IL PIAVE MORMORO'

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Centocinque anni fa, il 4 novembre del 1918, dopo quattro anni di accanita ostilità, finiva la Prima Guerra mondiale. Era cominciata nel luglio del 1914. Finiva con una vittoria delle potenze alleate dell’intesa. Gran Bretagna, Francia, Serbia e Impero Russo( alle quali l’anno successivo si sarebbero unite l’Italia, la Grecia, il Portogallo, la Romania e gli Stati Uniti), sconfisse l’impero Austro-ungarico di Germania, sostenuto dall’Impero Ottomano. Battaglie su tutti i fronti: dal mare alle montagne; in cielo, tra le campagne e all’interno delle città. Alla fine rimasero sul campo milioni di morti, oltre a un numero imprecisato di dispersi e invalidi. I disertori vennero attivamente ricercati, e non sfuggirono alle fitte maglie della corte marziale. Una volta scovati, vennero puniti severamente con l’arresto immediato. Su di loro, la macchia indelebile del disonore. Medaglie e titoli cavallereschi invece per chi si distinse in rischiosi operazioni di guerra. Un “trofeo” che “Cavalieri” e medagliati varî, ostentarono in ogni sfilata e non solo. Delfino Borroni, ultimo Cavaliere di Vittorio Veneto, morì nel 2008 all’età di 110 anni. Il massimo riconoscimento, andò postumo a chi non ce l’aveva fatta. “Ma Lei che l’amava aspettava il ritorno”/-avrebbe cantato oltre cinquant’anni dopo Fabrizio De Andrè-“d’un soldato vivo; d’un eroe morto che ne farà?/ se accanto nel letto le è rimasta la gloria/ d’una medaglia alla memoria”(…) Questo conflitto si rivelò un vero massacro. Non solo tutta l’Europa, ma anche l’America ne fu coinvolta. La chiamarono “La Grande Guerra” appunto per questo. Nuove più sofisticate armi fecero la loro apparizione. Tuonarono cannoni dai grossi calibri su tutti i fronti, crepitarono le mitragliatrici; mentre i lanciafiamme incendiavano campi e…corpi. I Gas asfissianti non lasciarono scampo ai malcapitati “nemici”. Per non parlare degli scempi compiuti da carri armati, aerei, navi e sommergibili impegnati in epiche battaglie. A farne le maggiori spese, come sempre, i civili inermi. Lungo i “fronti” di guerra, si scavavano le trincee. Erano fortificazioni militari strategiche a scopo difensivo, costituite da lunghi fossati lineari scavati nel terreno per ospitare i soldati prima degli “assalti”. I poveri muli, caricati di tutto punto, si inerpicavano lungo i ripidi sentieri del Carso innevato. Anche loro ebbero una medaglia simbolica da appendere al petto. Sinonimo di forza e pazienza, asini e muli rimasero animali esemplari per la storia. Tutto ciò non è servito a evitare altre guerre, altre distruzioni e altri lutti. Negli anni sarebbe successo perfino di peggio. Se di barbarie parliamo, figuriamoci adesso che le armi possono colpire a grandi distanze. Lo stiamo constatando con i nostri occhi; fortunatamente non sulla nostra pelle. Che mondo è il nostro, se l’uomo che lo abita rischia di eliminare anche se stesso? “… E l’omu c’affacciò la testa ‘ncelu ppi curiusari ‘nta lu so’ distinu”-scrive un poeta dialettale contemporaneo-“non ci truvò ne’ vita ne’ camìnu… (…)”. Al termine delle ostilità, nulla più tornerà come prima. Questo accade tutte le volte che scoppia una guerra nel mondo. Allora non vi erano le televisioni a documentare passo passo, come accade adesso, la guerra attraverso le immagini; erano i giornali a diffondere i dispacci di guerra. Benchè il fronte bellico fosse concentrato tutto nel Nord-Est, la Sicilia dette ugualmente il proprio notevole contributo. Un contributo logistico oltre che di vite umane. Logistico perché la Sicilia fu tra le regioni italiane a ospitare più campi di prigionia. A morire furono oltre cinquantamila soldati siciliani, la maggior parte dei quali, giovani. Una intera generazione di siciliani fu spazzata via durante quella che venne definita una “inutile strage”. Molti soldati continuarono a morire anche dopo l’armistizio in seguito alle ferite riportate al fronte. Altri si spensero a causa degli stenti patiti nelle carceri. Imprecisato il numero dei dispersi. Si difese onorevolmente la Patria; la guerra fu vinta, ma quanti sacrific!?. Si rese onore al simbolo di tutte le guerre: Al Milite Ignoto. Circa 2300 furono i soldati catanesi rimasti uccisi durante questo conflitto che noi a Catania chiamiamo “Guerra do’ 15-18. In un primo momento, le salme vennero tumulate nelle cappelle delle diverse confraternite presenti nel cimitero della città. Poi su iniziativa dell’avv. Vito Pavone, medaglia d’argento al valor militare, si pensò a una sepoltura più “onorevole”. Costruito il Sacrario di guerra nel Monumentale Tempio di San Nicolò l’Arena, Il 4 novembre 1926, con una solenne cerimonia si è proceduto alla prima traslazione di 96 salme di caduti della Grande Guerra. Furono le prime, ma non le ultime.

 

 Nella foto, soldati sul fronte di guerra

 

Pubblicato su "La Sicilia" del 7.11.2023

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