CATANIA: VIA CROCIFERI, TRA LE VIE PIU' BELLE DEL MONDO
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- Written by Santo Privitera
Anche quest’anno la meta preferita dei turisti è stata Catania. Francesi, tedeschi, russi, giapponesi hanno potuto ammirare da cima a fondo la città Barocca per eccellenza; la città dell’Etna, di Bellini, della dorata playa ma anche di tutte quelle attrazioni che la caratterizzano. Il cambiamento climatico, anche dalle nostre parti si è avvertito eccome. Chi si aspettava la solita estate “calda” siciliana, è stato servito. Però quest’anno si è rivelata più calda del solito, anzi rovente. Nelle guardie mediche, c’è stato il via vai di bagnanti in preda a violente scottature e fastidiose insolazioni. Roghi dappertutto. Qualcuno ha commentato: “ Ma st’annu chi ci misi ‘i peri ‘u riaulu…?” Anche l’aeroporto, ne ha fatto le spese. Improvvisamente un incendio ha devastato l’aerostazione. Le cause sono in via di accertamento. Ma come? Il nostro fiore all’occhiello!!? Purtroppo è capitato nel momento peggiore della stagione, quando gli arrivi e le partenze di solito raggiungono il picco di massima intensità. Fortunatamente il temuto “collasso” non si è verificato. Gli spazi sono stati sfruttati fino all’ultimo centimetro. Enormi però sono stati i disagi per i passeggeri, ma almeno si è evitato il peggio. Quanto prima si ritornerà alla normalità; si lasceranno alle spalle tutte le difficoltà patite. Anche stavolta si potrà gridare quello che ormai è diventato un vero e proprio “motto” tutto catanese: “Melior de cinere surgo”; ovvero, dalle ceneri risorgerò più bella. Nel tour delle meraviglie che di solito ha inizio dalla Cattedrale di Sant’Agata, tra le antiche vie del centro cittadino entra di diritto Via Crociferi. Considerata tra le vie più belle e rappresentative del mondo; è meta obbligatoria per chi visita la città. Venire a Catania senza visitare via Crociferi, è come andare a Roma senza visitare il Colosseo. Il catanese che è abituato a percorrerla, spesso non se ne rende conto; diverso è per il turista. Cos’ha si bello via Crociferi?…tutto. Il suo barocco è unico. Le sue chiese, i suoi palazzi, l’arco benedettino che attraversa come una quinta scenografica la strada da parte a parte, lascia una traccia indelebile nel ricordo di chi visita questi luoghi. In ogni angolo si respira tutta l’antichità del suo passato. Una via che profuma di intensa religiosità. Già nel Medioevo essa si snodava fra chiese e palazzi di notevole mole. Il Palazzo di don Bartolomeo Altavilla, costruito dove oggi si eleva la chiesa di San Francesco Borgia, era un edificio di notevoli dimensioni. In quell’area insistevano i locali ospedalieri annessi all’antica chiesa dell’Ascensione( esistente fino al ‘500). Locali in cui si accoglievano e curavano i diseredati della città. Nella seconda metà del Cinquecento, l’attività dei PP. Gesuiti di fresco giunti a Catania, arricchì l’intera zona di scuole, collegi e chiese. Le opere d’arte che vi erano contenute, oltre all’antico blasone e salubrità dell’aria, attirarono in questa parte di città l’attenzione della nobiltà catanese. Per tale motivo, dopo il devastante terremoto del 1693, i ricostruttori si orientarono su questo segmento cittadino. Sorserò uno dietro l’altro chiese, conventi e palazzi nobiliari. La Badia e la chiesa di San Benedetto nel 1704, poi la chiesa di San Camillo dei Padri Crociferi da cui prese il nome la strada; quindi il collegio dei Gesuiti e la chiesa di San Giuliano, uno dei monumenti più illustri del barocco catanese. Seguirono, i palazzi Asmundo, Villaruel e quello dei Cerami, tutti gioielli dell’architettura settecentesca a firma dei migliori architetti dell’epoca: Alonzo Di Benedetto, Angelo Italia, Francesco Battaglia, Paolo Amato e lo stesso G.B. Vaccarini. Grazie a loro prese forma quel raffinato e artistico angolo di Catania che dalla chiesa di San Camillo attraversando la via di San Giuliano, è chiuso dal cosiddetto arco di San Benedetto. Singolare la vicenda riguardante questa struttura. Essa fu al centro di un’aspra polemica tra il senato catanese e l’allora vescovo Andrea Riggio(Palermo 1660-Roma 1717). Il religioso era un soggetto poco incline ai compromessi, ecco perché entrò in rotta di collisione con la politica. Gli attriti erano cominciati già prima. Proseguirono dopo con piccole scaramucce. Poi la goccia che fece traboccare il vaso. E questa goccia arrivò quando il vescovo decise di fare costruire nottetempo l’arco che avrebbe dovuto unire due ali del monastero delle benedettine. Aveva ricevuto il divieto assoluto di proseguire, ma il prelato minacciò di scomunica quanti si fossero opposti al progetto, alla fine la spuntò. Il Vicerè non gradì questi atti di liberalità, di conseguenza lo invitò a lasciare la città. A Roma, il vescovo Riggio venne assimilato alla servitù del Pontefice. Morì col desiderio di tornare nella sua amata Catania.
