STORIE DI CATANIA: "QUANDO L'ELEFANTE DI PIETRA STAVA PER ESSERE SPOSTATO"

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(…) ‘A l’Elefanti bestia,/ ca non si smovi mai,/ ci lassu pri mimoria,/ tutti li peni e guai!/Con questi versi, il poeta popolare Cicciu Buccheri Boley chiudeva uno dei suoi tanti componimenti dedicati all’Elefante di pietra lavica simbolo di Catania. La poesia “Lu novu tistamentu” risale al 1927; ne sarebbero seguite tante altre su questo tema. Lui, Boley, con ‘U Liotru “ci parrava”quotidianamente; probabilmente ancora oggi molti catanesi lo fanno in silenzio. Sono gli anziani che ricordano la propria giovinezza nella città che nel frattempo è cambiata molto; i disoccupati che fanno la spola tra la piazza e la ringhiera antistante la pescheria; i turisti che lo guardano con curiosità mentre si chiedono cos’abbia di particolare questo animale per rendere così fieri di lui i cittadini che rappresenta. “Marca Liotru” è ormai una definizione che tutto il mondo conosce. Etichetta indelebile indice di pura catanesità. Eppure il povero pachiderma, nell’arco della sua esistenza ne ha viste di cotte e di crude. A partire dalla leggenda di Eliodoro. Il mago dal quale deriverebbe per corruzione linguistica il nome di “Liotru”, lo avrebbe cavalcato in volo sottoponendolo alle fatiche più immani. Eppoi il terremoto. Lo ritrovarono con le zampe mozzate sotto le macerie. Durante la festa della matricola, i giovani universitari, attentando al suo pudore, si divertivano a pulirgli le parti basse. Dal suo stilobate (basamento) domina dall’alto, ma è proprio questo il motivo che lo rende bersaglio di tutte le proteste che periodicamente si svolgono in città. Meno male che è di pietra. Qualche anno fa, gli affissero il cartello “Si Vende”. Ci mancava pure questa. Una pubblicità apparsa su di un quotidiano, lo ritrasse nelle sembianze di un maiale. Ma si può essere così cinici!? “Su ‘u liotru putissi spustarisi di unni è misu”-afferma un attempato signore- “ ‘a corpa di fungia ‘ni facissi curriri a tutti!!!”. Andando a ritroso nel tempo, scopriamo altro. La raggiunta Unità d’Italia, per lui era cominciata male. Eppure, per sconfiggere gli odiati Borboni, i Patrioti avevano fatto affidamento alle sue conclamate virtù talismaniche. Le aspettative non andarono deluse; …ma quale fu il trattamento che gli venne riservato? Era il 1862 quando una violenta campagna di stampa venne sferrata contro di lui. Scrive il “Giornale di Catania” nel maggio di quell’anno: “Tutto sembra andare per il meglio, il piano del Duomo è in corso di abbellimento…e allora? Che si aspetta a togliere quel mostruoso elefante? Che si aspetta a piazzarlo fuori Porta Garibaldi, in modo che il Duomo, sgombro da ogni cosa, resti un vero salone da ballo? “… Ma come, spostare a piazza Palestro l’Elefante simbolo di Catania?… il primo monumento nato a suggello della rinascita catanese dopo il terribile terremoto del 1693? Quello che il popolo sotto sotto definiva una “follia”, venne presa invece in seria considerazione dall’Amministrazione cittadina a quel tempo governata dal sindaco Cav. Giacomo Gravina. L’architetto Vaccarini che nel 1737 lo aveva fatto erigere al centro della piazza, si sarebbe certo rivoltato nella tomba. In un primo momento le autorità sembravano averla vinta. Fecero tutto in fretta. Pochi giorni dopo avere deliberato la rimozione, cominciarono i lavori. Issato il ponte, l’Elefante venne saldamente imbracato per essere tirato giù. Lo strano silenzio che fino a quel momento aveva aleggiato attorno alla vicenda, venne squarciato dal Capitano delle guardie D.Bonaventura Gravina. Raccontano le cronache che l’intervento fu tempestivo. Il militare, sguainata la sciabola, fermò d’imperio l’operazione. “Ohhhhh…..fremmi!: unni jiti cco’ sceccu?!” sembrò gridare. Da lì a poco si radunò una folla minacciosa che cominciò a inveire contro il palazzo municipale. Con il passare dei minuti si faceva sempre più rumorosa e pressante. Un gruppo di cittadini chiese a gran voce di essere ricevuta dal sindaco. Questi non si fece pregare due volte. Constatata la grave situazione che si era venuta a creare, fu costretto a ritornare sui suoi passi. Con la stessa velocità con cui avevano approvato l’infausta delibera, i consiglieri procedettero al suo immediato annullamento. L’elefante fu salvo. Meno di vent’anni dopo però, si tornò alla carica. Questa volta la “minaccia” partì dal giovanissimo Federico De Roberto. Il futuro autore del romanzo “I Vicerè”,napoletano di nascita ma naturalizzato catanese, in una ironica corrispondenza datata 1881 scritta per il quotidiano italiano “Il Fanfulla”, propose di erigere la statua di Bellini al posto dell’Elefante. Manco a parlarne. Una iniziativa considerata provocatoria che non fu presa neanche in considerazione. Anni dopo, lo stesso scrittore ebbe a lodare questo monumento definendolo autentica espressione di tre civiltà: La Punica, rappresentata dall’elefante; l’Egizia, rappresentata dall’obelisco; il globo e la Palma, simbolo della cristianità.

 

Pubblicato su La Sicilia del 26.07.'21