicato. Nel 1944, fondò insieme ai poeti Enzo D’Agata e Mario Gori, il movimento dei cosiddetti “Trinacristi” . Il sodalizio che era solito riunirsi presso una sala toelette di via prefettura, ebbe come obiettivo primario lo “svecchiamento” della poesia siciliana. Il “disancoramento” da una tradizione certamente importante ma che andava aggiornata. Una vera rivoluzione quella compiuta dai Trinacristi, che ben presto si estese in tutta l’isola. A Palermo, i poeti Pietro Tamburello e Paolo Messina fecero la loro parte. La rivista “Sciara” che lo studioso catanese diresse con Mario Gori nel 1965, servì a liberare definitivamente dagli antichi schemi considerati “arcaici” e “obsoleti”, linguaggi e stili di scrittura dialettale. L’’impegno di Camilleri nel campo della letteratura siciliana, fu totale e non conobbe pause. Autore e critico allo tempo stesso, non ebbe mai ambizioni accademiche. Egli finora risulta l’unico che abbia guardato ai poeti classici senza trascurare i nuovi. Curò, tra l’altro, edizioni di Domenico Tempio, Giovanni Meli, Nino Martoglio e Luigi Capuana. Nella sua lunga vita, ha scritto una infinità di opere e preparato all’insegnamento generazioni di futuri docenti. Sui due libri di grammatica siciliana da egli pubblicati, si sono formati scrittori e poeti della nuova generazione. Girò in lungo e in largo la Sicilia, firmò articoli nei quotidiani e nelle riviste più importanti, mantenendo rapporti anche con esponenti della cultura siciliana d’oltre oceano. Frequentò quasi tutti i personaggi più in vista della cultura catanese del suo tempo. I Poeti Giuseppe Villaroel, Giuseppe Nicolosi Scandurra, Giovanni Formisano; gli storici Salvatore Lo Presti e Francesco Granata; lo scultore Pietro Pappalardo, furono tra questi. Come poeta ricordiamo alcune delle sue sillogi di maggiore rilievo: Sangu Pazzu”(1965) che conquistò il Premio Sicilia di quell’anno; “Luna catanisa”(1979); “Gnura puisia(2005); “Biribò”(2007), poemetto filosofico sullo stile dei classici. Della sua “Barunissa di Carini”, nel 1971 è stato tratto lo sceneggiato televisivo “L’amaro caso della Baronessa di Carini” con attori di rilievo internazionale come Ugo Pagliai e Janet Agren. Nel 1998, il suo vocabolario Italiano-Siciliano “ Ventaglio”, pubblicato prima in dispense poi raccolte in volume, ebbe uno strepitoso successo editoriale. Alcuni suoi testi teatrali tratti da note leggende medievali siciliane, furono adattati per l’opera dei pupi. Il progetto di realizzare una “Monumentale storia della poesia siciliana”, si fermò a soli 5 volumi dei venti inizialmente previsti. Svolse una intensa attività di conferenziere. Il Circolo “Arte e Folklore di Sicilia” del compianto commediografo e mecenate Alfredo Danese, dai primi anni ’70 dello scorso secolo, fu il suo punto di riferimento. Negli ultimi periodi della sua instancabile attività, tenne conferenze e seminari anche per il Centro culturale “V.Paternò-Tedeschi”. Con i poeti mantenne un confronto aperto; a seguito della severità dei suoi giudizi, talvolta però anche conflittuale. Tentò l’impossibile impresa di costruire un linguaggio comune(Koinè), un codice ortografico condiviso, che nel rispetto di ogni singola parlata consentisse cioè di eliminare la difficoltà di lettura dei testi. Da qui la nascita de “Il Manifesto”, un’opera artigianale pubblicata a tiratura limitata intorno alla metà degli anni ’80. Il corposo volume raccoglie prezioso materiale critico-documentale di letteratura siciliana; “summa” dei suoi studi linguistici più significativi.

