DOMENICO TEMPIO, IL POETA DIMENTICATO

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Poco dopo la sua morte avvenuta il 4 febbraio del 1821, del poeta Domenico Tempio non si parlò più. Era nato a Catania il 22 agosto del 1750. In vita era stato molto apprezzato ma anche tanto chiacchierato a seguito del suo temperamento libertino. A quel tempo, forse anche troppo. I suoi componimenti licenziosi, scritti solo per una ristretta cerchia di amici appassionati dalle sue rime, finirono per prendere il sopravvento. Circolarono molto velocemente, tanto da etichettare il loro autore col marchio di poeta pornografico. Per diverso tempo “Miciu Tempiu” fu un nome da censurare. Da sconsigliare ai minori di anni 18. Di lui si parlò con toni parossistici da “ barzelletta”. Ognuno inventava la propria. Le poesie licenziose raccolte da Raffaele Corso nel 1926, venivano lette non senza malizia da intere comitive di giovani di entrambi i sessi. Qualcuno le portava apposta per farsi “quattro risate”. Le ragazze arrossivano fingendo di non ascoltare. “Fatti ‘a nomina ‘e va curcati” recita un noto proverbio catanese. Vero. E invece la poesia tempiana fu altra. E’ indubbio il carattere rivoluzionario di tutte le sue opere tra poemi, odi, favole, ditirambi, canzonieri e poesie varie. Ebbero come unico messaggio il riscatto dell’uomo dalle umane miserie. La sua volle essere una libera voce di denunzia contro vizi e malvagità, additando nell’ignoranza la causa prima di ogni male(odi supra l’ignoranza). Aveva visto lungo. Si scagliò con veemenza contro ogni sopruso perpetrato dalle classi dominanti( Mbrugghereide). Di contro, esaltò l’operosità dell’uomo onesto attraverso una delle sue opere più rappresentative: “Lu veru piaciri”. Tempio possiamo considerarlo il maggiore poeta riformatore siciliano, la cui voce si levò contemporaneamente a quella dei poeti Giovanni Meli a Palermo e Giuseppe Parini in Lombardia. Temuto per la satira feroce e pungente contro i poteri forti del suo tempo, usò la lingua madre siciliana per riuscire ancora più efficace. Ciò forse spiega in parte il motivo per il quale, una cappa di silenzio piombò sulla sua figura di uomo e letterato dopo la sua scomparsa. Non occorre uccidere un uomo per tacitarlo; per i personaggi scomodi, l’arma dell’oblìo è la più cinica ed efficace. A quel tempo bastava essere anticlericali perché ciò accadesse. Tempio, dopo avere intrapreso in età giovanile proprio la carriera ecclesiastica presso il seminario arcivescovile della sua città, decise improvvisamente di abbandonarla. Fu una scelta dettata dalla sua indole ribelle, refrattaria alle regole forzate. Lasciò pure gli studi giuridici successivamente intrapresi, per dedicarsi alle materie umanistiche e alla traduzione dei classici( Livio,Orazio, Tacito e Virgilio). L’abbandono dell’attività del padre facoltoso commerciante di legname, gli causò un grave tracollo economico; lui e la sua famiglia perciò vissero di stenti. Sulla sua biografia, vi sono molte incertezze. Nel tempo sono circolate delle inesattezze riguardanti la sua residenza. Si conosce invece la triste vicenda della sua salma sepolta in un primo momento nella antica chiesa di San Giovanni. Questo luogo di culto ubicato in v.Garibaldi, cadde durante i bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale. Le salme devastate, compresa quella del Tempio, vennero raccolte e seppellite nella fossa comune del monumentale cimitero etneo. Un poeta colto che guardò la società con gli occhi del popolo” possiamo definire il Tempio. Non a caso, il suo capolavoro assoluto, il poema storico “La Carestia”(venti canti in quartine settenarie) pubblicato postumo tra il 1848-49, giunse a completamento di un percorso che vide nei protagonisti della sommossa scoppiata a Catania nel 1798, i veri eroi sulla via dell’emancipazione. La fortuna letteraria di Domenico Tempio ha avuto un percorso tortuoso. Con la ripresa degli studi sul settecento siciliano, dopo la seconda guerra mondiale, la sua opera è stata ampiamente rivalutata dopo essere stata sottoposta a una seria rivisitazione critica. Domenico Cicciò, Carmelo Musumarra, Santo Calì e Vincenzo Di Maria, furono gli studiosi che più si impegnarono su questo fronte. Oggi, nel bicentenario della scomparsa del poeta considerato tra i più importanti della letteratura europea, pochissimo è stato fatto. Il persistente stato di pandemico non può essere un alibi se consideriamo che recentemente altri poeti sono stati adeguatamente celebrati. All’università della Sapienza, a Roma, le opere di Domenico Tempio sono oggetto di studi approfonditi. A Catania, nella sua città, la stessa sensibilità non sembra esserci.

Nella foto, Domenico Tempio, detto "Micio"

Pubblicato su La Sicilia del 21.11.2021

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