Sant’Agata di mezz’agosto tra storia e leggenda
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- Categoria: Moda Costume e Società
- Creato Martedì, 02 Settembre 2025 14:28
- Pubblicato Martedì, 02 Settembre 2025 14:28
- Scritto da Santo Privitera
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La città è in festa. Si celebra oggi l’899° anniversario del ritorno a Catania delle Spoglie di Sant’Agata. Il venerato corpo della Vergine e Martire Agata venne trafugato nel 1040 insieme a quello di Sant’ Euplio e di San Leone il Taumaturgo, il vescovo che secondo la leggenda avrebbe sconfitto il mago Eliodoro bruciandolo davanti l’antica cattedrale. L’ autore del sacrilego furto, il generale bizantino Giorgio Maniace, lo avrebbe trasportato a Costantinopoli per consegnarlo come “bottino di guerra” all’allora imperatore Plafagone IV. Ma su quest’ultima versione non tutti gli storici pare siano concordi. Ultimamente circola una ipotesi più suggestiva e nobile: Maniace lo avrebbe fatto per sottrarre le sacre Spoglie dei santi cristiani agli arabi, sotto il dominio dei quali era la Sicilia. La lotta per spodestare gli “infedeli” a quel tempo si faceva di anno in anno sempre più aspra. Una possibile “caduta saracena” come in effetti sarebbe avvenuto trent’anni dopo ad opera dei Normanni, avrebbe potuto comportare gravi ritorsioni sui simboli cristiani della città. Sta di fatto però che il corpo di Sant’Agata, molto venerato anche dai Bizantini, prima che i soldati Goselmo(calabrese) e Gisliberto(francese) lo riportassero in patria, rimase in terra straniera per 86 anni. Tra storia e leggenda, c’è di mezzo tanta fantasia. Il viaggio dei due soldati sarebbe stato particolarmente lungo e avventuroso. Se fossero stati scoperti, li avrebbero passati immediatamente per le armi. Ebbero molto coraggio, anche perché secondo quanto narra la leggenda, Sant’Agata apparve in sogno a Goselmo. Lo avrebbe implorato di riportarla nella sua amata Catania. Il corpo di Agata, per essere trasportato, sarebbe stato smembrato e riposto nelle faretre dove i soldati solitamente riponevano le frecce. E qui di leggenda ne circola un’altra. Durante il viaggio in terra bizantina, Goselmo e Gisliberto sarebbero stati fermati da un gruppo di commilitoni. “Trasportiamo gelsomino” rispose Gisliberto a chi gli stava davanti. Un miracolo. Un profumo inteso si sparse per l’aria, tanto da convincere i soldati bizantini che era tutto vero. Da qui una tradizione ormai scomparsa da tempo a Catania. Fino ai primi anni ’70 dello scorso secolo, durante la festa di mezz’agosto, per le strade comparivano i venditori di gelsomino. Il mazzetto “piantato” nelle umide “sponse” di colore verde scuro, costava trenta lire. Tornando al viaggio. Lasciata la terra di Bisanzio, via mare le sacre Spoglie approdarono a Taranto e da qui a Messina. L’allora vescovo Maurizio che a quel tempo si trovava nella residenza estiva al castello di Aci, non esitò un istante a inviare due monaci benedettini nella città dello stretto. Le Membra riposte in una piccola bara, appena prese in consegna ripartirono via mare. Durante la navigazione, l’imbarcazione attraccò ad Alì Terme. In questa cittadina tutti gli anni si celebra il fausto evento. Da qui, prima di riprendere di nuovo il mare alla volta della residenza estiva arcivescovile, sarebbe stata solennemente trasportata in terraferma attraverso tortuosi sentieri fino a Taormina. Al Castello di Aci sostò un giorno: poi la processione fino a Catania. Il sacro drappello arrivò nottetempo nella città etnea. La consegna alle autorità cittadine avvenne al porto Ulisse (odierna zona del Rotolo). Era il 17 agosto del 1126. Il tragitto fino alla cattedrale venne salutato da due ali di folla festante e dallo scampanìo delle campane. I cittadini catanesi, con l’occasione, in segno di devota cristianità indossarono camici bianchi simbolo della purezza( e non vestaglie da notte). La veridicità dei fatti è narrata minuziosamente nella famosa epistola redatta dello stesso vescovo Maurizio. Il documento originale andato perduto probabilmente durante il terremoto del 1693, è stato attestato da autorevoli studiosi come il Carrera, Amico, De Grossis ed altri. “Un esemplare”-precisa la professoressa Mariuccia Stelladoro-“si conserva nel Liber Prioratus, passato dai monaci benedettini al clero secolare”. Il vescovo Maurizio, inoltre, nel luogo dove avvenne la consegna( nella odierna via Calipso) fece costruire una “Cappelletta votiva” distrutta dalle lave del 1381 prima e definitivamente cancellata dalle mani dell’uomo nei primi anni ’60. Al suo posto venne costruito un asilo nido. Non è rimasta traccia: solo un anonimo eucaliptus piantato all’interno di un semicerchio di basalto lavico. Negli anni ’90, a ricordo, il comune si premurò a collocarvi una lapide. Tutto qui. La ricorrenza di Sant’Agata di mezz’agosto ha una importanza fondamentale per la storia agatina, perché da quel momento hanno avuto inizio i festeggiamenti Patronali che oggi tutto il mondo ammira.
Pubblicato su “La Sicilia” del 17 agosto ‘25