Interviste
INTERVISTA AL MAESTRO CALCOGRAFO ALFIO MILLUZZO
- Dettagli
- Categoria: Interviste
- Creato Lunedì, 11 Marzo 2024 14:35
- Pubblicato Lunedì, 11 Marzo 2024 14:35
- Scritto da Santo Privitera
- Visite: 385
E’ in corso di svolgimento alla Galleria d’Arte Moderna di via Castello Ursino 32, la mostra “Tra figurazione e segno. Incisione e incisori dell’Accademia delle belle arti di Catania(1968-2023)”. Inaugurato lo scorso gennaio, l’evento organizzato dall’Accademia delle belle arti di Catania in compartecipazione con il Comune di Catania e con il contributo del Ministero dell’Università e della ricerca, chiuderà al pubblico il prossimo 17 marzo. Il percorso espositivo curato dalla prof.ssa Laura Ragusa, segue un preciso ordine cronologico. Ricostruisce allo stesso tempo la storia della Scuola di grafica dell’Accademia delle belle arti di Catania e del suo fondatore: l’incisore, pittore e scenografo originario di Bronte, maestro Nunzio Sciavarrello(1918-2013). Circa 70 le opere in esposizione, 24 delle quali appartengono alla collezione di Alfio Milluzzo, incisore di fama internazionale che in passato ha occupato il ruolo di docente di tecniche dell’incisione presso la stessa accademia. Milluzzo ha sempre manifestato per l’arte contemporanea, un’attenzione particolare. Oggi è tra i maestri incisori più attivi e conosciuti. Sull’asse Urbino-Venezia ha sviluppato la sua ricerca sullo sperimentalismo ed il costruttivismo. Nella città lagunare il maestro originario di Scordia ha soggiornato, tenendo diverse mostre personali e collettive. Nel 1975 ha esposto alla “Quadriennale” sul tema “La nuova generazione”. L’anno successivo ha collaborato al corso di Tecniche dell’incisione tradizionale e sperimentale, tenuto da Riccardo Licata presso la scuola internazionale di grafica di Venezia. Tra i tanti riconoscimenti ottenuti, il premio speciale “Una vita per l’arte” come raffinato incisore e intelligente interprete dell’arte moderna e contemporanea. “ Dalla mia stamperia catanese”-afferma l’artista-“sono passati i più rappresentativi maestri incisori italiani e stranieri dell’arte contemporanea, anche loro hanno contribuito alla realizzazione di esperienze incisorie. Lo dimostra la mia collezione di stampe originali”.
-Lei oggi è considerato un innovatore nella tecnica dell’incisione…un maestro calcografo di alto livello…
“Innovatore perché da sempre ho sviluppato ricerche sullo sperimentalismo e il costruttivismo, distinguendoli per il rigore delle scelte compiute”
-L’incisione è una tecnica molto impegnativa, il suo rapporto con gli allievi?
“Agli allievi cerco di trasmettere amore, passione e rigore nello studio e nella pratica del segno inciso. Per studiare dal vivo opere di grande valore artistico e culturale, li metto spesso in contatto con la mia collezione di grafica e d’arte contemporanea”
-Il suo rapporto col maestro Nunzio Sciavarrello?
“ Il maestro Sciavarrello è stato per me un amico, ci ha uniti un rapporto tecnico-culturale basato sulle tendenze della scuola romana che lui prediligeva e che cercava di arricchire attraverso i vari incontri con artisti.” Catania 07.03.2024
Nella Foto, Alfio Milluzzo
INTERVISTA AL M° SALVO TROINA
- Dettagli
- Categoria: Interviste
- Creato Sabato, 16 Settembre 2023 17:13
- Pubblicato Sabato, 16 Settembre 2023 17:13
- Scritto da Santo Privitera
- Visite: 434
L’attività del m° Salvo Troina-come egli stesso ci tiene a sottolineare-scorre sui binari della legalità e della musica. Visto il continuo alternarsi tra il servizio in polizia e quello artistico, la sua sembrerebbe una vera e propria “deformazione professionale”. Come musicista, per tanti anni ha diretto la “Keys orchestra”(orchestra di tasti); una formazione unica in Europa nel suo genere, formata da giovani allievi pianisti. Oggi in pensione, Troina gira le scuole parlando ai giovani dei pericoli del web; mentre per gli anziani, attraverso apposite conferenze, si premura a metterli in guardia per evitare loro di cadere vittime di truffe e raggiri. Lo fa con passione e spirito di volontariato. Autore e regista, il prossimo 10 agosto alle ore 20.30 sul palco del palazzo della cultura dirigerà il concerto spettacolo “Cantando la storia e l’attualità” da egli stesso ideato. In questo spettacolo inserito nel cartellone del “Summer fest” e organizzato l’Archeoclub presieduto dalla prof. Giusy Liuzzo, per arginare il triste fenomeno della violenza genere si parlerà di “prevenzione”. “Nella prima parte”-spiega-“si canteranno le canzoni storiche dove la donna è presente come innamorata e mamma”. Seguirà un emozionante monologo dedicato a tutte le ragazze e donne uccise destinate purtroppo a diventare “invisibili”. Per finire, un inno all’amore e alla vita”.