 

Nella foto, il prof. Salvatore Camilleri

Pubblicato su "La Sicilia del 10.04.2022

"MAZZINI A CATANIA", A 150 ANNI DALLA SCOMPARSA

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Il 10 marzo del 1872 moriva a Pisa sotto il falso nome di George Brown, il giornalista, saggista e Patriota Giuseppe Mazzini. Era nato a Genova nel giugno del 1805. I suoi interessi non furono rivolti solo alla politica ma spaziarono dalla filosofia alla critica musicale alla religione. Egli non si definì un ateo ma praticò un modello religioso che definì “civile”. Protagonista indiscusso del risorgimento italiano; fautore di quella agognata Unità italiana, per raggiungere la quale si versò tanto sangue. Il suo grande desiderio poi avveratosi, fu quello di vedere il Paese sotto un’unica bandiera: quella italiana. La stessa via la tentò per l’Europa. La sua idea di unificare l’Europa attraverso una federazione di Stati; non ci riuscì nell’immediato ma servì a gettare le basi per il futuro. Complici gli ambienti massonici e carbonari dell’Isola, stretto fu il suo legame con la Sicilia che egli la considerò la sua seconda Patria. Frequenti furono i suoi viaggi a Palermo, dove una volta venne pure arrestato per attività sovversiva. Nel collegio di Messina, sfidando il governo di allora, tre volte venne eletto deputato al parlamento. Per ben due volte quelle elezioni vennero però dichiarate nulle; La terza, fu lo stesso Mazzini a respingere il mandato. Lo fece per coerenza, perché a seguito delle sue idee repubblicane, non poteva giurare fedeltà allo statuto italiano fondato sulla monarchia. In questi giorni, a 150 anni della scomparsa, l’associazione etnea studi storico filosofici ne ha ricordato opportunamente la figura davanti al monumento marmoreo realizzato dallo scultore Francesco Licata nel 1875 alla Villa Bellini. L’opera è tra le più importanti di questo artista colto improvvisamente dalla morte mentre era intento a restaurare la fontana di Cerere ( ‘a “Tapallira do’ Buggu)”. Ritrae un Mazzini pensieroso, con il gomito su un ceppo e la testa posata sul palmo della mano destra. Una posa che, secondo l’autore, come messaggio stava a indicare un uomo di profondo pensiero. E proprio “un pensiero per l’azione” fu il motto di Mazzini. La sua politica attrasse i giovani; efficace nell’azione, incrollabile nella fede verso gli alti valori della democrazia e della libertà. Questo da solo spiega le ragioni del suo successo nel proselitismo militante. A Catania lasciò un’impronta vivissima. Il suo insegnamento fu la “stella polare” dei primi moti rivoluzionari anti borbonici. Soprattutto in quelli sfortunati del 1837. Protagonista il prof. Salvatore Barbagallo Pittà, fervente repubblicano e direttore del periodico liberale “Lo Stesicoro”. Finì fucilato nell’odierna piazza dei Martiri, unitamente a un gruppo di altri patrioti. Nella città etnea, il drappello di repubblicani fu molto consistente. Ne fecero parte tra gli altri: il poeta Mario Rapisardi, il senatore Giovanni Auteri Berretta e il futuro sindaco Giuseppe Pizzarelli. Da posizioni mazziniane, prima di passare tra le fila socialiste, partì l’azione politica dell’on. Giuseppe De Felice pro-sindaco di Catania e fondatore dei Fasci siciliani. “Predicò i doveri prima dei diritti” affermò l’avv.Lucio Finocchiaro nel discorso commemorativo svoltosi solennemente a piazza San Filippo(odierna piazza Mazzini) pochi giorni dopo la scomparsa del patriota genovese. In una lettera esortativa scritta di proprio pugno nel novembre del 1869, indirizzata alle classi operaie catanesi per meglio spingerli al riconoscimento dei propri diritti, Mazzini scriveva all’indirizzo dell’ associazione “Alleanza operaia” di Catania: “ Fratelli, la vostra associazione sorge e rappresenta un principio. Oggi in Italia non manca il concetto, manca il culto del concetto: l’armonia tra il metodo e il fine, il perenne operoso concordare degli atti col pensiero. Quanti si sentono emancipati lo dicano; predichino con l’esempio, diffondino il vero tra i figli del popolo. Dichiarino senza reticenze mali e rimedi, educhino le anime alla santità dell’azione, alla logica della via dritta e intimino a tutti, segnatamente a chi assume di guidare, la scelta legale e aperta tra due termini: Riforma e rivoluzione(…)” Nel dopoguerra, la fondazione del Partito Repubblicano catanese nato sulle orme mazziniane, ebbe due nomi su tutti: lo scrittore ripostese Lorenzo Vigo Fazio e il professore ordinario di letteratura italiana all’università di Catania, Paolo Mario Sipala. Portarono avanti gli ideali repubblicani cari al patriota genovese.

