RECENSIONE: SILLOGE "MILANISARI^ di Gaetano Capuano

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Milanisari^ è un libro tanto complesso nella sua struttura linguistica, quanto accattivante. Il dialetto adottato dall'autore e’ quello di Agira, un dialetto cristallizzato a 42 anni fa epoca della sua emigrazione in terra lombarda. Il suo status di emigrato, con ogni probabilità, ha fatto scattare nella profondità della sua anima la molla della poesia. Molti dei noti critici che si sono occupati di lui, tra i quali spiccano i nomi di Franco Loi,Paolo Messina,Nino De Vita, Marco Scalabrino, Pietrangelo Buttafuoco, hanno posto l’accento su questo particolare. Capuano, attraverso il proprio vissuto, le esperienze maturate, fa un ritratto verace e spesso ironico di cio’ che divide il Nord dal Sud d’Italia. Due realtà ben distinte, due popoli messi a confronto, dove la componente antropologica sembra giocare un ruolo determinante. Usi, costumi, tradizioni, moti di pensiero, nella loro diversità si muovono parallelamente trovando la sintesi in una poesia che ne rimarca le distanze. Chi si accosta alla lettura di “Milanisari^” si accorge che uno degli elementi cardine per capire la poetica del suo autore, è proprio il Linguaggio. D’altronde, “Na chilata di pagini ‘n dialettu/su chiù pisanti di chiddi ‘n talianu” scrive Capuano nel gruppo di Aiku,schegge ed epigrammi che impreziosisce la raccolta. Il Linguaggio è una delle chiavi per capire i motivi per i quali nasce questa silloge. La difficile comprensione del dialetto costringe talvolta gli autori alla traduzione in Lingua italiana, non sfugge alla regola neanche Capuano che l’ha fatta a piè di pagina di ciascun componimento. Afferma l’autore: “Io scrivo in dialetto perché sono di Agira e non di Milano”. Del resto, già il titolo ci rivela quanto, a distanza di oltre quattro decenni, il poeta sia rimasto profondamente siciliano. E in questa poesia dove emergono

le difficoltà patite dai nostri conterranei costretti a vivere nella milaneseria industriale, troviamo espressioni liriche di delicata eloquenza: “ Ca d’oggill’annu a ogni annu/pi assupparimi di caluri/culura e midemma battarìa/ scinnu a Agira…/(…)”(che da oggi all’anno a ogni anno/per inzupparmi di calore/colori e anche rumori/scendo ad Agira…). C’è eterogeneità nei vocabili. Segno tangibile di una evoluzione linguistica che non è solo prerogativa della Lingua italiana. Oltre ai termini ormai considerati desueti: “Gniriiusu”, “mpipiriddata”,”agghicari”, “pinnulara”, “miciaciu” ecc; incontriamo quelli “italianizzati” di fattura moderna: “Fesibuk”,”tacciscrinni”, “dubbiu”. Per dirla con Nicola Gardini, autore della prefazione(la postfazione è di Erika Reginato),le situazioni citabili sono numerose. Immagini, colori,umori,che riflettono personaggi e luoghi antichi e moderni. Lo spazio alla quotidianità è ampio, efficace, muliebre se consideriamo i cambiamenti di umore alimentati sempre dai moti caldi dell’anima. In questo quadro si innestano tematiche contrapposte. Ai ricordi personali che nella struggente poesia “Miciaciu”(inedia) dedicata al padre raggiunge livelli di apprezzabile lirismo, si contrappone quel profondo senso di disagio sociale che nasce dalla denuncia nei confronti di una società ingiusta e avida, capace di usare la parole per confondere anziché illuminare.

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