LEGGE MERLIN E DINTORNI: QUELLE "CASE CHIUSE" A CATANIA

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Il 20 settembre del 1958 entrava in vigore, a sei mesi dalla sua approvazione, la legge Merlin. La legge n.75, non solo stabiliva la chiusura delle case di tolleranza, ma puniva sia lo sfruttamento che il favoreggiamento della prostituzione. In uno degli articoli si stabiliva che alle “operatrici disoccupate” doveva essere garantita l’accoglienza in apposite strutture di rieducazione. Per i giovanotti e tutti gli altri frequentatori abituali, finiva un’epoca “dorata” fatta di dolci piccanti momenti. Una vera rivoluzione nel campo dei costumi sessuali, che non mancò di suscitare aspre polemiche in tutto il Paese. Anche oggi a distanza di 64 anni fa discutere. L’Italia “bacchettona” aveva vinto, si disse in giro, ma stavolta l’iniziativa non era stata opera dei cattolici. Lina Merlin, senatrice socialista, aveva fatto il “miracolo”. La Merlin pare avesse un chiodo fisso. Una prima versione del suo disegno di legge in materia di abolizione delle case chiuse in Italia, l’aveva già presentata nell’agosto del 1948. I tempi però non erano ancora maturi. In quel periodo si pensò più alla ricostruzione che ad altro. Quando giunse il momento, il dibattito fu aspro tra le forze politiche. Il voto finale fece registrare tra gli schieramenti una trasversalità sorprendente. Dubbi rimasero perfino tra i favorevoli. Malgrado tutti i buoni propositi, ci si accorse quasi subito che questa legge sarebbe stata un “flop”, e che a lungo andare non avrebbe ottenuto gli effetti sperati. Anzi. Il fenomeno della prostituzione, dal momento che dalle case si spostò nelle strade, fu destinato ad aggravarsi. Diventò un problema per l’ordine pubblico ma, soprattutto, per quello sanitario. Mancò quella necessaria profilassi che nelle “Case chiuse” era regolamentata per decreto. Tutte le “operatrici” erano periodicamente sottoposte a visita medica; se dichiarate non idonee, venivano segnalate e curate adeguatamente. E’ il caso di fare un salto indietro nella storia. Per salvaguardare i soldati sottoposti a frequenti “contagi venerei” , un legge napoleonica del 1806 stabilì la schedatura delle donne aduse a praticare il mestiere più vecchio del mondo. In Italia, la stessa iniziativa fu intrapresa da Cavour nel 1860. Con il governo Crispi, nel 1888, si arrivò alla sorveglianza medica e al controllo nei luoghi stessi in cui le “libere lavoratrici” esercitavano il loro “ufficio”. Con l’avvento delle nuove leggi di pubblica sicurezza, e per regolamentare le esigenze delle “Veneri vaganti”, nel 1931 nacquero infine le “Case chiuse”. L’iter burocratico per ottenere le autorizzazioni all’esercizio, era molto rigido. Questo non scoraggiò le mestieranti di “lungo corso” a intraprendere la redditizia attività. A Catania, le “Case chiuse” furono tutte concentrate nel Vecchio quartiere di San Berillo. Nel fatiscente ma suggestivo agglomerato urbano ricco di viuzze che lo facevano somigliare a una Casbah, convivevano realtà molto diverse. Un miscuglio di umanità povera e di buona borghesia; di artigiani e piccoli commercianti. Nessuno sembrava accorgersi di ciò che avveniva all’interno di queste abitazioni dalle porte e finestre rigorosamente sbarrate. O forse era solo “tolleranza”. Si andava da quelle più rinomate e costose, a quelle più modeste. Vigevano regole severissime. Il “braccio destro” delle tenutarie era meglio conosciuto come “ ‘u Jetta jacqua”. Una figura più buffa che severa, incaricata di cacciare chiunque non avesse i requisiti per entrarvi. Molto frequentate erano “La Casa Bolognese”, “Diana Mascali”, “Fargioni”, “Moderna” e altre ancora. Tutte arredate in stile Liberty o Déco del momento. Fino al 1948, anno dopo il quale non fu più possibile chiedere autorizzazioni per altre aperture, proliferarono come i funghi. Fra di loro serpeggiava una certa rivalità. La più nota e intraprendente “maitress” meglio conosciuta come “Za Mattia”, portava le “nuove arrivate” in carrozza nel più rinomato bar di Catania. Non solo una forma di buona accoglienza la sua, ma un’astuta occulta pubblicità che al calar della sera avrebbe prodotto i suoi frutti. Nella nostra città, la città che Brancati avrebbe ribattezzato del “gallismo”, il fenomeno fu più che accentuato. Già al tempo dei Romani, il meretricio era “di casa”. La legge Merlin arrivò in contemporanea allo “sventramento” del “mitico” quartiere inurbato nel cuore del Centro storico. Sull’argomento esiste una vastissima letteratura. “La sera prima della fatidica e mesta data di chiusura”-scrive il compianto giornalista e scrittore Aldo Motta in uno dei suoi libri più famosi-“alcuni giovani tra i più assidui frequentatori, sfilarono per le viuzze di San Berillo recando sulle spalle una enorme chiave spezzata di cartone, chiara simbologia di un gaudio interrotto(…)” (Quelle persiane chiuse).

 

Pubblicato su La sicilia del 18.09.2022

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