Nella foto, Via Crociferi.
Pubblicato su La Sicilia del 6.08.'23
Santo Privitera
NOVELLE VERGHIANE ALLA CIVITA: INTERVISTA ALL'ATTORE E REGISTA TURI GIORDANO
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- Written by Santo Privitera
Alla Civita torna il teatro in piazza. Domenica 23 alle ore 20.30, la compagnia teatrale “Proscenio”metterà in scena al Largo XVII Agosto( ‘o peri alivu) “Lo sfregio”. Sono 3 novelle verghiane comprendenti: “Il segno d’amore”, “Un processo”, “Caccia al lupo”. L’adattamento dei testi e la regìa sono di Turi Giordano. La manifestazione teatrale che rientra nell’ambito delle celebrazioni promosse dal Comitato per il centenario della morte di Giovanni Verga, in questa versione è una novità assoluta. Turi Giordano è un regista, attore, commediografo e scrittore catanese di lungo corso. Diplomatosi nel 1981 alla scuola di recitazione del Teatro Stabile di Catania, ha lavorato a fianco dei migliori attori del teatro Siciliano e non solo; tra questi: Michele Abruzzo, Turi Ferro, Tuccio Musumeci(con lui nella foto), Giulio Brogi, Nino Frassica, Pippo Pattavina e molti altri. E’ stato autore di saggi riguardanti le feste catanesi e sul teatro di Nino Martoglio. Dopo il successo ottenuto lo scorso anno con “I civitoti in pretura”, questo lavoro stavolta vuole essere un omaggio al grande scrittore verista autore di capolavori assoluti della letteratura italiana. “Quello della prossima domenica”-dice-“ è uno spettacolo composto da tre novelle che hanno in comune sia lo “Sfregio” ossia la “tagghiata di facci” sia la sfida perenne fra amanti e uomini traditi”;
-Verga e la Civita, quale rapporto?
“Il rapporto con la Civita è molto evidente in Verga, specialmente nella novella “Un processo” dove uno dei protagonisti mette banchetto proprio a San Placido. E poi in Verga i vari personaggi vivono le loro storie nella Catania più popolare, e cosa c’è più popolare della Civita?”;
-Il centenario verghiano, a tuo giudizio, è stato celebrato in modo adeguato?
“Considerato che viviamo in un periodo di crisi economica, quello che ha fatto, sta facendo e farà il “Comitato” è veramente da elogiare”;
-Quali saranno i suoi prossimi impegni teatrali?
“Saranno rivolti come sempre verso il teatro popolare siciliano; sia come regista, sia come attore, perché per questo genere teatrale nutro un “affetto” smodato, tanto che la mia collezione privata è ricca di molti copioni, manoscritti e a stampa che hanno fatto la fortuna di questo glorioso teatro nostrano”;
-L’ambiente mi pare quello giusto…
“Si, per questo ringrazio il “Comitato”, il segretario Gaetano Strano, gli attori e i musicisti che rappresenteranno lo spettacolo. Ma anche tutti gli abitanti della Civita, sempre attenti e partecipi a questi eventi”.
