Moda Costume e Società
L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA E L’AUTONOMIA SICILIANA
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- Created on Monday, 05 August 2024 11:02
- Published on Monday, 05 August 2024 11:02
- Written by Santo Privitera
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La recente approvazione della legge sull’ autonomia differenziata, ha riportato alla memoria la vecchia questione dell’autonomia siciliana. La scia velenosa, rumorosa e polemica che in questi giorni si sta sviluppando da sud a nord, sembra però essere in contraddizione con la storia. Si invoca perfino il referendum abrogativo nel segno di quella Unità che dai banchi dell’opposizione si considera minacciata. A Catania, qualcuno ha ironicamente commentato: “Si viri ca sti pulitici mangiunu pani scuddatu!”. Fino a qualche tempo fa, quando in Sicilia si parlava di autonomia, erano in molti a storcere il naso. Ma c’era pure chi qualche sorrisetto lo faceva sotto i “baffi”(anche se non li aveva). Non perché non la volesse, anzi tutt’altro. Perché a quasi settant’anni dal varo, 15 maggio 1948, la sua applicazione si è rivelata del tutto insufficiente, se non addirittura inconsistente. Una vera e propria beffa, se proprio la vogliamo dire tutta. Eppure a suo tempo fu fortemente invocata addirittura nelle forme più estreme: quelle cioè inneggianti al separatismo. Per questa causa vi furono dei morti. Sulla questione si sono espressi autorevoli storici e politologi. Quasi tutti convergono su un punto: lo Statuto autonomistico siciliano sarebbe stato “Uno specchietto per le allodole” , o forse un “contentino” dato in pasto dal neonato governo repubblicano per sedare gli animi dei gruppi separatisti sparsi in tutta l’Isola. Alcuni di essi fondarono un regolare partito, il M.I.S. ( Movimento Indipendentista Siciliano), altri invece imbracciarono addirittura le armi. Tutto nasce dal fatto che i vecchi malumori post -unitari non si erano mai sopiti. “Arsa l’arma a Garibaldi”-sostenevano i più accaniti-“ il barbuto generale ha agito in combutta con i Savoia i quali hanno depredato la Sicilia per risanare le finanze dei piemontesi indebolite delle guerre d’indipendenza”. “Mpriulai jardini di rosi/ pi cògghiri simenza di zammàra/”-scriveva il poeta nativo di Catenanova ma catanese di adozione, Venero Maccarrone(Turi Lima)- “e m’astutaru dintra l’occhi/ travi di focu”.(Ju Sicilia). Il gruppo dirigente che perorava la causa della separazione politico-amministrativa dall’Italia, convinto com’era che le forze economiche dell’Isola lo consentissero, lottarono per la separazione “costi quel che costi”. Ci tentarono con la forza dei numeri, ottenendo discreti risultati. Gli onorevoli Andrea Finocchiaro Aprile, Antonino Varvaro, Attilio Castrogiovanni, Concetto Gallo sedettero in Parlamento. Chi in quello nazionale, chi in quello regionale; si distinsero per la forza delle proprie convinzioni. In quel preciso contesto storico, rappresentavano la voce di un popolo che si sentiva “tradito” dalle legittime aspettative unitarie. Si batterono per portare “a casa” qualcosa di utile come forma “risarcitoria”. Ottennero uno Statuto che, “Sulla carta”, appariva innovativo e soprattutto utile per lo sviluppo economico, sociale e culturale della Sicilia. Alla luce del risultato finale e dopo tante lotte sostenute, l’esito fu deludente. Anno dopo anno, quella che doveva essere la Carta costituzionale, andava sempre più sbiadendosi. Lo Statuto, così venne svuotato dalle fondamenta. Vilipeso. Di chi la colpa? Di “Uno, nessuno e centomila” avrebbe risposto il grande Pirandello. Le critiche si abbattevano tutte le volte che veniva fatto rilevare lo stato di arretratezza dell’Isola. I tentativi compiuti( o soltanto promessi) di ridargli una effettiva “vitalità” sono stati vani. Subito dopo la seconda guerra mondiale, nell’Isola era scoppiato il caos. Troppe armi ancora circolavano: anche tra la popolazione civile. Qualcuno pensò che fosse giunto il momento di tentare il “colpo di mano”: anche militare se fosse stato necessario. L’ala militarista dell’E.V.I.S. ( Esercito Volontari per l’Indipendenza della Sicilia), si batté questo. Mise in campo tutte le risorse possibili, andando però a scontrarsi con le forze dell’ordine prima e con l’abile tessitura diplomatica messa in campo dal nascente governo repubblicano, dopo. Proprio in questi giorni, come ogni anno, gli indipendentisti in forma ristretta ricordano l’eccidio di “Murazzu ruttu” , nei pressi di Randazzo. In questo luogo, 17 Giugno del 1945, in uno scontro a fuoco con i carabinieri trovarono la morte Antonio Canepa e quattro giovani studenti tutti animati dalla medesima causa rivoluzionaria. Canepa, docente universitario, era stato l’autore del libro “La Sicilia ai Siciliani”. Si trattava di un vero e proprio “statuto” da applicare nel caso in cui l’Isola avesse ottenuto la sospirata indipendenza.
