STORIA DI UNA DRAMMATICA ATTUALITA': "A Sant'Aita, doppu c'arrubbaru ci ficiunu 'i potti 'i ferru"
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- Category: Storia e tradizioni popolari
- Created on Sunday, 26 October 2014 15:43
- Published on Sunday, 26 October 2014 15:43
- Written by Santo Privitera
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Miiihhh……su futteru!!! È questa la tipica locuzione del catanese di fronte alla scoperta di un furto. Visto che ormai il verbo sinonimo di ruberia non costituisce più un tabù neanche per i dizionari, lo collochiamo nell’alveo semantico di più largo uso. Il bello, semmai qualcosa di bello ci fosse nell’argomento, è che questa espressione è di notevole attualità. I furti clamorosi nelle città d’arte continuano a perpetrarsi con drammatica regolarità, Catania non fa eccezione. La recente scomparsa dell’ottocentesca fontana ubicata all’interno del restaurando Palazzo che fu del bibliofilo Barone Ursino Recupero, costituisce ulteriore conferma. Una beffa oltre che un danno, perché ogni opera d’arte trafugata costituisce un impoverimento della memoria storica cittadina. Il mercato dell’illecito è sempre fiorente e la storia dimostra che la colpa non è solo da ascrivere alla crisi economica. Nel tempo, a farne le spese sono state chiese, cimiteri, giardini e uffici pubblici, palazzi nobiliari, musei compresi. “Nuddu t’arrobba si nun ti sapi”, recita un famoso proverbio siciliano”. Sacrosanto! E ancora: “ ‘U latru fa sulu ‘mpinseru, ‘u rubatu tanti”, di conseguenza gli investigatori hanno sempre dovuto lavorare sodo per individuare i colpevoli riuscendo a recuperare, anche a distanza di tempo, la refurtiva ritenuta persa per sempre. “A Sant’Aita, doppu c’arrubbaru, ci ficiuru i ‘potti‘i ferru”, è un detto tutto catanese che dimostra come “prevenire è meglio che curare”. Si riferisce al furto perpetrato nel 1892 ai danni del fercolo agatino. Il caso è stato poi brillantemente risolto in pochissimo tempo e i responsabili spalleggiati da un prelato nel ruolo di basista, assicurati alla giustizia.
Catania, nel tempo, è stata vittima di infinite ruberie. Impossibile citarle tutte. Dal Museo belliniano violato in varie occasioni alle preziose collezioni del Castello Ursino sottratte a poco a poco con “destrezza”, il danno alla memoria collettiva sembra essere davvero incalcolabile. E Che dire del Monumentale cimitero dell’acquicella? Senza contare arredi, fregi e suppellettili, pregiate sculture in marmo o in pietra lavica rappresentanti Angeli, Santi e quant’altro, hanno preso il volo senza più tornare. Così non è stato nel 1995 allorquando sparirono dal Viale degli uomini illustri i busti bronzei di “Gianni Bucceri” e “Pietro Platania”. Due opere di pregiata fattura realizzate dallo scultore Salvo Giordano. Erano poste su stele di marmo collocate nelle rispettive tombe. Sparirono improvvisamente, nessuno sembrò accorgersi di niente. La denuncia arrivò parecchi giorni dopo grazie alla segnalazione inoltrata da un visitatore all’ignaro direttore. La macchina investigativa messasi immediatamente in moto approdò pochi mesi dopo a un brillante risultato. La refurtiva, infatti, venne ritrovata a Palermo e il ricettatore che la custodiva nei propri depositi, arrestato. Le opere recuperate, riconsegnate con solenne cerimonia al sindaco di allora, si troverebbero ora (salvo sgradite sorprese) al Museo Civico del Castello Ursino.
Nella foto del 1991, prima del trafugamento, il Busto bronzeo del M° P.Platania.