Carretto e carrettieri

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 Si trovano nei bazar, in bella mostra nei bar e perfino in qualche salotto nobiliare; parliamo dei carrettini siciliani in miniatura. Assieme al ficodindia, al pupo e alla trinacria, è simbolo della sicilianità. Per i turisti che visitano l’Isola, è forse il souvenir più apprezzato. I carretti, quelli veri, possiamo invece ammirarli esposti in qualche museo o durante le sfilate che di si svolgono nelle stagioni più calde. Non c’è immagine pubblicitaria dell’Isola dove il carretto siciliano non compaia seguito dalla canzone “Ciuri ciuri”. La sua presenza non va considerata solo in chiave folcloristica, ma come pura espressione culturale. Infatti assomma a sé il carattere di tutto un popolo. Rappresenta al tempo stesso, gioia, accoglienza e operosità dei siciliani. A completare il “quadretto”vi sono i suonatori che con i loro tipici costumi, gli strumenti a corda, a fiato e a percussione, lasciano una scia di sano buon umore. Vista da vicino, la sfilata dei carretti siciliani è sempre spettacolare; un evento assolutamente da non perdere. Quello del carrettiere è un mestiere antico quanto il mondo. Un un mestiere duro, faticoso, paziente e silenzioso, che l’uomo condivideva solo con il suo animale da soma. Il carrettiere trasportava di tutto. Quando “scattiava ‘a zotta”(frusta), “ ‘a cravaccatura”( l’equino) capiva che doveva partire. Gli escrementi dell’animale venivano poi utilizzati negli orti come fertilizzante. Il cosiddetto “stallatico” è un ottimo concime ancora oggi in uso. Un tempo veniva raccolto per strada dal “fumararo” che lo ammonticchiava prima di rivenderlo. Romantico, scanzonato e un po’ poeta, questo era nell’immaginario collettivo il volto del carrettiere. Qualche volta sapeva anche essere violento. Verga, nella sua Cavalleria rusticana, lo raffigurò al naturale. I lunghi viaggi sotto le intemperie, lo costringevano a periodi di rassegnata solitudine. Così il canto e la poesia diventavano i migliori compagni di viaggio. Componeva versi senza saperlo. Nulla di scritto lasciarono i carrettieri, perché erano quasi tutti analfabeti. I pochi frammenti che si conservano, sono tutti per “sentito dire”. Nei primi del ‘Novecento, alla Barriera, un noto carrettiere meglio conosciuto con il nomignolo di “Munniali”, recitava strada facendo le sue “chilometriche” composizioni dai temi bizzarri. I ragazzi lo incitavano per ascoltarle dalla sua viva voce. “Zzu Pippinu,…chi ffá, puisii nenti oggi!?….. E lui: “Stu sciccareddu di lu sangu puru/forti mi fa parrari e sempri chiaru/di tutti li ‘mprisi so sugnu sicuru,/ pettu di ferru e carina d’azzaru”(…). Scrittori, poeti e musicisti rimasero affascinati dalla figura quasi mitologica del carrettiere. Da qui la nascita di tutta una vasta letteratura in parte sconosciuta. Lo zoccolare ritmico del cavallo, era “musicale”. “Ah Tira, mureddu miu, tira e camina/ eh, ca l’ura è tarda e a casa è luntana./Eh ccu lu sgrusciu di li roti e la catina/ ti cantu ‘na canzuna paisana”(…)(Tira mureddu miu). Sono i versi di un’antico brano appartenente al repertorio tradizionale siciliano. La prima descrizione del carretto siciliano risale al 1833, compare nel resoconto di un viaggio fatto in Sicilia dal francese J.B. Gonsalve de Nervo. A incuriosirlo, furono soprattuto i colori, le sponde istoriate e tutti quegli elementi decorativi che lo impreziosivano. Di solito le scene erano d’argomento religioso, leggendario oppure cavalleresco. La pittura del carro, assolve diverse funzioni: protettiva del legno, ma anche magico-religiosa per allontanare ogni possibile negatività. Il pittore Santantonese Domenico Di Mauro ( Minicu)scomparso nel 2016 alla veneranda età di 103 anni, fu uno dei più illustri artisti in questo campo. Per creare un’opera artigianale così complessa, occorre impegno e abilità. Tre sono le figure professionali che collaborano: Il carradore, colui che assembla le parti lignee; il fabbro( ‘u firraru) il quale realizza boccole e meccanismo per la funzionalità delle ruote. Per ultimo, l’intagliatore che oltre alla scultura cura le pitture. Prezioso è il carretto, ma anche la bardatura del cavallo. Finimenti e cinghie ornate di specchietti, sonagli, piastrine, fiocchetti multicolori, pennacchi, galloni, frange e cianciane. Oggi sono pochi i cultori del carretto siciliano, ma nelle zone dell’acese e nei paesini alle falde dell’Etna, la tradizione è ancora viva. Viene tramandata da padre in figlio. Proprio in questi giorni è in corso a Trecastagni la “Festa ‘de Tri Santi”( Alfio, Cirino e Filadelfo). Questo evento, oltre alla profonda devozione dei fedeli verso i tre santi martiri, offre uno spettacolo folkloristico di grande effetto.

Nella foto, il carretto siciliano,

Pubblicato su La Sicilia dell'8.05.'2022

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