Catania 22.06.’24
ODIO L’ESTATE
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- Created on Monday, 05 August 2024 10:58
- Published on Monday, 05 August 2024 10:58
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“Odio l’estate/ il sole che ogni giorno ci donava/ gli splenditi tramonti che creava/adesso brucia ancora con furor…/ Tornerà un altro inverno/la neve coprirà tutte le cose/(…)” Questa canzone negli anni ’60 fece furore. Un vero tormentone. E in quel periodo, di tormentoni ne nacquero tanti. La cantava Bruno Martino, un cantautore pianista a quell’epoca molto famoso nei night club. Sempre in giacca e cravatta: da un lato il pianoforte, dall’altro un bicchiere di whisky da sorseggiare tra un brano all’altro. Oggi questa canzone sembra essere tornata di moda, metafora di una stagione che ogni anno diventa sempre più asfissiante. I motivi delle lagnanze sono tante. Si va dalle acque inquinate e fino ad arrivare alla mancata legge sui “balneari” che tiene in sospeso il lavoro di tanti imprenditori del settore. Con il caldo torrido di questi giorni e la siccità che sta flagellando l’Isola, molti la staranno maledicendo davvero quella che un tempo era la stagione delle ferie, dei bagni e degli amori facili. Nei social, e non solo, c’è chi ammonisce: “Quannu c’è friddu, non vi vogghiu sentiri cchiù lamentari….”. Mentre dal freddo ci si può difendere coprendosi adeguatamente, contro il caldo non ci sono tanti rimedi.” ‘A Peddi, non ‘na putemu scippari” -si dice dalle nostre parti. Allora meglio difendersi nel modo più efficace possibile. Si cerca riparo al mare o nell’alta montagna. In questi casi: meglio un posto all’ombra che…al sole. Per chi resta in città è consigliabile il ritorno a un buon “ventilatore”. Rispetto al climatizzatore “sparato a palla”, si risparmia sulla bolletta della luce e sul costo dei farmaci anti-influenzali e anti-infiammatori. Si consiglia di bere molti liquidi moderatamente freschi. L’Etna si risveglia sempre in questi periodi. Sembra farlo apposta. Non perde occasione per mettersi in mostra. I turisti rimangono estasiati da quelle fontane di lava che sgorgando dal cratere centrale producono un impareggiabile spettacolo. Molto meno estasiati lo sono le popolazioni etnee, costrette a usare soffiatori, scope e ramazze per ripulire terrazze, tetti e cortili. “Lavica, sapessi come lavica in città”…scrive un poeta catanese che “romanticamente” ironizza su questo fenomeno diventato ormai frequente. Non fiocchi, ma polveri sottili che se da un lato fertilizzano i campi, dall’altro nuocciono ai polmoni. A Catania, la stagione balneare ufficiale cominciava “doppu ‘a Maronna ‘o Carminu” ovvero dopo il 16 luglio. Una data che non si rispetta più già da molto tempo. Le famiglie preferiscono andare al mare sin dalla prima decade di giugno. Quando aprono i lidi, sono tutti lì ad attendere. Si posizionano davanti all’ingresso: sono muniti di sdraio, cappellino, ambra solare, materassino e ombrellone. I bambini, oltre a secchiello paletta, braccioli, maschera e pinne posseggono il telefonino. Una volta lo ostentavano, oggi non c’è più di bisogno perché ce l’hanno tutti. Mamma e papà potranno stare tranquilli e farsi nel frattempo una bella “Scala quaranta” con gli amici di spiaggia. I piccoli se ne staranno zitti e buoni almeno fino a quando, colti da un leggero languorino allo stomaco, non reclameranno un bel panino con la mortadella o con il salame dentro. L’aria marina stuzzica la fame. I genitori lo sanno bene: “ ‘u picciriddu è siccu: ‘ora ‘u puttamu a mari…accussì ci sbòmmica ‘a fami”. Attenzione però, perché prima di fare un altro bagno