"DOVE PASSA IL SIMETO" Silloge di Aldo Grienti

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ALDO GRIENTI

 

Il RINNOVAMENTO DOVE PASSA IL SIMETO

 

di Marco Scalabrino

 

 

“E così un altro protagonista del RINNOVAMENTO della poesia siciliana ci ha lasciato: protagonista di un rinnovamento fondato sui testi e non sugli oziosi proclami, sugli esiti artistici individuali e non su qualche manifesto. Ma se n’è andato senza lasciarci una raccolta organica delle sue poesie in siciliano”, leggiamo in un pezzo di Paolo Messina, in ricordo di Aldo Grienti, pubblicato nel Febbraio 1988 a Palermo, sul numero ZERO di quello che fu l’effimero ritorno - ad opera di Salvatore Di Marco - del PO’ T’Ù CUNTU!

 

Aldo Grienti nasce a Catania nel 1926.

Nel 1957 - insieme a Carmelo Molino - Aldo Grienti è il curatore della Antologia POETI SICILIANI D’OGGI, Reina Editore in Catania. L’antologia, con introduzione e note critiche di Antonio Corsaro, raccoglie, in rigoroso ordine alfabetico, una esigua quanto significativa selezione dei testi di 17 Autori: Ugo Ammannato, Saro Bottino, Ignazio Buttitta, Miano Conti, Antonino Cremona, Salvatore Di Marco, Salvatore Di Pietro, Girolamo Ferlito, Aldo Grienti, Paolo Messina, Carmelo Molino, Stefania Montalbano, Nino Orsini, Ildebrando Patamia, Pietro Tamburello, Francesco Vaccaielli e Gianni Varvaro.

Ma già prima - corre l’anno 1955 allorché a Palermo, a cura del GRUPPO ALESSIO DI GIOVANNI, con la prefazione di Giovanni Vaccarella, vede luce l’Antologia POESIA DIALETTALE DI SICILIA - Aldo Grienti è tra i protagonisti: U. Ammannato, I. Buttitta, M. Conti, Salvatore Equizzi, A. Grienti, P. Messina, C. Molino, N. Orsini, P. Tamburello.

Le due sillogi, che all’epoca ebbero vasta eco, testimoniano il primo atto di quel processo appellato il RINNOVAMENTO della Poesia Dialettale Siciliana.

“Oggi la poesia dialettale - scrive tra l’altro Giovanni Vaccarella nella prefazione a POESIA DIALETTALE DI SICILIA - è poesia di cose e non di parole, è poesia universale e non regionalistica, è poesia di consistenza e non di evanescenza. Lontana dal canto spiegato e dalla rimeria patetica, guadagna in scavazione interiore quel che perde in effusione. Le parole mancano di esteriore dolcezza e non sono ricercate né preziose: niente miele e tutta pietra. Il lettore di questa poesia è pregato di credere che nei veri poeti la oscurità non è speculazione, ma risultato di un processo di pene espressive, che porta con sé il segreto peso dello sforzo contro il facile, contro l’ovvio. Perché la poesia non è fatta soltanto di spontaneità e di immediatezza, ma di disciplina. La più autentica poesia dei nostri giorni è scritta in una lingua che parte dallo stato primordiale del dialetto per scrostarsi degli orpelli e della patina che i secoli hanno accomunato, per sletteralizzarsi e assumere quella condizione di nudità, che è la sigla dei grandi.”

“I dialettali - afferma Antonio Corsaro, in prefazione a POETI SICILIANI D’OGGI - non sono mai stati estranei alle vicende della cultura nazionale, anche se disuguale è il loro piano di risonanza. Nell’ambito di una lingua, per dire, ufficiale, che assorbe e trasmette tutte le vibrazioni di un’epoca, il dialetto si presenta come una fuga regionale. Ma in un periodo come il nostro che nella poesia ha versato gli stati d’animo, l’essenza umbratile e segreta dello spirito attraverso un linguaggio puro da ogni intenzione oratoria, i poeti dialettali si trovano

nella identica situazione dei loro compagni in lingua, senza che neppure la difficoltà del mezzo espressivo costituisca ormai una ragione valida di isolamento. Tanto più che i nostri lirici in dialetto sono già arrivati a un tal segno di purezza e a una tale esperienza tecnica da non avere nulla da perdere nel confronto con i lirici in lingua. Anzi, in un certo senso, i dialettali ne vengono avvantaggiati per l’uso che possono fare di una lingua meno logora, attingendola alle sorgenti che l’usura letteraria suole meglio rispettare.”

