ANTICHE STRUTTURE ABBANDONATE DI CATANIA

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L’abbandono è l’anticamera del degrado e l’inizio di una lenta agonia che conduce alla morte Anche le strutture abitative hanno una “vita”. Ciò che è stato abitato, se ripiomba di colpo nel silenzio e nel buio, si avvia verso un lento e irreversibile processo di disfacimento. L’edificio diventa facile preda di vandali e rifugio per il malaffare. Una vera e propria “bomba sociale” dagli effetti imprevedibili. In giro per la nostra città, non sfugge all’occhio attento del cittadino il lento decadimento di alcuni imponenti fabbricati abbandonati da tempo. In pieno Centro storico, da San Cristoforo al vecchio San Berillo, ci sarebbe molto da recuperare sotto l’aspetto urbanistico. Solo un accorto e provvidenziale intervento di restauro conservativo può ridare smalto, lustro e decoro a ciò che non si dovrebbe mai cancellare. Opifici, ospedali, lavatoi, fontane, chiese, antichi complessi edilizi, ex stazioni daziarie e molto altro, rappresentano il patrimonio storico di una città sempre viva e operosa. “Sempre fiorente “ avrebbe scritto l’indimenticabile storico Santi Correnti. Alcuni di essi potrebbero essere recuperati e restituiti ancora alla fruizione pubblica. Ciò indipendentemente della funzione  precedente. Proprio come è capitato ai vecchi locali dell’anagrafe, oggi prestigiosa sede museale. Lo sviluppo di una città passa attraverso l’utilizzo di spazi finalizzati alla pubblica utilità. Molte le idee, tanti i progetti. Anche se esistono i finanziamenti, le pastoie burocratiche purtroppo sono tra i fattori responsabili della lungaggine dei tempi. Si dice che di burocrazia si muore.  “Mentri ‘u mericu sturìa, ‘u malatu mori”. Di solito l’allungamento dei tempi comporta la lievitazione dei prezzi. Ma c’è anche la possibilità che non se ne faccia più nulla. Appena iniziati i lavori, bisogna fare gli “scongiuri” affinchè proseguino senza intoppi nei tempi dovuti. Se ci soffermiamo sulle incompiute, quello che fa più male e come a Catania negli ultimi decenni si siano annunciate opere faraoniche e poi finite nel dimenticatoio. Tanto per non andare lontano, testimonianza di questo abbandono sono gli enormi edifici dell’ex sanità catanese. La città è disseminata da nord a sud di opere dismesse, di enormi aree che potrebbero diventare un moderno volano per l’economia cittadina. Invece, al contrario, giacciono in mezzo a erbacce, sporcizia e spazzatura di ogni tipo. Pensiamo ai tre dei cinque ospedali dismessi; quelli ancora rimasti “al palo”: Ferrarotto, Santo Bambino e dell’Ascoli Tomaselli. Quest’ultimo era uno dei “fiori all’occhiello” della sanità catanese. Ubicato nella zona nord della città, gode di un panorama mozzafiato. A parte le “eccellenze” sanitarie ospitate, l’aria che si respirava era diversa dagli altri ospedali. Più salubre di quella del Centro città. Non a caso, infatti, questo ospedale nacque per accogliere i malati affetti da patologie pneumologiche.  Oggi è ridotto a un cumulo di edifici malmessi e depredati. Circolano pure storie di fantasmi che si aggirerebbero tra quelle mura ancora resistenti. E’ tornato ad essere in parte attivo durante il Covid, poi è stato nuovamente richiuso. Si attende una destinazione che tarda ad arrivare. E’ inutile avanzare ipotesi, tanto la soluzione(qualsiasi possa essere) appare ancora lontana. La dismissione degli ospedali si è fatta sentire nel corso delle emergenze relative alla pandemia. In quella occasione le forze politiche di destra e di sinistra si “rimpallarono” le accuse. I tagli però ci sono stati in virtù di  “tagli” lineare che di fatto non hanno giovato né all’economia né soprattutto ai malati. Nel degrado vi sono altre strutture. Una delle più clamorose è quella  dell’ex mulino Santa Lucia. Purtroppo, un cattivo biglietto da visita per i tanti “croceristi” che scendono al Porto di Catania.  Impossibile da nascondere. Se qualcuno di loro dovesse chiedere il motivo di tanto abbandono, spiegarglielo in poche parole non sarebbe possibile. “L’Intreccio” è molto fitto e complicato. Un gioco delle parti, un commedia dell’assurdo con tanto di “tragedia” al seguito. Sarebbe stato meglio lasciarlo com’era prima. Un rudere ma…dignitoso. Senza la “beffa” di un restauro milionario andato in fumo. “Jappunu soddi di ittari…” è stato il commento più appropriato. Di quello che forse doveva essere un grande rinomato hotel,  è rimasta integra solo la “ondeggiante” facciata bianca. Un sepolcro imbiancato. All’interno non c’è più nulla. Solo sporcizia dappertutto. E quella grande statua di gesso raffigurante Santa Lucia, dove sarà finita?  Era posta a bella vista nell’antica facciata fronte mare. Sembrava benedire i naviganti. 

Catania 06.07.2024

Nella foto di Santo Privitera, il vecchio mulino di Santa Lucia com’era prima dell’inutile rifacimento. La nuova struttura, oltre ad essere stata depredata, e diventata ricettacolo di disperati.

Pubblicato si “La Sicilia“ dell’8 Luglio 2024