devono trascorrere almeno tre ore: il tempo della digestione. Questa raccomandazione da parte dei genitori non è mai venuta meno. Alla Playa o alla scogliera, importante è tuffarsi per trovare nell’acqua un po' di refrigerio. A mollo si sta fino a quando non cominciano a comparire i primi segni “violacei” sul corpo. Il vistoso “rattrappimento” alle mani rovina poi l’estetica. Soprattutto per le ragazze potrebbe diventare un segno poco piacevole. La spiaggetta libera di San Giovanni Li Cuti, anche durante le belle giornate d’inverno è frequentata da giovani e meno giovani. Questi ultimi sembrano essere in maggioranza. Sono quelli che non temono affatto gli acciacchi. “Stare in acqua, sia in ammollo che nuotando,”-sostengono gli attempati signori frequentatori abituali -“ rilassa e migliora la mobilità delle articolazioni”. Hanno ragione. L’aria marina ricca di iodio, tra i tanti benefici posseduti ha la capacità di liberare in modo efficace le vie respiratorie”. Dopo una sana nuotata, emerge uno dei veri motivi dell’Impresa: dimostrare che la vecchiaia non esiste. Gli altri motivi, invece, hanno nei ricordi giovanili una matrice comune. Quando ancora erano pochi i lidi, i ragazzi scorrazzavano liberi per le scogliere. Nei pressi della stazione, c’era uno scoglio a picco sul mare dove i più spericolati “osavano” lanciarsi a mare incuranti del pericolo. Qualcuno ci lasciò pure la pelle. La scogliera, ‘u gaitu( oggi largo Candido Cannavò) e soprattutto la Playa restano per i catanesi, i veri luoghi della memoria estiva.
FESTA S.M.DEL CARMELO DI BARRIERA, ED.2024
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- Created on Monday, 05 August 2024 10:41
- Published on Monday, 05 August 2024 10:41
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Si sono conclusi a notte fonda a Barriera, i festeggiamenti dedicati alla Madonna del Carmelo. Le manifestazioni religiose e ludiche edizione 2024, erano già iniziate lo scorso 1 luglio. Particolarmente intenso è stato il lavoro dei parrocchiani. I giovani insieme ai “veterani” della festa hanno lavorato efficacemente per mantenere viva una tradizione che a Barriera dura da oltre un secolo. A tal proposito, è stato annunciato per i prossimi mesi l’uscita di un volume dedicato proprio alla suggestiva storia di questo luogo di culto che da semplice cappella votiva è diventata nel tempo una attivissima parrocchia. L’ultimo giorno dei festeggiamenti è stato caratterizzato dalla Concelebrazione Eucaristica presieduta dall’arcivescovo Mons. Luigi Renna. Presenti alla cerimonia religiosa: il sindaco Enrico Trantino, l’on. Giuseppe Lombardo; i consiglieri comunali Alessandro Campisi e Erika Bonaccorsi; il presidente della municipalità Claudio Carnazza. In rappresentanza dei paesi limitrofi, i rispettivi sindaci di Gravina di Catania e Sant’Agata li Battiati: Massimiliano Giammusso e Marco Rubino. “Come comunità vogliamo essere “pietre vive” ha esordito il Parroco Don Domenico Rapisarda nel suo intervento di ringraziamento ai presenti. Nel frattempo ha ricordato due importanti anniversari che la parrocchia celebrerà il prossimo anno. Al termine della serata, l’ingresso del simulacro è stato salutato con particolare commozione dai fedeli che, malgrado l’ora tarda, hanno voluto assistere al suggestivo rito del rientro. La novità di quest’anno è stata l’approvazione del restauro del prezioso Fercolo di probabile fattura settecentesca. La Regione Siciliana, su richiesta del Parroco, se n’è fatto carico. Si attende un ultimo passaggio burocratico prima di dare il via ai lavori. Intanto il consueto Giro si è regolarmente svolto come da