LA FESTA DI SANT'ALFIO NELLA FEDE E NEL FOLKLORE

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La notte tra il 9 e 10 maggio Trecastagni diventa la meta prediletta dai pellegrini. Si partono con torcioni pesanti da ogni luogo della Sicilia i devoti di Sant’Alfio per raggiungere il Santuario dei tre Santi Alfio, Cirino e Filadelfo. Gli emigranti tornano per l’occasione. Anche se non c’è più chi con la “lingua a strascinuni” (strisciando per terra la lingua) dall’ingresso si spinge fino all’altare maggiore chiedendo una grazia, echeggiano comunque le strazianti ma suggestive grida notturne: Santaaaaffiu!!! Santaaaaaffiuzzu Beddu, comu ogni annuu…sugnu ccaaaa!!!! Nei locali interni del Santuario, quelli adibiti alla raccolta della cera, un misto di fumo e di preghiere. I devoti, quelli che hanno fatto un voto per grazia ricevuta, indossano maglietta con nastrino rosso e pantaloncini bianchi. Una volta, solo pantaloncini e nastrino rosso trasversale; per tale motivo questi devoti erano detti “ I nuri”. Oggi, salvo rare eccezioni, l’abbigliamento è quello di tutti i giorni. Solo per ragioni di sicurezza, lungo la salita cosiddetta “ ‘n chianata ‘i sapunara” i più accorti si muniscono di fasce fosforescenti per evitare di essere travolti dalle auto in transito. La festa è ormai nota in tutto il mondo. Un misto di fede e folklore, di sapore e d’arte la caratterizza. Quest’ultima è rappresentata dagli Ex-voto in stile Naif, a centinaia esposte lungo i corridoi-museo del Santuario Trecastagnese. Per quanto molte delle usanze siano andate irrimediabilmente perdute per motivi di ordine pubblico, questa festa, con i suoi carretti istoriati trainati dai cavalli bardati che si accompagnano al suono degli strumenti caratteristici, conserva il fascino di sempre. Il colore che predomina è il rosso, quasi a testimoniare il fuoco vivo della Fede verso i Tre Santi fratelli.               I caratteristici cappelli; tamburi e tamburelli variamente affrescati; le odorose cipolle intrecciate; i gustosi “arrusti e magia” nelle bettole, fanno tutti parte di una coreografia impareggiabile. Poi la cosiddetta “calata de ‘mpriachi” a passo lento e sonnecchioso, epilogo di due giorni vissuti nella pienezza delle tradizioni. Guai a chi si fosse arrischiato di lanciare i cavalli in discesa oltre una certa velocità perché, ammonivano i più anziani: Cavaddu ca ti curri a la discisa, sanu non ti porta a la to casa.                 

Nella foto scattata‘ A Potta Jaci (Piazza Stesicoro) nel 1934, il Carretto Siciliano che vinse quell’anno la sfilata al concorso catanese.

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