I GABBI CATANESI

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“Se hai trascorso una infanzia bellissima, clicca qui!” E giù una valanga di “Like”. Scorrono una dietro l’altra in ordinata sequenza le foto in bianco/nero, accompagnate da una musichetta scelta ad hoc. Ormai è un classico. Dai mitici anni ’50, passando per gli spensierati anni ’60, le immagini si trascinano fino agli austeri anni ‘80 dello scorso secolo. La platea è molto vasta. Una carrellata di costumi, antiche usanze e oggetti ritenuti “morti e sepolti” e che invece i social stanno riesumando grazie al moto spontaneo di quanti credono ancora nei valori del passato. Emoj e faccine sorridenti compaiono nello spazio riservato ai commenti. Si moltiplicano i siti “Vintage” che propongono foto, filmati e quant’altro possa essere utile a esaltare lo stile di vita in tutti gli strati sociali di un tempo. E non sono solo gente attempata i promotori. Una operazione culturale che non va in contro tendenza ai nostri tempi ma che, al contrario, valorizzando la storia spinge le nuove generazioni a riappropriarsi delle antiche radici. Non solo; va a colmare quel vuoto pneumatico che nella seconda parte del secolo scorso si verificò qui in Sicilia. Per un lungo periodo di tempo, complici le istituzioni scolastiche, venne infatti impedito ai ragazzi l’uso del dialetto perfino in famiglia. Il poeta bagherese Ignazio Buttitta non le mandò a dire: (…) “ Un populu,/ diventa poviru e servu,/ quannu ci arrobbanu a lingua/ addutata di pari:/ è persu pi sempri.(…). “Anniddiu-sentenzia oggi l’uomo della strada- su tunnàssunu ‘a ‘ntichi….! È proprio vero. Gli antichi non torneranno, ma una solida impronta nel dna dei cittadini certo l’hanno lasciata. Catania, questo si sa, e’ un immenso palcoscenico; basta frequentare i quartieri popolari e soprattutto la pescheria per averne la conferma. Il carattere sornione, scansonato dei catanesi è tutto lì. Esiste una vastissima letteratura in materia. Da Giuseppe Borrello a Nino Martoglio; da Agatino Perrotta(Cervantes) a Giuseppe Nicolosi Scandurra e Ciccio Meli, tanto per fare dei nomi, chi non ha satireggiato sui costumi catanesi? Catania è una città che ispira, come dimostrano i tanti poeti dialettali contemporanei che ancora la decantano. Un tempo, bastava un semplice fatto di cronaca, un avvenimento perché la voce del poeta si facesse sentire attraverso sillogi ma anche quotidiani e riviste, molte delle quali ebbero breve durata. Agli inizi del ‘900, prendendo di mira i “falsi” nobili, scriveva in una saccente quartina il poeta satirico Ciccio Buccheri Boley: “All’autru jornu ‘nta la piscaria ‘a vuci forti dissi “Cavaleri”; si nni vutàru sull’onuri miu ‘na cinquantina davanti e d’arreri. Ma chiddu ca mi fici stranizzari fu ‘ca ‘n vaporta si vutò macàri!!!” (Non c’è cchiù munnu). Da allora a oggi la musica non è cambiata tanto. “Munnu ‘a statu e munnu è” diceva mio nonno. Alcuni giorni fa, un ragazzo che chiedeva il numero telefonico alla giovane fruttivendola, si sente rispondere da questa con caustica ironia: “Dui, tri, quattru anticu: Ti po’ stuijari ‘u mussu …ca non tu ricu!!!” E quel signore che non avendo capito bene una determinata frase chiede al suo interlocutore di ripeterla: “Comu!!?” Risposta: “Comu?...vicino Milanu è!!!” Ritornano queste espressioni che una volta solo i ragazzini usavano e che nel gergo linguistico sono meglio conosciuti come “Gabbi”. “I Gabbi erano brevi esclamazioni dal contenuto scherzoso che si tramandavano da padre in figlio. Erano quasi tutte a rima baciata. Celebre quello della “Sciaria” ovvero del bisticcio …”Nniu ‘nnau, ‘u sceccu arraggiau e ppi la potta jaci non fazzu cchiù paci”. Seguiva il classico segno della croce mimato sul volto.”Pronto…chi parla!!?? ….e dall’altro capo del filo….”Ciccio con la palla!!! Mai chiedere a uno sconosciuto l’orario; il rischio è quello di farsi rispondere con sincero sfottò: “L’ura di ieri astùra: ppi essiri sceccu ti manca la cura”. Chissà quanti ancora potremmo citarne. Tutte queste espressioni, attraverso i “social” tornano a rivivere; citandole, scrivendole nelle chat è come ritornare un po' bambini. Quando quella “vocina interna” sottile e molesta senza mezzi termini ti ricorda: “Chistu è signu ‘ca sta’ addivintannu vecchiu!; la risposta è sempre sulla punta della lingua: “…eh chi ci putemu fari;….menu mali anzi:…a ‘ca finu ‘a quannu dura è fortuna!”

 

Nella Foto, dipinto del Maestro d'Arte Alfredo Cavallaro.

 

Articolo Pubblicato su La Sicilia del 22.11.’20

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