programma. L’antico simulacro della Madonna del Carmelo, posto provvisoriamente su un modesto Fercolo messo a disposizione dalla Parrocchia di San Paolo di Gravina, tra il frastuono dei fuochi pirotecnici e le note della Banda musicale “Virgillito” ha percorso le vie illuminate del quartiere. Nel corso della serata, due momenti hanno caratterizzato la processione: il consueto omaggio floreale da parte dei Vigili del Fuoco alla statua carmelitana posta nella sommità della chiesa, e la spettacolare rappresentazione della “discesa dello Spirito Santo” giunta quest’anno alla ventiduesima edizione. Quest’ultimo rito che si è svolto solennemente al largo Catanzaro(Due Obelischi), è un omaggio alla Madonna da parte dei devoti del comune di Sant’Agata li Battiati.
Catania 23.07.’24
La foto in Bianco e nero è stata realizzata dall’artista Valentina Brancaforte
ANTICHI ACQUEDOTTI CATANESI
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- Created on Wednesday, 17 July 2024 16:22
- Published on Wednesday, 17 July 2024 16:22
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Cattivo tempo al nord, siccità al sud, l’Italia è divisa in due. Non autonomia differenziata ma clima differenziato. La natura fa il suo corso senza alcuna burocrazia. L’ideologia in questo caso è unica e risponde solo ai disegni del creatore. Da quando esiste il mondo, è sempre stato così. Chi parte da Catania per recarsi nelle città del nord Italia anche in piena estate, in valigia o nello zaino porta almeno un maglioncino al seguito. “ ‘A ddassupra c’è friddu; pottiti quacchi cosa di pisanti, non si po’ sapiri mai…” è la raccomandazione che i famigliari rivolgono ai propri cari in procinto di affrontare un viaggio verso il settentrione d’Italia. Il cambiamento climatico è certo che esiste. La maggioranza degli esperti però è propensa a credere che “munnu ‘ha statu e munnu è”. Si tratterebbe più che altro di una normale ciclicità climatica. Uno “smacco” per i “catastrofisti” di professione, secondo i quali: “ ‘o peggiu non c’è fini”. Allo stato attuale, ciò che preoccupa in particolare i siciliani è la siccità. Le scarse piogge hanno impoverito gli invasi e prosciugato importanti risorse idriche utili per gli usi domestici oltre che per quelli irrigui. In aggiunta, l’enorme spreco generato dalle infrastrutture che fanno “acqua da tutte le parti”, aggrava non poco il problema. Poi c’è la questione delle opere idrauliche iniziate e mai concluse. Gli acquedotti sono al limite del collasso. “Supra ‘a vàddira, ‘n craunchiu” (sopra un’ernia nasce un foruncolo) direbbe ogni buon catanese. “ ‘A squagghiata ‘da nivi si vìrunu ì puttusa” è però un modo di dire per indicare la constatazione di un problema solo quando esso si manifesta. Eppure nella nostra Isola tutto potrebbe mancare tranne che l’acqua. L’anno scorso nel sottosuolo ragusano, ricco di trivellazioni petrolifere, è stato scoperto un vastissimo giacimento d’acqua. Una risorsa di acque dolci di origine piovana le cui sorgenti-come riportano le recenti cronache-si troverebbero fra i 700 e i 2500 metri di profondità al di sotto dei Monti Iblei. Una risorsa talmente grande che potrebbe in gran parte risolvere la profonda crisi idrica che sta attanagliando la Sicilia. E’ Catania la città che storicamente vanta una privilegiata tradizione in materia idraulica. La nostra città è stata sempre ricca d’acqua. Grazie anche alla presenza dei suoi “alti rilievi” e soprattutto alle nevi dell’Etna. Nel suo sottosuolo scorrono laghi e fiumi. I più noti fiumi sono il Longane e l’Amenano. Il lago di Nicito dalle copiose acque, venne totalmente coperto dalla colata lavica