GIOCHI FANCIULLESCHI DI UNA VOLTA

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Come spiegare alle nuove generazioni i giochi fanciulleschi di una volta? Impossibile. Da dove incominciare? Sono migliaia e tutti con la loro fascinosa storia. Hanno fatto parte di un mondo infantile che non lasciò a nessuno il tempo di annoiarsi. Formativi perché genuini. ” A palla avvelenata”; “miffa”, “nascondino”( ammuccia ammuccia); “sciancateddu”, “a pammata”, “ i ciappeddi”, “‘a petra pigghiula”, “ ‘i pruspira”, fanno parte ormai di quel “museo” della memoria che alberga in ciascuno di noi. “Caricabotti viri ca vegnuuuu!!!”; “ Se riconosci uno di questi giochi, hai vissuto un’infanzia felice”. Questo detto circola sui social di oggi. ‘A casa, nelle scuole, negli oratori o nelle strade, ci si divertiva senza pensare ad altro. Erano giochi semplici e non generavano alcuna dipendenza. Stimolavano la creatività attraverso la fantasia. Per praticarli, dovevi prima “progettarli. Trovare la materia prima, non era un problema. Spesso il gioco dovevi inventartelo, e allora lo sentivi intimamente tuo. Se piaceva, diventava….”virale”( questo termine allora veniva usato solo nel reparto di infettivologia dei nosocomi). Nelle scuole, erano i maestri ad inventarli. Il maestro, unico dispensatore di didattica saggezza, al termine della lezione ricorreva ai giochi. Lo faceva per distrarre gli alunni ancora provati dalle fatiche mentali sostenute durante le lezioni. A Catania, negli anni ’60 dello scorso secolo, andava di moda il gioco dei “sacchi pieni” e “sacchi vuoti”. Un gioco dai movimenti ginnici che univa l’utile al dilettevole. Si praticava restando ciascuno al proprio posto. Bisognava rimanere all’impiedi o abbassarsi sulle ginocchia assecondando un preciso comando. Chi sbagliava, veniva segnato alla lavagna. I soldatini di plastica era come se possedessero un’anima. Con loro si giocava; I bambini gli prestavano la voce. Sui tavoli della cucina o nella stanza da pranzo, venivano allestiti i campi di battaglia. Era tutto un simulare di botti e cannonate. Dentro la scatola del “Vel”, detersivo in polvere per uso casalingo, c’era sempre un soldatino, una nave da guerra o un carro armato in miniatura. I bambini incitavano le loro mamme a comprarlo. Speravano nella sorpresa. La felicità era tutta delle bambine quando, “abbuddata” la mano nella scatola col detersivo, “pescavano” una bambolina. Contrariamente a quel che accade oggi, i giochi di un tempo non costavano quasi nulla; si utilizzavano infatti oggetti comuni facilmente reperibili. La formula ricorrente era: “Comu jegghè, basta ca jucamu!” Da soli o in compagnia.. Così pietre, legni, tappi di bottiglie, noccioline, elastici, stoffe ed altro, venivano riciclati. Per il “carriolo a pallini” occorreva una tavolaccia, due pezzi di legno e tre cuscinetti a sfera. Per ottenere questi ultimi, bisognava andare da un meccanico il quale non sempre li regalava. I ragazzi più intraprendenti, andavano a “caccia” muniti di Fionda. Per la sua costruzione veniva utilizzato un ramo forcuto pazientemente modellato sul fuoco. Due elastici ricavati dalle camere d’aria delle biciclette venivano legati alle sue estremità. Al centro, un pezzetto di pelle ritagliato da vecchie scarpe fungeva da “piattaforma di lancio”. L’arco e le relative frecce invece venivano costruiti adoperando le stecche di un ombrello dismesso. Alle estremità si legava lo spago e l’arma era già bella e pronta. Come faretra, la manica di una vecchia giacca cucita alla sua estremità. La “ciarbottana?”…non è una brutta parola. E’ quello che noi tutti conoscevamo come “ ‘u cattocciu”. Un tubo di plastica che soffiato con forza, sparava. Poteva essere caricato con i minicucca( bacca di bagolaro) o con cartocci di carta. Quando all’estremità di questi ultimi veniva applicata una “spimmula”( spillo), il gioco diventava pericoloso. Le due mollette applicate, non era per reggerlo meglio ma per farlo i sembrare…un mitra. Il carbone o la pietra calcare venivano utilizzati per tracciare segnali sul selciato; segnali utili per creare un percorso da seguire. ‘U “sciancateddu” era tra questi. Prediletto dalle ragazze; i ragazzi se ne appropriavano per mostrare la propria abilità nel salterello. Mantenere la separazione tra i due sessi però era importante per l’occhio sociale. Una cosa erano i giochi maschili, altro quelli femminili. Guai a sovrapporli. Preoccupava un bambino scoperto a giocare con le bambole. Stupiva se una bambina giocava a fare il Cow Boy con la pistola: “Scavaddataaa!” le avrebbero gridato. “Mazinga” e gli altri robot “volanti” di marca giapponese, segnarono una svolta. Niente più filastrocche o cose del genere; solo musiche martellanti e luci psichedeliche. Piombarono in tv con la stessa potenza con la quale si lottavano tra loro in un mondo intergalattico sconosciuto. Questi mostri intercambiabili si affermarono congedando definitivamente i vecchi soldatini. Niente più cannoni né fucili. Nei giochi fanciulleschi di quel periodo, le supposte diventarono “missili” da lanciare contro il "nemico".

 

Nella foto, il girotondo dei bambini

Pubblicato su La Sicilia del 12.07.'21