 

Pubblicato su La Sicilia del 20.03.2022

Nella foto, il monumento di Giuseppe Mazzini al Giardino Bellini di Catania

 

 

 

 

 

MARIO RAPISARDI A 110 1NNI DALLA SCOMPARSA

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Il 4 gennaio del 1912, moriva nella sua casa alla Badiella, il poeta traduttore e docente universitario Mario Rapisarda. Da adulto preferì il cognome “Rapisardi” perché assonante con quello del suo poeta preferito Giacomo Leopardi. “Il Vate Etneo” come egli è stesso amava definirsi, è considerato uno dei maggiori poeti italiani del secondo ottocento. Francesco De Sancts che giudicò il Rapisardi degno di occupare la cattedra di letteratura Italiana nell’Università di Catania, aveva scritto: “Uomini di tal natura, cresciuti fuori dal commercio dei dotti e fuori dalle scuole, possono far miracoli”. Lui di miracoli non ne face, in compenso lasciò in eredità ai posteri opere di profondo ingegno letterario Lo studio degli enciclopedisti francesi e dei filosofi tedeschi, esercitò una influenza decisiva sulla sua maturazione culturale. Per questo si rivelò il cantore classico della natura, della libertà, della scienza, contro i “falsi idoli” oscurantisti, oppressori di ogni libera espressione creativa. Cominciò all’età di quattordici anni con l’Ode a Sant’Agata, alla quale sotto il regime borbonico osò raccomandare la libertà della Patria. Di fede mazziniana, diventò un fervente repubblicano. Non fu, dunque, un anarchico come lo definirono alcuni critici. Né possiamo considerarlo ateo; le sue battaglie contro il clericalismo imperante, le combatté con fermezza. Una delle sue maggiori opere “Il Lucifero”, nel 1887 venne mandata al rogo dal Cardinale Dusmet in persona. “Le poesie religiose”, furono invise alla chiesa perché di stampo panteista. Anche se fu molto amato dagli studenti, il suo temperamento impulsivo e il costante nervosismo forse causato da un endemico stato di debolezza nervosa che lo attanagliava, non lo aiutò affatto nei rapporti personali e neanche con la famiglia. Fu al centro di molti pettegolezzi; primo fra tutti la triste vicenda del matrimonio con la scrittrice fiorentina Giselda Fojanesi. La donna intrattenne una relazione con lo scrittore Giovanni Verga. “La tresca” diventata di pubblico dominio, convinse il poeta a ripudiare la moglie. Rapisardi non era uno che “le mandava a dire”, da qui le feroci polemiche che lo videro protagonista in più occasioni. La stampa le riprese tutte, addirittura ampliandole. Persino i colleghi, come sostennero nei salotti letterari catanesi “ Ci àbbagnarunu ‘u pani”. Di polemiche ne ingaggiò una con Luigi Capuana; un’altra con il poeta dialettale di Motta Sant’anastasia, Càrmunu Carusu. Rapisardi aveva sentito parlare di questo poeta e voleva conoscerlo. Per questo incaricò un suo alunno che abitava a Motta. Caruso rispose risentito: “Cu beni mi voli, ‘n casa mi veni”. La missiva scatenò l’ira del Vate che presa carta e penna rispose seccamente: “ Fango sei! ”. La replica del mottese arrivò immediata con una quartina: “Fangu fu Adamu/ e fangu semu tutti/ di fangu è fatta la virtù,/ è tuttu fangu chiddu ca s’agghiutti/ comu di fangu fusti fattu tu.(…). Ma a tenere maggiormente banco fu intrapresa con Giosuè Carducci. Gli costò parecchio caro. Motivo del contendere furono alcuni versi contenuti su”Il Lucifero”, ritenuti dal Carducci offensivi della sua persona. Il poeta toscano che deteneva “le chiavi” dei salotti letterari che contavano, gli chiuse tutte le porte in faccia. I due rivali, attraverso i giornali si scambiarono invettive al vetriolo. Pagine e pagine di dichiarazioni poco lusinghiere e di insulti piuttosto espliciti. “Insomma”-commentarono i lettori catanesi che seguirono la vicenda-“ Si nni stannu rìcennu di tutti i culuri…” I difensori del poeta catanese tacciarono il Carducci perfino di razzismo nordista. Rapisardi alla fine preferì dare “un taglio” alla vicenda, richiudendosi definitivamente nel suo “fortino” catanese. Quando si sparse la notizia della sua morte, la città restò sgomenta. I suoi studenti, con la carrozza del Senato a seguito, trasportarono a spalla la Salma fino alla sala di rappresentanza del municipio dove si svolse la cerimonia funebre. Vi sostò tre giorni per permettere alla cittadinanza di rendergli doveroso omaggio.

 

Nella foto, il poeta Mario Rapisardi nel suo studio.

 

Pubblicato su La Sicilia del 9.01.2022

 

 

 

 

 

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