del 1669. Quando nel 729 a.C. i Calcidesi fondarono Katana, scelsero questo sito grazie anche all’abbondanza delle acque. In una delle prime monete, un tetragramma, come simbolo venne raffigurato il Dio fluviale “Amenanos” sottoforma di un toro androcefalo. Raramente la città ha sofferto la mancanza d’acqua. I sistemi di captazione per quei tempi erano molto sofisticati. Pozzi, fontane, lavatoi, numerose sono le testimonianze storiche ancora esistenti. Molte delle fontanelle ancora oggi sparse tutto il perimetro urbano, si presentano prime di rubinetto. Indice di scarsa manutenzione che purtroppo implica uno spreco che andrebbe evitato. Quando la calura delle estati catanesi si fa sempre più forte, una fontana in una delle strade del centro storico e nelle periferie la si trova sempre. Famosa è quella meglio conosciuta come “ ‘Muss’i ferru”. E’ la preferita dei turisti. Si trova addossata al muro della chiesa San Francesco all’Immacolata(Piazza S. Francesco). I catanesi mostrano una certa comprensione nei loro confronti. A volte gli danno perfino la precedenza. Tra amici invece si scherza: “ ‘Lassammilla, non t’ha viviri tutta” è il tono che si usa quando qualcuno beve con avidità. I disastri naturali, fortunatamente non sono riusciti a cancellare le Terme romane e neanche i possenti acquedotti i cui resti sono in parte visibili in alcune zone strategiche della città. Le vie dell’acqua sono molto vaste e suggestive da seguire. L’acquedotto di Catania fu la maggiore opera di convoglio idrico nella Sicilia romana. Attraversava il territorio compreso tra le fonti sorgive di Santa Maria di Licodia e l’area urbana catanese, percorrendo gli attuali territori comunali di Paternò, Belpasso e Misterbianco prima di giungere al capoluogo Etneo. Quello che invece si partiva della Licatia, nel sec.XVII copriva interamente l’area urbana. Serviva: da una parte per i possedimenti benedettini, dall’altra per gran parte della città. Alimentava mulini e abbeveratoi. Sfruttava le acque del fiume Longane che ancora oggi da quelle parti scorre a pelo libero perdendosi.
Catania 02.06.2024
Nella foto, un tratto dell’antico Acquedotto Romano
OGGETTI DI “CULTO” ANNI ‘60
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- Created on Monday, 24 June 2024 17:20
- Published on Monday, 24 June 2024 17:20
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Sono milioni e hanno attraversato la vita di ciascuno di noi. Sul piano affettivo sono irripetibili. Difficile separarsene. Purtroppo però bisogna fare i conti con le esigenze della quotidianità. Perciò con il trascorrere del tempo, una volta utilizzati e ormai inservibili, all’interno di una qualsiasi abitazione diventano “mmarazzi”: ovvero materiale ingombrante da rottamare o comunque da disfarsene. Stiamo discutendo degli oggetti passati di moda. Anche in perfetto stato, a volte diventano “cosi di ittàri”. Con l’avvento dell’elettronica, il fenomeno si è accentuato. Quando si svuotano le cantine o le case dei nonni cui appartennero, se qualcuno non fa in tempo a recuperarli, vecchi oggetti o i mobili sono destinati a finire in un misero e fetido cassonetto. “Si pi cinquanta e ‘n annu mi sì stata/ fida cumpagna di la vita mia,/ ti portu dintra l’anima stampata,/ vecchia camuliata scrivania./ E si quann’è ca ha veniri abbruciata/ ripuntassimu stari ‘n cumpagnia,/ ogni faida di focu addumata/ fussi n vivu ricordu ‘n puisia(…)”( A la me’ scrivania). Questi illuminanti versi li scrisse negli anni ‘70 del secolo scorso, il poeta popolare Nino Bulla. “Mancu voli Diu…d’accussì si iettunu i cosi??!!