-Cosa c’entra la musica con la prevenzione?
“Il connubio musica testo è sempre stata un’arma potente, ma quando un rapporto finisce la strada è tutta in salita. Come canta Ramazzotti: “Se bastasse una bella canzone” il condizionale è d’obbligo; quel “se” sottolinea tutte le difficoltà del caso”
- Dall’amore romantico all’amore criminale oggi il passo sembra essere breve…
“Sicuramente, l’inizio è sempre infatuazione/amore.Ma l’amore bisogna riconoscerlo e soprattutto accettarlo quando finisce. Troppe volte si chiama amore un qualcosa che non ha gli elementi per esserlo”.
-Lo spettacolo che sta per essere messo in scena è dunque un modo per mantenere viva l’attenzione verso questo triste fenomeno…
“Esattamente. L’arte serve anche a questo. La trama così come è stata concepita affronta tante sfaccettature del problema. Attraverso la narrazione di clamorosi fatti di cronaca, ad esempio, si mette in guardia a non sottovalutare mai alcuni segnali importanti su un rapporto di coppia ormai in disfacimento”.
Catania 08.08.2023
Nella foto, il M° Salvo Troina
INTERVISTA ALLA SCRITTRICE GIOVANNA LA VECCHIA
- Dettagli
- Categoria: Interviste
- Creato Domenica, 08 Ottobre 2017 14:18
- Pubblicato Domenica, 08 Ottobre 2017 14:18
- Scritto da Santo privitera
- Visite: 4186
Giovanna la vecchia nasce a Crotone; a quindici anni si trasferisce a Roma. Giornalista e scrittrice, ha pubblicato due romanzi(la biografia, Le Apparenze, vincitore di ben 17 premi letterari, e Skandha, storia di un viaggio in India), oltre a racconti, poesie, favole, prefazioni recensioni e guide turistiche. Madre di tre figlie, organizza corsi di Letteratura per l'infanzia. Da sempre, sua fonte di ispirazione sono i viaggi in giro per il mondo, gli amici, la natura, i sentimenti. Recentemente ha presentato a Catania, al Castello Leucatia, la silloge Se perdo me (di cui parleremo più' avanti).
MARCO SCALABRINO: ''IL NOSTRO DIALETTO SICILIANO E' GIA' NEL FUTURO''
- Dettagli
- Categoria: Interviste
- Creato Domenica, 07 Giugno 2020 00:53
- Pubblicato Domenica, 07 Giugno 2020 00:53
- Scritto da Santo Privitera
- Visite: 1194
Dialetto si', dialetto forse. Il dilemma rimane. Nonostante le leggi regionali varate per imporlo nelle scuole come materia didattica, l'iniziativa non decolla ancora come dovrebbe. Tutti i tentativi si sono arenati al momento dell'applicazione. Ma più' che un problema linguistico e' un problema culturale. Nell'era della globalizzazione, un dialetto che si evolve e' sinonimo di un popolo vivo sempre al passo coi tempi. Il critico letterario Marco Scalabrino, sostenitore di un nuovo rinnovamento che ha nella pratica e nella conoscenza della cultura siciliana i presupposti essenziali, espone il suo punto di vista. Il Professore trapanese, infaticabile conferenziere, saggista noto anche nelle comunità' siciliane d'oltre oceano, autore di una trentina di opere tra sillogi e traduzioni di opere in lingua straniera, ammette nella nostra breve chiacchierata, che il trapasso tra un secolo e l'altro e da un millennio all'altro e' stato più' faticoso del previsto.
Quanto incide oggi l’esterofilismo nel dialetto siciliano?
