IL MOLO DI CATANIA E LA CONTESA CON ACIREALE
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- Category: Storia e tradizioni popolari
- Created on Wednesday, 17 November 2021 10:54
- Published on Wednesday, 17 November 2021 10:54
- Written by Santo Privitera
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Quando si dice: “Parènti serpenti!” Un detto che sembra valere per tutti i casi della vita. Se i rapporti con gli estranei a volte possono rivelarsi complicati, peggio potrebbe andare quando vi sono parenti di mezzo. La prova dei fatti si ha nel momento in cui subentrano motivi di interesse. “Cu parènti e cu vicini, non ci accattari e mancu vinniri”; ecco un altro proverbio che rafforza quello precedente. Malgrado il cosiddetto “politicamente corretto” oggi tenda a sminuirli, i proverbi restano sempre intramontabili perle di saggezza. L’uomo della strada ce lo ricorda sempre: “Ognuno si tira ‘u so’ filagnu”( ognuno tira acqua al proprio mulino). Come dargli torto? E’ la storia ad insegnarcelo. E quella che stiamo per raccontare non è che una delle tante. Ora come allora, le rivalità tra città della stessa regione si manifestano attraverso il comportamento delle tifoserie calcistiche opposte. La Sicilia non fa eccezione. Motivi che sembrano affondare le proprie radici nell’humus dell’appartenenza territoriale. Catania da città marittima dedita al commercio, ha sempre avuto l’esigenza di dotarsi di uno spazio attrezzato per l’attracco delle navi. Le contrarietà sono state tante e varie; un po' per colpa dell’uomo, un po' per le calamità naturali. Il porto Ulisse distrutto dalla colata lavica del 1381, anticamente si trovava nell’odierna zona del Rotolo. Si chiamò così perché, racconta una leggenda, vi avrebbe attraccato la nave del mitico eroe greco. Il porto Saraceno, invece, si trovava proprio a ridosso delle mura cittadine. Era “ a spina di riesca” e fungeva da approdo per piccole imbarcazioni e per scambi commerciali di vario tipo. Con il trascorrere del tempo, re Alfonzo V d’Aragona, ne fece costruire uno molto più moderno e attrezzato. Era il 1438. Purtroppo le violente mareggiate che flagellarono il Golfo di Catania, fecero terra bruciata. Ciò che faticosamente era stato costruito fino a quel momento, veniva spazzato via con cadenza periodica. Si era sempre punto e a capo. Il sec. XVII, quello della copiosa colata lavica e del terremoto distruttivo, cominciò “bene”. Nel 1601 una violenta mareggiata cancellò ogni traccia del molo principale, lasciando solo un cumulo di pietre. Si dovette attendere l’arrivo dei Borboni, perché si ricominciasse a riparlare di strutture portuali. Con il real decreto emanato da re Ferdinando I, si dette corpo alla redazione di un nuovo progetto. Era il 1785 quando l’incarico venne assegnato all’ingegnere idraulico di origine maltese, Zahra Buda. Visto che i catanesi lo reclamavano da tempo, il porto sarebbe stato costruito tutto a spese loro. Il monarca lo disse apertamente. Anzi, per dirla alla catanese, fu “Santa Chiara ‘i napuli”. Il progettista, espertissimo nella sua professione, ideò un sistema di grossi parallelepipedi in cemento (frangiflutti), in grado di arginare il più possibile la potenza delle mareggiate. Una novità. L’approvazione tardava a venire. Cosa era successo??!! A mettersi di traverso furono i vicini Acesi. I “cugini” proposero a loro volta, la costruzione di un porto a Capo Mulini anziché a Catania. A seguito di ciò, i tempi di realizzazione si allungarono di molto. “A Capo Mulini-sostenne il Decurionato di Acireale-esisteva già un porto naturale dotato di una vista eccezionale con i faraglioni a fare da suggestivo sfondo. E poi, ricordano malignamente, Acireale fu quella cittadina che durante i moti antiborbonici del 1837 sviluppatisi nella città etnea, si schierò a favore del del regime.” Catania dal canto suo non rimase indietro. Scesero in campo vari esponenti della cultura di allora. Il filosofo Vincenzo Paternò-Tedeschi, scrisse perfino un memoriale sul molo di Catania. Sostenne tra l’altro: “I porti vanno costruiti dove c’è maggiore traffico e prosperità economica e commerciale”. Requisiti che Catania possedeva. Si attivarono le rispettive “diplomazie”. Nel tentativo di placare gli animi, affiorò l’idea di costruire il porto a ognina, zona più vicina alla cittadina acese. Ma l’ipotesi venne scartata. La relazione di Zahra Buda, duratura nel tempo e ben articolata, spiegava con lucidità i motivi sociali, economici e logistici molto favorevoli che di fatto indirizzavano la scelta verso Catania. Pesò molto sull’esito finale questo scritto. Gli acesi non ne fecero un dramma; anzi quasi subito arrivò la riappacificazione con il capoluogo. “ ‘U sangu su si mastica, non s’agghiutti”(tra consanguinei, l’odio non può durare in eterno). Tra ulteriori ritardi, ampliamenti e riparazioni, passerà un altro secolo prima che il porto di Catania si potesse definire tale.
Nella foto, una veduta del Porto di Catania
Pubblicato su La Sicilia del 14.11.'21