…”ci lamentiamo in questo modo quando a Catania vediamo qualche oggetto carino che “quasi quasi” starebbe bene in qualche angolo della nostra casa. D’altronde, come giustificarsi nel caso in cui pensassimo di appropriarcene?… “I cosi attruvati non sunnu arrubbati”. Va bene così. I collezionisti sono i veri custodi della memoria. La loro è una filosofia di vita. Soddisfano i propri desideri attraverso il “culto” dell’oggetto. Dietro il paradosso della ricerca ossessiva della novità attraverso l’antico, si celerebbero motivi psicologici tutti da decifrare. Questo quando non vi siano effettive ragioni di esclusiva natura culturale. Gusto e sensibilità sono nobili moti “romantici”, ma ci potrebbe essere anche dell’altro. Ad esempio, un modo di esprimersi; un sentirsi privilegiato godendo in segreto di oggetti rari per distinguersi dagli altri. Negli anni ’70 del secolo scorso spopolò la moda delle bottigliette mignon da collezionare. Liquori appartenenti a diverse case produttrici, con l’occasione vennero prodotti in quantità industriale. Il mercato in quel momento lo richiedeva. Erano riproduzioni mignon dello stesso formato di quelle “regolari”. Marche italiane ed estere conosciute in tutto il mondo. Nessuno doveva berne il contenuto perché dovevano restare integre. Una vera ubriacatura destinata ad esaurirsi nello spazio di qualche anno. Passata la moda, i pochi esemplari rimasti li troviamo ancora oggi negli scaffali dei rigattieri. Le scritte delle etichette sono macchiate e manco si leggono più. Già, i rigattieri, o meglio: I “riatteri”. Loro, a differenza dei collezionisti, hanno una visione poco romantica e più materialistica dell’oggetto. Ne fanno merce di mercato. Un vero mestiere anche abbastanza redditizio . Sono commercianti a tutti gli effetti. Al mercatino delle pulci, quello che ogni domenica si svolge tra la via Dusmet, Porta Uzeda e Villa Pacini, è possibile trovare di tutto. Libri, giornali, soldatini di plastica, quadri, piatti, mobili antichi, penne stilografiche, foto di famiglia, capi d’ abbigliamento, scarpe usate, dischi, strumenti musicali, giocattoli di ogni tipo, medaglie, vecchie tessere di partito, posacenere da tavolo, pupi siciliani, parti residuali di antichi carretti, panciere e chi più ne ha più ne metta. E poi…tanta tanta oggettistica. Ninnoli e bomboniere che un tempo erano posti a “bellavista” nelle cristalliere o nei tavoli dei salotti, impolverati come si presentano, attendono di ritornare a nuova vita. Si trovano anche “pezzi” unici, finiti chissà come nelle mai del commerciante di turno. Merce prevalentemente “dozzinale” ma c’è pure “roba” che vale parecchio. La parola d’ordine dei catanesi è: “non ti pricipitàri, picchì cca ha sapìri accattari”. Un consiglio saggio, quasi sussurrato, ma sempre valido. Chi ha una certa competenza in materia sa bene come e cosa comprare. Attenzione alle “ ‘mpuniture” che sono sempre dietro l’angolo. A farne le spese sono molto spesso i turisti. Con il cambiare dei tempi, cambiano pure le terminologie. Così adesso va molto di moda il termine “Vintage”. Un inglesismo piuttosto generico che nel nostro comune sentire significa di “seconda mano”. Quando ci si trova davanti ai vecchi mobili di una volta, non puoi fare a meno di pensare alle mitiche “buffette”(tavoli da cucina), oppure al “pezzo di centoventi” rivestito di fòrmica verde( sparecchia tavola orizzontale da centoventi centimetri). Al suo interno si tenevano le tovaglie da tavola, mentre nel soprastante pianoro si posavano i piatti puliti appena lavati. “L’ammuarru” era così chiamato l’armadio dove si custodiva l’abbigliamento e non solo.
Catania 08.06.’24
Nella foto, antica vilanza ‘da Miccèra