Storia e tradizioni popolari

ANTICHI PROVERBI SICILIANI

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- VO STARI BENI!!?...LAMENTITI! (Vuoi stare bene!!?...lamentati!);

-NIURU CCU NIURI, NON TINCI (Dipingere di nero il colore nero, non fa alcun effetto);

- 'U SAZZIU NON CRIDI 'O RIJUNU (Chi e' sazio non conosce i tormenti di chi sta a digiuno);

-CCU LA SIMENZA E CCU LI FATICHI, S'ARRICOGGHIUNU LI SPIGHI (Con le sementi e le fatiche si fa un buon raccolto);

-CU VENI APPRESSU, CUNTA LI PIDATI (Chi va d'appresso a qualcuno, non arriverà mai per primo);

-LU FIGGHIU TROPPU AMMIZZIGGHAITU, CRISCI PORCU E MALARUCATU (Il figlio troppo vezzeggiato cresce porco e maleducato);

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IL PIACERE DI 'NA BRISCULA

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Assittamini, facemini ‘na briscula! L’invito è di quelli che non si possono rifiutare. A coppia o in cinque, con o senza soldi, la cosa più importante è giocare. Quasi con entusiasmo, il Seggio si costituisce rapidamente e l’aspirante giocatore che ne rimane fuori, pur contrariato, per curiosità o per diletto assiste lo stesso alle varie fasi. Arriverà il suo turno. Nel frattempo si scherza, si commenta, si recrimina. A chi ha perso il giro, farsosamente viene imposto il rito del mazzo sotto l’ascella. Imprecando contro la sfortuna, talvolta il perdente butta le carte per aria: Non sapi peddiri! si dice. E’ sempre così. Fatta eccezione per i giocatori sfegatati, incalliti frequentatori di bettole o, peggio, di bische clandestine, il gioco delle carte è ancora oggi un rito  praticato in famiglia per puro passatempo. In certe stagioni dell’anno, come per Natale, giocare a carte fa parte della tradizione. Assieme al ceppo, al verde abete illuminato e al presepe, il mazzo delle carte siciliane non può mancare. Al tavolo da cucina, dopo la consumazione di un lauto cenone, per la gioia di adulti e bambini si comincia a giocare. Se a Sette e mezzo, al Piatto o alla Tombola, questo lo decidono i più piccoli. Con le loro colorite figure, con i loro simboli dal fascino cabalistico e misterioso, le carte siciliane

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ANTICA FILASTROCCA DICEMBRINA

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O’ quattru Barbaredda;

o’ sei, Niculedda;

all’ottu Cuncittedda;

o’ tridici Lucia bedda;

o’ vintunu S.Tummasu canta;

o’ vinticincu, la Nascita Santa;

o’ trintunu S. Silvestru Papa;

nesci lu misi, e trasi l’Annata.

 

STORIA DI UNA DRAMMATICA ATTUALITA': "A Sant'Aita, doppu c'arrubbaru ci ficiunu 'i potti 'i ferru"

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Miiihhh……su futteru!!! È questa la tipica locuzione del catanese di fronte alla scoperta di un furto. Visto che ormai il verbo sinonimo di ruberia non costituisce più un tabù neanche per i dizionari, lo collochiamo nell’alveo semantico di più largo uso. Il bello, semmai qualcosa di bello ci fosse nell’argomento, è che questa espressione è di notevole attualità. I furti clamorosi nelle città d’arte continuano a perpetrarsi con drammatica regolarità, Catania non fa eccezione. La recente scomparsa dell’ottocentesca fontana ubicata all’interno del restaurando Palazzo che fu del bibliofilo Barone Ursino Recupero, costituisce ulteriore conferma.  Una beffa oltre che un danno, perché ogni opera d’arte trafugata costituisce un impoverimento della memoria storica cittadina. Il mercato dell’illecito è sempre fiorente e la storia dimostra che la colpa non è solo da ascrivere alla crisi economica. Nel tempo, a farne le spese sono state chiese, cimiteri, giardini e uffici pubblici, palazzi nobiliari, musei compresi.  “Nuddu t’arrobba si nun ti sapi”, recita un famoso proverbio siciliano”. Sacrosanto! E ancora: “ ‘U latru fa sulu ‘mpinseru, ‘u rubatu tanti”, di conseguenza gli investigatori hanno sempre dovuto lavorare sodo per individuare i colpevoli riuscendo a recuperare, anche a distanza di tempo, la refurtiva ritenuta persa per sempre. “A Sant’Aita, doppu c’arrubbaru, ci ficiuru i ‘potti‘i ferru”, è un detto tutto catanese che dimostra come “prevenire è meglio che curare”. Si riferisce al furto perpetrato nel 1892 ai danni del fercolo agatino. Il caso è stato poi brillantemente risolto in pochissimo tempo e i responsabili spalleggiati da un prelato nel ruolo di basista, assicurati alla giustizia.

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