TRA I CANTI POPOLARI SICILIANI

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La musica è tra i fattori che hanno reso celebre l’Italia nel mondo. Musica colta per gusti più raffinati; musica popolare per chi invece predilige le antiche tradizioni. Si dice che l’Italia sia “Patria di santi e navigatori”: perché non aggiungere anche…di “poeti, musicisti e cantanti?” Ciascuno nel proprio ruolo, è da considerare “cassa di risonanza” della divina arte. Non solo i professionisti affermati, ma il contributo dei cosiddetti “Illetterati” e “orecchisti” è stato determinante. Loro si formavano nella “strada” a contatto con la realtà di tutti i giorni. Praticavano i mestieri più umili. A Catania, all’ospizio di beneficienza, tra i vari mestieri si insegnava pure la musica. Celebre “ ‘a banna do’ cummittu” composta dagli “orfanelli”. Veniva ingaggiata per esibirsi nelle cerimonie pubbliche. In questa struttura dove insegnò il musicista ricercatore e direttore d’orchestra Francesco Paolo Frontini, si formò professionalmente anche il maestro Gaetano Emanuel Calì. Il musicista catanese fondatore nel 1929 dei Canterini etnei, sui versi del poeta Giovanni Formisano, compose pure la celebre mattinata “ ‘E vui durmiti ancora”. Da quelle mura uscì pure Giovanni Gioviale, incontrastato genio del mandolino. Dalla lirica all’operetta, dalla ballata alla canzonetta, il nostro Paese vanta una tradizione musicale che non è seconda a nessuno. Dell’ampio comparto a carattere culturale racchiuso nel termine Folk(popolo)+lore(sapere), i canti popolari dialettali sono parte integrante. E’ importante sottolineare come in alcune regioni piuttosto che nelle altre, l’esaltazione delle bellezze naturali dei luoghi hanno ispirato capolavori immortali.  Gioie, dolori, patimenti e amori sono stati i temi più comuni. Trattati con la giusta dose di umorismo e ironia, hanno ben rappresentato lo spirito e la filosofia in dote al popolo. “Romagna mia/Romagna in fiore/ tu sei la stella/ tu sei l’amore”, si canta nell’Emilia Romagna del “Liscio”. Mentre in Puglia, terra della “Taranta” e della “Pizzica”, stride un po' quel: “Qunt’è bellu lu primm’ammore…’u secunnu ‘è chiù bello ancor”(Lu maritiello).  La canzone napoletana classica, ad esempio, è conosciuta in ogni angolo del pianeta. Grazie anche agli interpreti che l’hanno resa particolarmente accattivante. Molti dei suoi più celebri motivi sono stati tradotti in diverse lingue. “Chist’è ‘o paese d’o sole/ chist‘è ‘o paese d’o mare/ chist’è ‘o paese addo’ tutte è canzone so’ doce o so’ amare/…so’ sempe parole d’ammore”/( ‘O paese d’o sole). Era 1925 quando i poeti Vincenzo D’Annibale e Libero Bovio la scrissero. Se le delicate note di Giovanni Danzi celebrano una “Bela madunina che le brilla de luntan”; a Firenze  “sull’Arno d’argento si specchia il firmamento/ mentre un sospiro e un canto si perde lontano”(Firenze sogna). Lo spirito “capitolino” aleggia sempre tra le note delle canzoni romane. Non un “addio” ma un “Arrivederci”. “Arrivederci Roma/Goodbye, Au revoir”. Cantava così un “piccoletto” ma grande Renato Rascel figlio prediletto della città eterna. Dal Nord al Sud il divario sta pure negli atteggiamenti femminili. Alla frivola “Bella Gigogin” si contrappone una morigerata “Calabrisella ciuri d’amuri”.  La Sardegna delle ballade” a suon di launeddas(caratteristico strumento musicale a fiato), si potrebbe fare un discorso a parte. Per farlo, dovremmo però addentrarci in un mondo pastorale un po' troppo complicato. Questo ideale “excursus canoro” nell’Italia della canzonetta popolare, sia pure largamente rimaneggiato, si completa nella nostra Isola. “Forti, sunati forti sunaturi/ cu bummuli friscaletti e marranzani/ ca chistu è lu vantu di li Siciliani”.(Terra d’amuri). Nel 1985 dello scorso secolo, così scriveva un poeta contemporaneo nostrano. Il repertorio musicale è molto vasto. I ritmi vivaci e allegri si alternano a melodie struggenti e commoventi. A essere considerato l’Inno della Sicilia, è il brano “Ciuri ciuri”. Alla versione originale del 1833 rinvenuta nella raccolta Frontini, sono seguiti diversi rifacimenti. Quello del 1939, più consistente, sarebbe stato operato dal critico e musicologo Francesco Pastura coadiuvato dal poeta Carmelo Molino. E’ stato interpretato anche da celebri artisti. “Vitti ‘na Crozza” è invece un motivo tanto famoso quanto discusso. Dopo anni di contrasti dovuti ai diritti d’autore, è stato finalmente attribuito al musicista agrigentino Franco Li Causi. Si tratta di un canto funebre ispirato ai minatori morti e rimasti sepolti nelle miniere. Un’atto d’accusa contro una società insensibile, avida e egoista.  Il motivo originale, è stato successivamente trasformato in un ballabile che parrebbe stridere con il contenuto. In realtà quel “Trarallallero, lallero…lallero…” non è altro che una variante per esorcizzare la morte.