 

“Abbiamo la data dell’inizio del movimento rinnovatore - prosegue Paolo Messina nel suo pezzo - quella del Primo raduno di poesia siciliana svoltosi a Catania il 27 Ottobre 1945, e la cito perché proprio in quella occasione conobbi Aldo Grienti diciottenne”.

E, nel saggio LA NUOVA SCUOLA POETICA SICILIANA, così ricorda: “Nel 1946, alla scomparsa di Alessio Di Giovanni, quel primo nucleo di poeti, che già comprendeva le voci più impegnate dell’Isola, prese il nome del Maestro e si denominò appunto GRUPPO ALESSIO DI GIOVANNI. Occorre però dire che non ci fu un manifesto, né l’ausilio di un apparato critico, né un riscontro adeguato sulla stampa, se si esclude la pubblicazione di alcuni testi significativi sui fogli catanesi a cura di Aldo Grienti: TORCIA A VENTU e LA SORGIVA.”

E, riprendendo questo ultimo punto, in un articolo datato 3 Aprile 1986 su LA SICILIA di Catania, aggiunge: “Aldo Grienti, ancora ventenne, non esitò a pubblicare sui fogli letterari catanese TORCIA A VENTU e LA SORGIVA (1946-47) i primissimi esiti artistici che avrebbero rivoluzionato il modo di poetare in Sicilia. E non inganni la modestia tipografica di quelle pubblicazioni, poiché dalle loro pagine provinciali i testi più significativi dovevano confluire, nel volgere di pochi anni, sulla più qualificata rivista romana IL BELLI diretta da Mario Dell’Arco e curata da Pier Paolo Pasolini.”

Nella prima delle due antologie menzionate, POETI SICILIANI D’OGGI, Aldo Grienti è presente con quattro componimenti: SINTIRIMI CELU, BIZZOCCA, OGNINA e MI SCANTU.

Antonio Corsaro, nella nota critica in prefazione a POETI SICILIANI D’OGGI, nei riguardi di Aldo Grienti così si pronuncia: “La sua liricità meglio si attua quando è volta alla composizione di un conflitto ... misurando il tono sintetico interiore nella felice corrispondenza del mezzo espressivo. Egli sa creare di colpo un’atmosfera, evocare un dato e subito investirlo di luce sofferta.”

Liricità realizzata da Aldo Grienti con termini, espressioni, situazioni del tutto siciliani; che pienamente combina una forma autenticamente originale, innovativa e uno spirito genuinamente siciliano:

“Stancari l’occhi stunati / ni l’acqua affarata di li zotti / (unni li stiddi sciacquanu la luci) / pi sintìrimi celu comu a tia ... / Cusà ni quali funnu di jisterna / s’affuca lu me ruttami di suli?”;

“‘N cappeddu viola a nnocchi di villutu / t’appara du’ occhi micciusi: / sgagghi appuntati ni la peddi arrappata ... Lu to tuppu biancu si ‘nzerta / sutta li merguli e li frinzi ...”;

“E l’unni si spirtusanu di scogghi, / si stràmmanu, / si sfrìnzanu a linzudda ... La varca è sula: / li rimi abbannunati a li du’ stroppi / sunnu du’ vrazza ciunchi ...”;

“Mi scantu / di li to’ capiddi bianchi / lavati cu acqua di luna ...”.

Un linguaggio, questo di Aldo Grienti, ricco di strutture analogiche e simboliche, che vuole essere percepito piuttosto che spiegato; imbastito com’è di splendide pennellate: il sole che si affoga in fondo a una cisterna, le onde che si bucano di scogli, i capelli lavati con l’acqua di luna.

 

“Pochi i versi, è vero - si legge in un articolo firmato da Nicolò D’Agostino, pubblicato a Palermo sul numero di Aprile 1990 del Mensile di Letteratura Dialettale GIORNALE DI POESIA SICILIANA diretto da Salvatore Di Marco - perché in effetti Aldo Grienti non fu poeta di lunga militanza nell’area del dialetto siciliano, avendo trasferito, soprattutto negli anni Sessanta, nella poesia in lingua italiana e principalmente nelle arti figurative, le proprie vocazioni artistiche. Ma questo non inficia il valore letterario della sua opera di poeta dialettale. Aldo Grienti - prosegue D’Agostino - era <generazionalmente> nuovo, rispetto alla poesia dialettale degli anni Trenta-Quaranta. Egli era soggettivamente nuovo, e praticò subito (senza bisogno di rinnovarsi perché né aveva sostenuto o praticato poesia vecchia, né aveva nulla da aggiornare ad un modello poetico che in lui, giovanissimo autore, andava per la prima volta prendendo forma) un suo modo di fare poesia prima ancora che il vecchio, che la tradizione, lo contagiassero.”