Il siciliano, è notorio, affonda le proprie radici nel tempo. Taluni studiosi ritengono che i Siculi – già stanziati nella nostra isola attorno all’anno 1.000 a.C. – vi fossero giunti dall’India e che la loro lingua doveva essere, se non proprio la sanscrita, una che certamente ne derivava; Lucio Apuleio, nel secondo secolo d.C., registrava che i siciliani parlavano tre lingue: il greco, il punico e il latino; a motivo dei numerosi altri “ospiti” che, da allora e fino al XIX secolo, sono poi approdati ai nostri lidi, si sono fra gli altri avvicendati l’arabo-siculo, il franco-siculo, l’ispano-siculo, eccetera. L’esperienza ci induce pertanto a valutare che non vi possa essere invasione aliena che possa scardinare il siciliano, assalto ovvero che esso non sia in grado, oggi come in ogni precedente circostanza, di reggere e di integrare senza per questo abdicare alla propria identità, anzi arricchendosene. D’altronde, giusto per il proprio ultra-millenario spendersi, necessariamente esso deve fare i conti col fronte magmatico dei tempi moderni, con l’arrembante tecnicizzazione, con l’imperante inglesizzazione. È inevitabile dunque, è nell’ordine naturale delle cose che, come ogni lingua, per sopravvivere esso venga a contaminarsi, debba adeguarsi al mondo che evolve.
Si è parlato di una koinè impossibile obiettivo da raggiungere; è d’accordo su questo?
La koinè, per esteso koinè diálektos (lingua comune), l’adozione in buona sostanza di un codice condiviso di scrittura, è per antonomasia, e paradossalmente per ossimoro, un termine e un tema che segnatamente nei decenni afferenti alla seconda metà del Novecento ha in guisa lancinante diviso e contrapposto, anche all’interno dei rispettivi ambiti, gli studiosi e gli scriventi del dialetto siciliano. La si liquidi, se si vuole, quale una mera utopia! E tuttavia non si precluda l’eventualità di percorrerne la strada a quanti, viceversa, abbiano in animo di porre in atto il raccordo fra essa e la poesia dialettale siciliana, a chiunque ossia ritenga che la poesia siciliana abbia a misurarsi con il rigore della forma, con la disciplina, a coloro che la avvertano quale un luminoso traguardo e una prassi compatibile con l’esercizio della poesia siciliana. Che ci sia allora cuore, passione, ingegno in chi scrive; ma, parimenti, non vi difetti la forma, la coerenza, la scelta! Non si creda che basti essere nati – e cresciuti – nell’Isola per scrivere il siciliano! Noi tutti ne siamo sì, in virtù di ciò, dei parlanti. Per acquisire l’altra qualità, la qualità che ci qualifichi scriventi, occorrono (a mio avviso) un preliminare apprendistato, un impegno volto alla conoscenza del dialetto, delle opere in dialetto degli autori siciliani e degli archivi inerenti sia all’uno che agli altri, la frequentazione di una propedeutica bottega di scrittura. In definitiva, bisogna che si ami il siciliano, che lo si studi, che lo si accudisca; bisogna che ogni scrivente acquisisca coscienza, determinatezza, responsabilità del proprio dettato.
Dopo quello dei Trinacristi, ci sono stati altri tentativi di rinnovamento nella poesia dialettale siciliana?
Il Trinacrismo, movimento sorto nel 1944 a Catania e i cui princìpi vennero illustrati in un articolo di Salvatore Camilleri apparso su Il Manifesto di Bari nel febbraio 1946, era composto – lo si chiarisce a beneficio di quanti non ne avessero contezza – appunto da Salvatore Camilleri, che ne era l’animatore, da Mario Biondi, che ne suggerì la denominazione, da Enzo D’Agata, da Mario Gori e da altri, i quali già appartenenti all’Unione Amici del Dialetto, presieduta da Giovanni Formisano, se ne distaccarono. Pressoché contemporaneamente, sul versante della Conca d’Oro, alla scomparsa nel 1946 di Alessio Di Giovanni, quel primo nucleo di poeti che comprendeva talune fra le voci più impegnate dell’Isola prese il nome del maestro e si denominò giusto Gruppo Alessio Di Giovanni. In questo caso, però, non ci fu alcun manifesto, né l’ausilio di un apparato critico, né un riscontro adeguato sulla stampa. Fra i capisaldi programmatici di questi ultimi vi erano l’elaborazione e l’adozione di una koinè siciliana e, inderogabile, la nozione dell’impegno; impegno inteso come partecipazione, anche con gli “atti di poesia, alla costruzione di una società libera e giusta, cosciente di potere progredire solo nella pace e nella concordia fra i popoli”. Usciti dalle macerie materiali e morali della seconda guerra mondiale, costoro, ovvero i Trinacristi e il Gruppo Alessio Di Giovanni, elessero loro maestri i simbolisti francesi e le avanguardie europee e affrontarono i problemi della poesia dialettale siciliana riguardanti la forma e il contenuto, la libertà metrica e sintattica e, soprattutto, l’urgenza del rinnovamento. Stagione tra il 1945 (si svolse a Catania il 27 ottobre di quell’anno il Primo raduno di poesia siciliana) e la metà circa degli anni Cinquanta (correva l’anno 1958 allorché si tenne a Palermo l’ultima manifestazione del Gruppo Alessio Di Giovanni), il Rinnovamento della poesia dialettale siciliana fu, quindi, stagione fondata sui testi e sugli esiti artistici individuali di giovani poeti dialettali prevalentemente palermitani e catanesi quali, oltre a Camilleri, Biondi, D’Agata e Gori sopra menzionati, Ugo Ammannato, Miano Conti, Antonino Cremona, Salvatore Di Marco, Salvatore Di Pietro, Aldo Grienti, Paolo Messina, Carmelo Molino, Nino Orsini, Elvezio Petix, Pietro Tamburello, Gianni Varvaro e altri. Un po’ protrattasi dopo di loro per gli anni Sessanta e Settanta, la fiamma del rinnovamento andò poi gradatamente spegnendosi.
