CATANIA "IL MACHISMO"
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- Categoria: Moda Costume e Società
- Creato Mercoledì, 29 Novembre 2023 18:52
- Pubblicato Mercoledì, 29 Novembre 2023 18:52
- Scritto da Santo Privitera
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“Noi siam gli allegri scapoli refrattari al matrimonio, la donna è sesso debole ma è sorella del demonio”. Questo è l’incipit di una canzone che negli anni ’20 ottenne un successo clamoroso. La cantava Aurelio Cimato(detto Gabrè), un tenore fedele al regime. In questa occasione però andò contro corrente dividendo la platea maschile. La donna, durante il ventennio fascista, nel suo ruolo di madre di famiglia era considerata quasi una sacralità. Era preposta a procreare per il bene della Patria. Fatte le dovute eccezioni, fu la gelosia la causa scatenante dei più cruenti femminicidi avvenuti in quel periodo. In gran parte giustificati dall’allora “Codice Rocco” che comminava pene ridicole nei confronti dei mariti che si macchiavano di questi orrendi crimini. Da allora a oggi ne è passata acqua sotto i ponti. Nel frattempo, il concetto di famiglia si è notevolmente affievolito. Il ruolo della donna, addirittura capovolto. Le associazioni femministe hanno dovuto lottare parecchio per ottenere questo risultato. Parlare oggi di “Patriarcato”, è come vanificare il loro operato. Il “Patriarcato” è un concetto che non esiste più: almeno in Occidente. Abbondantemente superato dalla evoluzione dei tempi. Svuotato dei suoi antichi contenuti. Per dirla con l’uomo della strada: “ Oramài jè ‘na parola ca si rici”. A evocarne lo spettro, con molta probabilità è rimasto solo chi intende farne un uso politico di questo termine. Piuttosto è un certo residuato di “Maschilismo” che bisogna combattere. Obsoleto e irrazionale. La donna di oggi è una “manager” una professionista affermata. Possiede una propria “fisionomia sociale”, e questo ha finito per innescare uno stato conflittuale tra i “Generi”. Si parla di “Amori malati” per evidenziare il disagio causato dalla incomunicabilità delle coppie cosiddette “Moderne”. Il concetto di “Macho”, pur agonizzante, resiste ancora. Non viene accettato il fatto di essere questo un modello superato. Temendo un “sovvertimento dei ruoli” e sentendosi minacciato, chi ancora risente di questa pseudo “cultura” reagisce con atteggiamenti violenti, ingiustificati e perfino criminali. Anticamente era “normale” ascoltare senza indignarsi, frasi del tipo: “ Stamatina ‘ci rèsi ‘nsuttamussu ‘a me muggheri, picchì non m’ascutàu”. Per “Suttamussu”-nel gergo siciliano- si intende uno schiaffo a mano rovescia mollato sulle labbra di una persona. I mariti violenti lo usavano frequentemente contro la malcapitata consorte. Soprattutto quando questa prendeva parola oltre il “consentito”; ovvero: “Quannu parrava assai”.
Ma questa tipologia culturale ha retaggi arcaici. Senza andare troppo indietro nel tempo, accenniamo ai costumi del secolo scorso ereditati dai precedenti. Chi nasceva maschio, da sempre è stato un privilegiato. “Masculu è”, e giù zibibbo e biscotti. La mascolinità andava ostentata. La “privacy” questa sconosciuta! Vi era l’usanza di fotografare i bambini con “La ciollina”( genitale) di fuori. Questa non era considerata affatto una pratica “Vastasa”. Anzi. Orgoglio di mamma e papà. “Cummari Nina, cummari Vicenza/ tinitilu a lenza ca nasci ‘u nguà nguà/- cantavano le popolane nei cortili e nelle strade catanesi- “Su è masculiddu mannàtilu ‘a scola/ s’è fimminedda ‘a cosètta si fa”( Cummari Nina). Questo per comprendere meglio il destino che attendeva le figlie femmine. “Auguri e figghi masculi” era rivolto ai novelli sposi durante il tradizionale lancio di riso all’uscita della chiesa. Il detto “Ti mittisti l’acqua intra” ha un significato ancora più preciso. Riguarda il parto della donna quando questo avveniva in casa. Se il nascituro era maschio,l’acqua del primo bagnetto veniva scaricata per terra nel cortile: “‘A vista î tutti”. Ciò perché si capisse il significato del gesto. Le signore venivano subito a complimentarsi con la neo-mamma. Se erano presenti, anche con i parenti. Diversamente, calava il silenzio. L’acqua veniva tenuta rigorosamente nascosta per essere poi smaltita a notte fonda. Nella letteratura catanese, questo tema è trattato ampiamente. Basti pensare al “Gallismo” di brancatiana memoria. Un misto di seduzione e di erotismo tale da rendere gli uomini schiavi dei loro stessi desideri. Il catanese è stato sempre fiero della propria virilità. Giovani e meno giovani, assaltati dai “sensi”, si esprimevano con cenni di interessata riverenza. Un mondo dorato, fatto di sguardi “eloquenti”. Qui la donna veniva elevata alla massima esaltazione. C’era almeno la consapevolezza che questa non si dovesse picchiare “neanche con un petalo di rosa”. Il poeta Francesco Guglielmino, parlando delle proprie esperienze e quella dei siciliani, a Giovanni Verga si rivolse con una chiusa finale: “Siamo romantici”. La risposta del grande scrittore verista non si fece attendere: “Ma che romantici figlio mio: siamo ingravidabalconi”.
Nella foto: scena di un corteggiamento "machista"
Pubblicato su "La Sicilia" del 26.11.2023