Ecco ci sovviene Aldo Grienti pittore; ma ne parleremo più avanti. Troviamo piuttosto - e riportiamo - ulteriori testimonianze circa Aldo Grienti e i suoi testi.

“ARIU DI SICILIA - osserva Salvatore Di Marco in un pezzo pubblicato sul numero di Settembre 1988 di GIORNALE DI POESIA SICILIANA titolato UNA OCCASIONE MANCATA - fu fondato nel 1954 da Pietro Tamburello che ne assunse la redazione. Era un foglietto di quattro pagine, che usciva ogni mese e che durò esattamente da Marzo a Ottobre di quell’anno.” E, in prosieguo, quanto ai testi letterari pubblicati aggiunge: “In tutto si trattò di 115 poesie di 41 autori. Tra questi c’erano tutti i poeti che si riconosceranno quanto prima nel GRUPPO ALESSIO DI GIOVANNI. Parlo di Ugo Ammannato, Miano Conti, Aldo Grienti, Paolo Messina, Carmelo Molino, Pietro Tamburello e Gianni Varvaro.”

Il MANIFESTO DELLA NUOVA POESIA SICILIANA del 1989, nella sezione I POETI, propone quattro componimenti di Aldo Grienti: ROBBI DI SICCIA, OGNINA, SIRA E RABI.

ARTE e FOLKLORE di SICILIA di Catania (Alfredo Danese direttore) pubblica sul numero di Maggio-Giugno 1996 la poesia di Aldo Grienti ROBBI DI SICCIA che, col titolo FRULLARE D’ALI NERE, figura nella traduzione - proiezione preferisce Paolo Messina - italiana su DOVE PASSA IL SIMETO, opera alla quale ci siamo progressivamente accostati.

 

Riproponiamo ROBBI DI SICCIA, SIRA e RABI:

 

ROBBI DI SICCIA

 

Li mari s’accavarcanu affarati.

Si stiranu

s’arrappanu

si storcinu

si scorcianu di biancu;

e lassanu a li scirbi sdirrubusi

pruvulazzu di sali.

 

Lu celu s’accupuna

a li negghi c’arrancanu.

 

 

Sciurniari ntall’aria d’ali niuri

comu sti robbi di spiranzi nchiusi

fatti di siccia.

 

SIRA

 

Pi lu celu abbruscatu

sciddica

‘n occhiu sbarratu di suli.

 

Sfilazzi stanchi di nuvuli

mpinti a li crucifissi di li crèsii

si vannu nsanguniannu di tramuntu.

 

E lu silenziu scotula

supra la vita di cimentu armatu

lu so passu di cinniri

mentri lu scuru s’abbrancica

nta lu celu di ruggia.

 

RABI

 

Spazzi funnali d’acqua

trasparenti di stiddi

su’ l’occhi toi

Rabi

ca tremanu di chiantu.

 

E lu suli li nfoca

e lu ventu li lava

e la notti li nfascia

di scuru e di disìu.

 

Ti vogghiu beni, Rabi:

comu lu suli ca ti fa annurbari

di focu e di amuri

comu lu ventu ca ti fa lavari

di lacrimi e di celu

comu la notti

ca li suspiri abbrazza

strincennuti di sonni vagabbunni.

 

Rabi:

figghiu di la me notti

occhi ntrusciati di mari e di favula.

 

La rivolta, la rivoluzione alla quale a più riprese si è fatto riferimento, ha spazzato via la ridondanza dell’aggettivazione, l’oleografia dei vezzeggiativi, la sclerosi della tradizione.

 

DOVE PASSA IL SIMETO contempla 19 poesie.

Colpisce, non appena ci arriva tra le mani, la veste editoriale elegante e ricercata, il carattere dorato sul campo rosso (che all’interno poi si invertiranno), la riproduzione, in copertina, di uno dei dipinti di Aldo Grienti.

