LA SCOMPARSA DI RITA CORONA: "L'ultimo baluardo del Folklore catanese"

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Rita Corona, ci ha lasciati. La studiosa di Tradizioni popolari, decana dei gruppi Folkloristici catanesi, si è spenta quasi centenaria ( 100 anni li avrebbe compiuti il prossimo 11 febbraio) nella sua casa di V. Giacomo Leopardi. Nonostante la sua età, Rita Corona(nella foto col suo primo tamburello) fino agli ultimi giorni di vita si è mantenuta perfettamente lucida. Fino a pochi anni fa, era solita andare in taxi per assistere agli eventi culturali cittadini dedicati al Folklore. La sua vita è stata ricca di successi e di avvenimenti artististi di primo piano.  Maestra di scuola elementare, del padre Gaetano Emanuel Calì, indimenticabile musicista autore della romanza “E vui durmiti ancora” su testo di G.Formisano, aveva ereditato la passione per la musica e per tutto ciò che riguardava la sicilianità. Sulle orme della prima formazione canora de “I Canterini Etnei” istituita anni prima dal padre, nel 1956 fondò a sua volta il gruppo Folkloristico “I Figli dell’Etna” che ha guidato per oltre cinquant’anni.  In  tutti questi anni, questo gruppo siciliano contribuì a portare nel mondo la voce di Catania e della Sicilia.

 

Rita era stata sposata col giornalista e scrittore Aurelio Corona; dal loro matrimonio nacquero Marcello, Vittorio(scomparso alcuni anni fa) e Puccio, questi ultimi due noti e apprezzati giornalisti. Con Rita Corona se ne va l’ultimo baluardo del Folklore Catanese; una donna, una mamma, un insegnante che ai canti popolari siciliani ha dedicato la propria esistenza. La sua figura rimarrà indelebile nel cuore di chi ancora crede nei valori delle tradizioni  popolari siciliane.

In sua memoria, riproporremo qui di seguito l’intervista  realizzata il  21.12. 2006 dopo una conferenza da svolta per il Centro culturale “V.Paternò-Tedeschi”.

 

E’ una testimonianza preziosa la sua, fatta di precise informazioni, di notizie, di sodalizi condivisi con altrettanti artisti noti e meno noti; Matteo Di Mauro e Gaspare Grancagnolo, sono tra questi. “Agli inizi degli anni ’60”-ricorda la signora Corona- “ho curato la regia di alcune operette liberamente tratte da note fiabe.Addirittura, l’opera  lirica “Il ritorno del soldato” su libretto di Matteo Di Mauro con le musiche di Gaspare Grancagnolo, al Teatro Massimo di Catania riscosse un notevole consenso di pubblico e di critica”.

 -Artisti che tuttavia non sono riusciti a sfondare…

 “Veda, a Catania non è facile. Lei pensi che anche papà, per lungo tempo è stato dimenticato. Se non fosse stato per la sua canzone oggi nota in tutto il mondo, “E vui durmiti ancora”, nessuno forse lo avrebbe più ricordato. Eppure Papà compose tante altre musiche. Musiche che ritraevano, come nessun altro aveva fatto prima, un mondo rurale, quello siciliano, oggi quasi del tutto scomparso…

 -Alla luce dei settant’anni trascorsi dalla morte di suo padre e dai cinquanta dalla fondazione dei “Canterini Etnei”, non c’è migliore occasione per parlarne…

 “La musica per mio padre costituì il punto centrale della sua vita. Gli dette il sostegno economico ma anche la forza per andare avanti. Componeva quasi di getto, provava una grande emozione tutte le volte che riascoltava  le sue musiche. Fu così anche per  “E’ Vui dormiti ancora”; lo diceva, lui, che questa canzone avrebbe fatto la fortuna sua e quella di Giovanni Formisano, autore delle parole.

 -E i Canterini etnei….?

 "Beh, il primo fondatore dei “Canterini etnei” fu mio padre. Nel ’56 io volli riprendere un’opera da egli iniziata nel 1929. Pensi che in occasione del matrimonio del principe Umberto con Maria Josè, si organizzò in Italia una grande parata folclorica che prevedeva la sfilata dei gruppi di tutte le Regioni. Ricordo benissimo che noi dalla Sicilia portammo due carri siciliani: uno carico d’arance; l’altro di fichidindia. I cavalli erano tutti bardati e le ragazze sfilarono. Indossavano un costume contadino direttamente tirato fuori dalle cassapanche di genitori e nonne. Fu un grande successo, un successo tutto al femminile visto che il primo nucleo fu formato tutto di sole donne. Successivamente, a Firenze, nel corso di un’altra sfilata, il nostro gruppo vinse, il primo premio. In quella occasione venne eseguita “Simenza bedda” un pezzo di rara bellezza, composto sempre da mio padre".

 -Quando ha calcato per la prima volta un palcoscenico?

 “Ero molto piccola, ricordo alcune comparse fatte al teatro di Siracusa, avevo uno scialle in testa e uscivo con passo deciso, da quelle rocce bianche…”

 -Quanto ha inciso nella sua vita, il nome di suo padre?

 “Non più di tanto. Papà è uscito troppo presto dalla scena. Ma certo nel mio DNA c’è molto di lui. Delle quattro figlie femmine, io sono l’unica ad avere ereditato la passione per l’arte. Mi sono conquistato un modesto spazio in piena autonomia, e le mie decisioni recano fieramente l’impronta del mio carattere. Allorquando mi resi conto che la Sicilia all’estero veniva considerata solo per il fenomeno mafioso, mi ribellai. Capii che avrei dovuto contribuire a mostrare il vero volto della Sicilia che è quello del canto e delle nobili tradizioni ad esso legate: ecco perché mi rivolsi ai giovani, insieme abbiamo mostrato la parte migliore dell’ Isola”.

 -Il gruppo dei “Canterini Etnei” come riscatto dell’autentica sicilianità, dunque….

 “Non solo. Musica ed educazione vanno di pari passo. Io parlo della vendemmia, della mietitura, dei cicli produttivi annuali e dei venditori ambulanti, tutto questo fa parte di quella operosità che in Sicilia, assieme a tanti valori, tende a smarrirsi. Io amo i bambini e per questo ho preferito insegnare nelle scuole elementari piuttosto che in quelle superiori. Molti dei ragazzi che hanno fatto parte del mio gruppo, oggi sono professionisti, semplici impiegati e moltissimi hanno una famiglia: per me è un vero orgoglio”.

 -Tornando a suo padre, dopo la sua morte ci fu chi ne seguì le orme?

 

"Io ho fatto la mia parte. Ho portato avanti le sue musiche i suoi insegnamenti. Ho guidato il Gruppo come penso lo avrebbe guidato lui. Anche i maestri Pastura e Riela cercarono di calcare le sue orme, ma papà, è rimasto insuperato".

 -Non mi sembra che il folklore siciliano non stia attraversando un buon momento.

"Purtroppo è così. Alla gente, il folclore siciliano piace: lo vedo quando faccio gli spettacoli, il problema è che non c’è più continuità. Ci vorrebbero più incentivi, più studi in questo settore. Tutto ciò, ne sono sicura, consentirebbe ai giovani di accostarsi di più al folclore di una volta. Il recupero e il mantenimento delle nostre tradizioni sono alla base di una sana educazione. Io, nel mio piccolo, aiutato in questo da mio marito Aurelio che era scrittore, ho cercato di seminare; spero che altri, dopo di me, faranno la stessa cosa.

 

  

  

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