È vero quanto affermano i “puristi” che i dialetti sono fuorvianti rispetto alla lingua madre italiana?
Di che lingua madre italiana stiamo parlando? Mi si permetta di riferire talune autorevoli fonti. “Tecnicamente – afferma Roberto Bolognesi – i termini lingua e dialetto sono interscambiabili… il loro uso non implica alcuna distinzione genetica e/o gerarchica. Tutti i cosiddetti dialetti italiani sono lingue distinte e non dialetti dell’Italiano”; “Il dialetto – assevera Salvatore Riolo – non è corruzione né degenerazione della lingua e non potrebbe mai esserlo, perché i dialetti non sono dialetti dell’italiano, non derivano cioè da esso”; “Una lingua – sostiene Max Weinreich – è un dialetto con un esercito e una bandiera”. Se ne evince, stando così le cose, che la distinzione tra lingua e dialetto “non ha a che fare con le caratteristiche interne di una lingua (fonetica, grammatica, lessico, struttura), bensì con le caratteristiche della comunità che la parla e in particolare con la sua volontà e la sua capacità di trasformare in realtà politica un sentimento identitario che si esprime attraverso la lingua”. La differenza perciò “consiste – asseriscono Luca Serianni e Giuseppe Antonelli – nella più limitata diffusione del dialetto rispetto alla lingua, nella sua minore importanza politica”, nel carattere di ufficialità che al dialetto viene negato; e ciò nasce da cause puramente storiche e sociali”. Ne è esempio lo stesso nostro italiano, il quale altro non è che il fiorentino assurto a lingua. Sulla base dei parametri appena esposti, il termine definitorio lingua non si addice al siciliano e nondimeno l’appellarlo dialetto nulla gli sottrae e niente affatto lo sminuisce.
Com’è cambiato il dialetto siciliano negli ultimi trent’anni?
Il recente trapasso da un secolo all’altro e da un millennio all’altro, a mio parere e dal mio remoto avamposto, è da ritenere il più faticoso che esso abbia mai vissuto.
Pubblicato sul quotidiano La Sicilia il 6 Giugno 2020
Nella foto di repertorio, Marco Scalabrino( secondo da Sinistra) e' con Carmelo Furnari, Salvatore Camilleri e Santo Privitera
NINO VALENZIANO SANTANGELO: IL SOFFIO VITALE DELLA SCULTURA LAVICA
- Dettagli
- Categoria: Interviste
- Creato Sabato, 12 Novembre 2011 08:29
- Pubblicato Sabato, 12 Novembre 2011 08:29
- Scritto da Santo Privitera
- Visite: 5990
Quei volti di lava che affollano le annerite pareti della casa-museo di v. Sant’angelo Fulci 55/A, hanno tutti un’anima: si chiama Nino Valenziano Santangelo (Nella foto). Uno scultore così appassionato e ingegnoso, così felice di dare vita alle pietre di lava, non poteva che essere catanese. Non ha le mani ruvide come quelle di un qualsiasi scultore, il maestro; né la “testa per aria” come ogni artista che si rispetti, ma la determinazione del missionario che sa di stare adempiendo a un preciso compito, questo sì. E la sua missione consiste nel riavvicinare sempre di più l’uomo alla natura, alla scienza, all’arte, consentendone la penetrazione. Scalpellare una pietra per liberare da essa ciò che già esiste in potenza, è certo una rapida via per conseguire con la massima semplicità questo ambizioso obiettivo. Gli arnesi che usa sono pochi: due scalpellini, bisturi, martello e limetta. Il resto lo compie l’ingegno. Sembra parlargli la lava: “Tu, cca, ha fari chistu!” ( Tu qui devi fare questo), e lui obbedisce.
Leggi tutto: NINO VALENZIANO SANTANGELO: IL SOFFIO VITALE DELLA SCULTURA LAVICA