Perché Aldo Grienti è, negli anni della maturità, pittore. Salvatore Lo Presti lo definisce “pittore di schietto sentimento. Un sentimento che trasfonde nei suoi dipinti con serena compostezza, in una orchestrazione di colori che trasmutano in romantiche dissolvenze, soprattutto di grigi e verdi, creando visioni quasi irreali. Egli sente dentro di sé la nostalgia di un bene irraggiungibile e sogna la conquista di un felice approdo in cui bontà e amore affratellino veramente gli uomini. E così le sue <nature morte> (le quali sono piuttosto <personificazione> di oggetti) e i suoi <paesaggi> si illuminano di una tenue luce che carezza e assorbe il disegno culminando in quieti rossori. Luce che conferisce nobiltà e bellezza a <visioni> tenaci e suggestive, colte nelle assolate campagne di Sicilia, tra impervi sentieri, filari di alberi svettanti, casette sorridenti tra le lave dell’Etna.”

Sono presenti in questo volume, ad opera di Andrea Ciravolo, le riproduzioni a colori di ben undici tavole di Aldo Grienti; lavori eseguiti con svariate tecniche (pastello, olio, china, disegno, tecnica mista, sanguigna, cera) ricompresi però tutti - a eccezione di uno LA CASA ROSSA - nel lasso di anni intercorrente tra il 1982 e il 1986.

Introduce questa pubblicazione, voluta da Fosca Laila Grienti (la figlia di Aldo) all’indomani della morte del genitore avvenuta il 12 Marzo 1986 a Catania, una autorevole testimonianza di Paolo Messina, dalla quale traiamo: “Qualcuno (uno storico della nostra letteratura) prima o poi dovrà pure far piena luce anche su quella nuova ouverture siciliana. Qui ne parlo perché Aldo Grienti vi esercitò una funzione di primissimo piano e perché la sua personale poetica (visione generale e prassi) cominciò a prendere forma allora nelle opere in siciliano di cui molte liriche di questo libro sono la proiezione. La prima impressione di lettura dei suoi testi, infatti, è quella di una insolita laconicità, di una concisione spartana, pur nella sufficienza espressiva che non lascia fuori pagina alcun residuo immotivato. L’ombra, i punti oscuri, semmai, sono tematici, sono altrove, nella sua visione prospettica del mondo ... Aldo Grienti era un poeta di rara coerenza filosofica (ma non prigioniero di astratte convinzioni o di dogmi), egli non correva dietro alle mode, né mai si concedeva ai capricci della tribu, ma sperimentava la sua propria vita nell’arte senza mai farne spettacolo. Occorre anche precisare che le poesie qui raccolte nella loro più recente proiezione in lingua italiana furono composte nell’arco di un decennio (fra il 1945 e il 1955)”.

E continua Paolo Messina, nell’articolo cui s’è fatto cenno in apertura di questo viaggio “balza subito in evidenza che lo scarto fra i testi originali in siciliano e questa <proiezione> in italiano risulta minimo, che il dialetto non era più portatore di una <cultura subalterna>, ma si era innalzato alla ricerca di <contenuti> (e quindi di forme) su più vasti orizzonti di pensiero. Sicché con lui (e con gli altri poeti definiti allora “neoterici”) la poesia siciliana toccava il punto di non ritorno, aboliva ogni pregiudiziale etnografica, pur restando (linguisticamente) siciliana.”

 

Ben oltre l’omaggio filiale - di cui pure ha insiti i tratti del dovere e dell’orgoglio e dell’amore - questa silloge, allora, perviene!

La sua trama soffusa accomuna natura, sogno, angoscia del vivere ... la sintesi tutta della fatica e della grazia di essere uomini:

“Il mare sorregge / una curva tagliente di cielo. / ... voglio smorzare / le stelle con le dita / voglio posare sul palmo aperto / una lacrima di luna”;

“m’illudo / e prendo a calci / un brandello di sogno / per interrompere / l’angoscia di vivere. / E’ inutilmente giorno / con un cielo così.”;

“se non c’è più una stella / dove appendere i miei sogni?”,

“tutto è rimasto com’era / le case che sembrano stalle / la gente coi volti di lava / ... il sole che brucia la carne / la piana che t’entra nel sangue.”

 

Il Simeto sfocia alfine nello Ionio.

 

NON HAI ALI CHE PER TE

 

Lune accese

e notti sempre chiare

tu vuoi

uccello vagabondo

per le tue ciglia piagnucolose.

Ma stasera la luna

rompe i cerchi gialli

dentro lo stagno della noia.

 

E tu non hai ali

che per te.

 

So che rubi

il tuo pianto alle stelle

so che racconti

alle crepe infocate delle rupi

pene che non sono tue

so che ...

(Negli occhi tuoi d’azzurro

non hanno senso i ricordi.)

 

E piagnucoli.

 

Dio quant’acqua stasera

nei tuoi occhi

uccello bugiardo ...

 

Tu che non hai ali

che per te.

 

Aldo ... nella Poesia.

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