Nella foto, Turi Giordano e Tuccio Musumeci
Catania 20.07.’23
L'ELEFANTE RESTAURATO
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- Written by Santo Privitera
Dopo l’intervento di restauro conservativo cui è stato sottoposto in questi mesi, alla svelata della statua dell’Elefante i catanesi presenti hanno gridato: “Finammenti!…Mi pareva ‘mill’anni!”. Esclamazioni fondate su timori storici. Dalle nostre parti, infatti, un lavoro si sa quando comincia ma non si sa quando finisce. E invece stavolta sono stati particolarmente celeri e sbrigativi. Buon segno. Una vera e propria sorpresa in positivo. Avrebbero potuto iniziarli prima questi lavori, e invece il via è stato dato in primavera. In questo periodo, già i primi turisti cominciano ad affollare le vie del Centro cittadino. Ingabbiato com’era, il simbolo di Catania si celava ai “furasteri”.̀ Non avere potuto fotografare dal vivo il “mitico” Liotru apprezzato in tutto il mondo, deve essere stata una grande delusione per molti di loro. I pannelli artistici che l’attorniavano, sono stati dei palliativi funzionali al cantiere. Un modo elegante per “ammorbidire” anche il disagio estetico. Così i visitatori hanno potuto godere solo a metà lo stupendo scenario Barocco della nostra piazza Duomo. Se il poeta dialettale satirico “Cicciu Buccheri Boley fosse stato vivo, non le avrebbe mandate a dire. Facendo parlare ‘u Liotru, scrisse agli inizi dello scorso secolo: (…) Sugnu bonu, sugnu caru/ ma si viu cosi storti/ a cu’ sbagghia cu sta funcia,/ ci li dugnu forti forti! ” Questo a testimonianza del fatto che il rapporto tra il catanese e il suo monumento simbolo è sempre stato “umanizzante”. Non un cuore di pietra lavica ma…un cuore vero e proprio. Inoltre, la sua mente “elefantiaca” gli farebbe ricordare di tutto. Il carattere che gli viene attribuito è quello tipico del catanese. Da un lato focoso, dall’altro accomodante. Un po' curioso, a volte intrigante; ma soprattutto ironico. Ovvero lisciu. E non parliamo di altro ancora. ‘U Liotru, le assommerebbe tutte queste qualità. Non sente il peso dei suoi anni e neanche quello dell’obelisco Egittizzante che si porta addosso. E’ orgoglioso di rappresentare il mondo cristiano attraverso il globo , la croce e la palma; simbolo, quest’ultimo, del martirio della Santa Patrona Agata. Grazie alla privilegiata postazione, può osservare di tutto e di più. Nulla sfugge a quegli occhi di pietra bianca apparentemente fissi. Possiede un grande carisma. Gli proviene dalla sua storia ricca di mistero, che affonda le proprie radici sul terreno dell’esoterismo. Non a caso viene a tutt’oggi definito “talismano”. Dopo il terribile terremoto del 1693, l’architetto Vaccarini lo avrebbe posizionato al centro della piazza a protezione della ricostruita città. Con la sua “funcia” rivolta verso l’alto, pare dettare legge. Ammonisce, da’ consigli, ispira versi. Si compiace quando le cose vanno bene; si arrabbia quando invece si adottano comportamenti indegni e incivili. Si intristisce di fronte alle miserie umane. Gli piace indossare la sciarpa rossazzurra tutte le volte che la squadra del suo cuore passa di categoria. Gli verrebbe voglia di scappare quando qualcuno lo oltraggia. Ma in realtà non lascerebbe mai Catania perché l’ama troppo. Ne compatisce i vizi, ne esalta le virtù. Alcuni anni fa, gli venne appiccicato un “si vende” sulla proboscide. “Cose da pazzi, in che tempi viviamo?…Non c’è più rispetto neanche per chi è avanti di età”, avrà pensato. Nessun tipo di protesta potrebbe giustificare un simile gesto. Eppure nel corso della sua esistenza ne ha viste di tutti i colori. A partire dalle strane manìe di Eliodoro. Il beffardo mago al quale deve il suo nome di “Liotru”, se lo portava a spasso. Salendogli in groppa, lo costringeva a volare da Catania a Costantinopoli e viceversa. Una sorta di Jumbo ante-litteram, tanto per citare il simpatico fumetto molto caro ai bambini dello scorso secolo. Il vescovo taumaturgo San Leone, ricacciando all’inferno l’energumeno, pose fine a questo sopruso. Dalla Leggenda alla storia vera saranno passati circa mille anni. Ecco arrivare il momento del tentato sfratto dalla piazza Duomo. Questo grave atto di ingratitudine stava per consumarsi silenziosamente. Era il 1862. E qui il povero pachiderma dovette soffrire enormemente. Non aveva fatto niente di male. Il suo unico torto era quello di sembrare troppo “brutto” agli occhi di alcuni intellettuali dell’epoca. Se non fosse stato per quella parte della città ribelle al provvedimento già approvato dal senato cittadino, il povero incolpevole Liotru sarebbe stato relegato a piazza Palestro. A quest’ora avremmo scritto d’altro. In questo luogo meglio conosciuto come “U’Chianu da’ Minzogna”, a poca distanza del cimitero, avrebbe potuto assistere solo allo scioglimento dei cortei funebri dopo il discorso di commiato al morto. Il poeta di turno non avrebbe di certo taciuto: “…E lu poviru Liotru/ da l’esiliu parrò/… ‘la campana sona ‘a mortu/ senza paci e né cunortu".
Nella foto, L'elefante simbolo di Catania
Pubblicato su La Sicilia del 16.07.'23